Anne Rice - Intervista col vampiro

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Intervista col vampiro: краткое содержание, описание и аннотация

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In una stanza d’albergo Louis racconta la sua vita ad un esterrefatto giornalista, la lunghissima, estenuante vita di un vampiro. Duecento anni assieme al suo maestro Lestat ed alla piccola Claudia, duecento anni in giro per il mondo, nascondendosi dalla luce e succhiando sangue…

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«Quella notte stavamo camminando verso la periferia della città, dove cede allo Audubon Park e l’argine è una china deserta, erbosa che scende fino a una spiaggia melmosa, coperta qua e là da pezzi di legno, che degrada fino alle onde del fiume. Sulla riva lontana c’erano le luci debolissime delle industrie e delle società sul lungofiume, puntini verdi o rossi che tremolavano in lontananza come stelle. E la luna metteva a nudo l’ampia, forte corrente che scivolava veloce tra le due sponde; e persino la calura estiva si era dissolta, con la fresca brezza che veniva dall’acqua e sollevava delicatamente il muschio attaccato alla quercia contorta dove eravamo seduti. Strappavo l’erba, l’assaggiavo, anche se il suo sapore era amaro e innaturale. Il gesto era istintivo. Avevo la sensazione, quasi, che non avrei mai più lasciato New Orleans. Ma che senso hanno simili pensieri quando si può vivere per sempre? Non lasciare ‘mai più’ New Orleans? Mai più sembrava una parola umana.

«‘Ma non hai alcun desiderio di vendetta?’ domandò Armand. Era sdraiato sull’erba accanto a me, appoggiato sul gomito, e mi fissava.

«‘Perché?’ chiesi con tono calmo. In quel momento desideravo, come m’accadeva spesso, che lui non ci fosse, di essere solo. Solo con quel fiume possente e freddo sotto la pallida luna. ‘È andato incontro da sé alla sua perfetta vendetta. Sta morendo, morendo di rigidità, di paura. La sua mente non riesce ad accettare questa epoca. Nulla di sereno e aggraziato come la morte di quel vampiro che m’hai descritto una volta a Parigi. Credo che stia morendo in quel modo goffo e grottesco in cui spesso muoiono gli esseri umani in questo secolo… di vecchiaia.’

«‘Ma tu… cos’hai provato?’ insistette sommessamente. E io fui colpito dalla qualità tutta personale di questa domanda; quanto tempo era che non ci parlavamo più a quel modo! In quel momento lo sentii con forza, sentii l’essere separato che lui era, creatura calma e padrona di sé, coi lisci capelli di rame e gli occhi grandi, talvolta malinconici, occhi che spesso non sembravano vedere altro che i propri pensieri. Questa notte parevano ardere di un fuoco incerto, inconsueto.

«‘Nulla’ risposi.

«‘Nulla in alcun senso?’

«Risposi di no. Il ricordo di quel dolore era quasi tangibile. Come se non m’avesse abbandonato di colpo, ma mi fosse restato accanto tutto questo tempo, volteggiando, dicendo: ‘Vieni’. Ma questo non lo volevo confessare a Armand, non volevo rivelarglielo. Ed ebbi la stranissima impressione di sentire il suo bisogno che io glielo raccontassi… gli raccontassi qualcosa… un bisogno stranamente affine al bisogno di sangue vivente.

«‘Ma lui non t’ha detto niente, niente che ti abbia fatto provare l’antico odio…’ mormorò. E fu a quel punto che compresi chiaramente quanto fosse afflitto.

«‘Che vuoi dire, Armand? Perché me lo domandi?’ gli dissi.

«Ma Armand si adagiò all’indietro sul ripido argine e restò per molto tempo a guardare le stelle. Le stelle mi ricordarono qualcosa di estremamente preciso: la nave che aveva portato me e Claudia in Europa, quelle notti sul mare quando sembrava che si abbassassero a toccare le onde.

«‘Pensavo che t’avesse detto qualcosa a proposito di Parigi…’ mormorò infine Armand.

«‘Cosa avrebbe dovuto dirmi a proposito di Parigi? Che lui non voleva che Claudia morisse?’ domandai. Claudia, ancora Claudia; quel nome mi suonava strano. Claudia che distribuiva le carte del solitario sul tavolo oscillante al movimento del mare, la lanterna cigolante sul gancio, il nero oblò pieno di stelle. La testa china, le dita sospese sull’orecchio come se stessero per sciogliere delle ciocche dei suoi capelli. Ed ebbi l’impressione orribilmente sconcertante che nel mio ricordo lei alzasse gli occhi dal solitario e che le sue orbite fossero vuote.

«‘Avresti potuto raccontarmi tutto quello che volevi a proposito di Parigi, Armand’ dissi, ‘già da un pezzo. Non avrebbe avuto importanza’.

«‘Anche che sono stato io a…’

«Mi voltai verso di lui, sdraiato a guardare il cielo. E vidi una straordinaria sofferenza sul suo viso, nei suoi occhi, che sembravano enormi, smisurati, e il viso bianco che li incorniciava appariva troppo scarno.

«‘Che sei stato tu a ucciderla? Che sei stato tu a trascinarla a forza in quel cortile e chiuderla là fuori?’ domandai. Sorrise. ‘Non dirmi che per tutti questi anni, hai sofferto per questo, no, non tu’.

«Armand chiuse gli occhi e girò la faccia dall’altra parte, appoggiando le mani al petto quasi gli avessi infetto un colpo tremendo e repentino.

«‘Non puoi convincermi che te ne importi qualcosa’ gli dissi freddamente. Volsi lo sguardo verso l’acqua, e di nuovo mi prese quella sensazione… che avrei voluto essere solo. Sapevo che di lì a poco mi sarei alzato e me ne sarei andato per conto mio. Cioè, sempre che non m’avesse lasciato lui per primo. Perché in verità mi sarebbe piaciuto poter restare là. Era un posto tranquillo, isolato.

«‘A te non importa niente di niente…’ stava dicendo. E poi si mise lentamente a sedere e si voltò verso me, così che vidi ancora quel fuoco oscuro nei suoi occhi. ‘Pensavo che almeno di questo ti dovesse importare. Che rivedendolo avresti sentito l’antica passione, l’antica rabbia. Pensavo che qualcosa dentro di te si sarebbe acceso e rianimato se l’avessi visto… se fossi ritornato in questo posto’.

«‘Che sarei tornato alla vita?’ chiesi piano. E sentii la fredda, metallica durezza delle mie parole, la modulazione, il controllo. Era come se io fossi stato perfettamente freddo, di metallo, e lui fosse divenuto improvvisamente fragile; fragile, come in effetti era da molto tempo.

«‘Sì!’ gridò. ‘Sì, alla vita!’ Ma poi prese un’espressione perplessa, decisamente confusa. E accadde una cosa strana: chinò il capo come chi si sente sconfitto. E qualcosa nel modo in cui Armand viveva quella sconfitta, qualcosa nel modo in cui il suo viso bianco e liscio la rifletteva, solo per un attimo, mi ricordò qualcun altro che avevo visto sconfitto nello stesso modo. E mi sorprese il fatto che mi ci volle tanto tempo prima di vedere il viso di Claudia in quell’espressione; Claudia, in piedi accanto al letto nella stanza dell’albergo Saint-Gabriel, che mi scongiurava di trasformare Madeleine in una di noi. Lo stesso sguardo indifeso, quel senso di sconfitta così profondamente sentito che ogni altra cosa veniva dimenticata. E lui, in quel momento, come Claudia, parve riaversi, attingere a una qualche riserva di forze. Ma disse sommessamente nell’aria: ‘Io sto morendo!’

«E io, che lo guardavo, lo sentivo, la sola creatura dell’universo che lo sentisse, pur sapendo con assoluta certezza che era vero, non dissi una parola.

«Un lungo sospiro gli sfuggì dalle labbra. Teneva la testa china. La mano destra inerte sull’erba. ‘Odio… quella è passione’ disse. ‘Vendetta, quella è passione…’

«‘Non per me…’ mormorai. ‘Non adesso’.

«I suoi occhi si fissarono su di me e il suo viso parve molto calmo. ‘Ho sempre creduto che l’avresti superato, che quando il dolore ti avesse lasciato, saresti ridiventato caldo d’amore e pieno di quella smodata e insaziabile curiosità di quando ti vidi la prima volta, quella fame inveterata di conoscenza che ti condusse fino a Parigi, fino alla mia celletta. Pensavo che fosse una parte di te che non poteva morire. E credevo che quando il dolore fosse svanito, mi avresti perdonato per la parte che ho avuto nella sua morte. Lei non ti ha mai amato, capisci. Non come l’hai amata tu, come ci hai amato entrambi. Io lo sapevo! Io lo capivo! E credevo di poterti prendere con me, tenerti con me, e il tempo si sarebbe dischiuso davanti a noi, e saremmo stati l’uno il maestro dell’altro. Tutte le cose che ti davano felicità mi avrebbero dato felicità; e io avrei protetto il tuo dolore. Il mio potere sarebbe stato il tuo. La mia forza la tua. Ma tu sei morto dentro per me, sei freddo e al di là della mia portata! È come se io non fossi qui, accanto a te. E, poiché non sono qui con te, ho la mostruosa impressione di non esistere affatto. Sei freddo e lontano da me come quegli strani quadri moderni fatti di linee e di forme dure che non riesco ad amare o capire, sei estraneo quanto quelle dure sculture meccaniche di questa età che non hanno alcuna forma umana. Mi vengono i brividi quando ti sto vicino. Guardo nei tuoi occhi, e non ci vedo il mio riflesso…’

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