Anne Rice - Intervista col vampiro

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Intervista col vampiro: краткое содержание, описание и аннотация

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In una stanza d’albergo Louis racconta la sua vita ad un esterrefatto giornalista, la lunghissima, estenuante vita di un vampiro. Duecento anni assieme al suo maestro Lestat ed alla piccola Claudia, duecento anni in giro per il mondo, nascondendosi dalla luce e succhiando sangue…

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«Mi fermai. Armand non mostrava alcuna inquietudine per il fatto che io l’affrontassi, e appena i nostri occhi s’incontrarono desiderai che il mondo non fosse quella nera, vuota rovina di ceneri e morte. Desiderai che fosse fresco e bello, che noi due fossimo vivi e ricchi di amore da donarci l’un l’altro. ‘Tu hai fatto questo, conoscendo il mio piano?’

«‘Sì’ rispose.

«‘Ma tu eri il loro capo! Avevano fiducia in te. Credevano in te. Vivevano con te!’ Esclamai. ‘Non ti capisco… perché?…’

«‘Datti la risposta che preferisci’ disse calmo, con delicatezza, come se non volesse farmi male con accuse o col disprezzo, ma volesse che io semplicemente accettassi la sua risposta in modo letterale. ‘Io ne posso pensare molte. Ma tu pensa a quella di cui hai bisogno e credici. È verosimile quanto ogni altra. Ti dirò il motivo reale, che è il meno vero: stavo per lasciare Parigi. Il teatro mi apparteneva. Così li ho licenziati’.

«‘Ma con quello che sapevi…’

«‘Te l’ho detto, era il motivo reale ed era il meno vero’ ripeté pazientemente.

«‘Mi distruggeresti con la stessa facilità con cui hai lasciato che loro venissero distrutti?’ domandai.

«‘Perché dovrei?’ chiese.

«‘Dio mio’ mormorai.

«‘Tu sei molto cambiato’ disse. ‘Ma in un certo senso sei sempre la stessa persona’.

«Camminai ancora un poco e poi, davanti all’ingresso del Louvre, mi fermai. In un primo momento mi sembrò che le numerose finestre fossero buie e inargentate dal chiaro di luna e dalla pioggia sottile. Ma poi mi parve di vedere una debole luce là dentro, come se un guardiano camminasse tra quei tesori. Lo invidiai ardentemente. I miei pensieri si fissarono con ostinazione su quel guardiano, cercando d’immaginare come un vampiro potesse arrivare fino a lui, come potesse prendergli la vita, la lanterna, le chiavi. Il piano era confuso. Non ero capace di fare piani. Ne avevo fatto uno solo nella mia vita, e l’avevo portato a termine.

«E poi finalmente mi arresi. Mi voltai verso Armand e lasciai che il mio sguardo penetrasse il suo, lasciai che si avvicinasse a me, come se intendesse fare di me la sua vittima, piegai il capo, e sentii il suo braccio forte attorno alla spalla. E ricordai all’improvviso, con una percezione acutissima, le parole di Claudia, quelle che furono quasi le sue ultime parole: la sua ammissione che lei sapeva che potevo amare Armand, dal momento che avevo potuto amare persino lei. Quelle parole di colpo mi apparvero significative e ironiche, più dense di significato di quanto lei stessa potesse immaginare.

«‘Sì’ mormorai. ‘Questo è il male supremo, che noi possiamo giungere persino ad amarci, tu e io. E chi altro ci offrirebbe una briciola di amore, una briciola di compassione o di misericordia? Chi altro, conoscendoci come ci conosciamo, potrebbe fare qualcosa di diverso dal distruggerci? Eppure noi possiamo amarci’.

«Per un lungo momento rimase immobile là a guardarmi, poi s’avvicinò, piegò la testa lentamente da un lato, socchiuse le labbra come se volesse parlare, ma sorrise soltanto. E scosse la testa delicatamente quasi a confessare che non aveva capito.

«Ma già io non pensavo più a lui. Ero in uno di quei rari momenti in cui mi sembrava di non pensare a nulla. La mia mente non aveva forma. M’accorsi che la pioggia era cessata. Vidi l’aria pura e fredda, le strade luminose. E volevo entrare nel Louvre. Lo dissi ad Armand, gli chiesi se poteva aiutarmi a fare quanto era necessario perché il Louvre fosse mio fino all’alba.

«La giudicò una richiesta molto semplice. Disse solo che si domandava come mai avessi aspettato tanto.

«Lasciammo Parigi poco dopo quella notte. Dissi ad Armand che desideravo tornare sul Mediterraneo — non in Grecia, come avevo sognato per così tanto tempo. Volevo andare in Egitto. Vedere il deserto e, cosa più importante, le piramidi e le tombe dei re. Volevo entrare in contatto con quei ladri di tombe che ne conoscevano i segreti assai più degli studiosi, scendere in quei sepolcri ancora inesplorati e vedere i re come erano stati seppelliti, con il corredo di mobili e oggetti d’arte deposti con loro, vedere le pitture murali. Anche Armand era più che disposto a intraprendere quel viaggio. E così dicemmo addio a Parigi una notte, nelle prime ore, in carrozza, senza tante cerimonie.

«Feci una cosa che val la pena raccontare. Ritornai all’appartamento dell’albergo Saint-Gabriel. Avevo l’intenzione di raccogliere alcune cose di Claudia e di Madeleine, di deporle nelle bare e di far preparare per loro due tombe nel cimitero di Montmartre. Ma non lo feci. Rimasi poco tempo nelle stanze, dove ogni cosa era in ordine e al suo posto, grazie al personale, sembrava che da un momento all’altro potessero fare ritorno. Il telaio di Madeleine giaceva con le matassine di filo su un tavolino da lavoro vicino alla poltrona. Lo guardai e guardai ogni altra cosa, e il mio compito mi apparve privo di significato. Così uscii.

«Ma qualcosa mi era accaduto là dentro; o meglio, qualcosa di cui ero già cosciente era diventato più chiaro. Ero andato al Louvre quella notte per far riposare la mia anima, per trovare qualche piacere trascendente che cancellasse il dolore e mi facesse dimenticare completamente me stesso. Ero stato accontentato. Sul marciapiede davanti alle porte dell’hotel, in attesa della carrozza che m’avrebbe portato da Armand, vedevo la gente che passava — la folla irrequieta dei boulevard, signore e signori ben vestiti, strilloni, facchini, cocchieri — tutta questa folla, sotto una luce nuova. Prima, l’arte aveva serbato per me la promessa di una comprensione più profonda del cuore umano. Ormai il cuore umano non significava più nulla. Non lo denigravo. Lo avevo solo dimenticato. Gli splendidi quadri del Louvre per me non avevano un intimo legame con le mani di chi li aveva dipinti. Erano completamente distaccati e morti, come fanciulli mutati in pietra. Come Claudia, divisa da sua madre, mantenuta in vita per decine e decine d’anni tra le perle e l’oro sbalzato. Come le bambole di Madeleine. E naturalmente, come Claudia e Madeleine e io stesso, queste opere potevano essere ridotte in cenere».

PARTE IV

«E questa è la fine della storia, veramente.

«Naturalmente, so che ti domandi che cosa ci è successo dopo. Che ne è stato di Armand? Dove sono andato io, cosa ho fatto… Ma t’assicuro che non è successo veramente niente. Niente che non fosse inevitabile. E quella peregrinazione per il Louvre quell’ultima notte fu né più né meno che profetica.

«In seguito non cambiai più. Non cercai più nulla in quell’unica grande sorgente di cambiamento che è l’umanità. Persino nel mio amore e nella mia dedizione alla bellezza del mondo, non cercai mai di imparare qualcosa che si potesse riportare all’umanità. Bevevo la bellezza del mondo come beve un vampiro. Ero soddisfatto, pieno fino all’orlo. Ma ero morto. Ed ero immutabile. La storia termina proprio a Parigi.

«Per molto tempo pensai che la morte di Claudia fosse stata la causa della fine d’ogni cosa. Che se avessi visto Madeleine e Claudia lasciare Parigi sane e salve, le cose avrebbero potuto andare diversamente tra me e Armand. Avrei potuto amare e desiderare ancora, cercare qualche sembianza della vita mortale ricca e variata, ancorché innaturale. Ma ora finalmente ho capito che non era vero. Anche se Claudia non fosse morta, anche se non avessi disprezzato Armand per aver lasciato che morisse, tutto si sarebbe svolto alla stessa maniera. Arrivare lentamente a conoscere il male che era in lui, o esserci catapultato dentro… era assolutamente lo stesso. Alla fine, non volevo più saperne niente. E dato che non meritavo niente di meglio, mi rinchiusi come un ragno nella fiamma d’un fiammifero. E persino Armand, che era il mio fedele, il mio unico compagno, era lontanissimo da me, oltre il velo che mi separava da tutte le cose viventi, un velo che aveva la sembianza d’un sudario.

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