Anne Rice - Intervista col vampiro

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Intervista col vampiro: краткое содержание, описание и аннотация

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In una stanza d’albergo Louis racconta la sua vita ad un esterrefatto giornalista, la lunghissima, estenuante vita di un vampiro. Duecento anni assieme al suo maestro Lestat ed alla piccola Claudia, duecento anni in giro per il mondo, nascondendosi dalla luce e succhiando sangue…

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«Ma fu un breve momento.

«Quando, il giorno dopo, il freddo e grigio sole invernale tramontò, mi risvegliai e sentii il torpore abbandonarmi quasi subito, come succede d’inverno, e gli oscuri esseri viventi che abitavano nella bara fuggire davanti alla mia resurrezione. Mi levai lentamente sotto la pallida luna, assaporai il gelo, accarezzai la perfetta levigatezza della lastra di marmo che spostavo per fuggire. E, vagabondando lontano dalle tombe e dal cimitero, studiavo un piano, un piano per il quale ero disposto a giocarmi la vita con l’assoluta libertà di chi sinceramente non si cura di quella vita, che possiede l’eccezionale forza d’essere disposto a morire.

«In un orto vidi qualcosa, qualcosa che era stato solo un’immagine confusa nella mia mente fino a quando non l’ebbi fra le mani. Era una piccola falce, la lama affilata e ricurva era ancora incrostata di semi verdi rimasti attaccati dall’ultima mietitura. Appena l’ebbi pulita e feci scorrere le dita lungo la lama tagliente, fu come se il piano mi si presentasse con perfetta chiarezza e potei dedicarmi subito a quel che mi restava da fare: procurarmi una carrozza e un cocchiere che rimanesse ai miei ordini per alcuni giorni, abbagliato dal denaro che gli diedi e dalla promessa di altro; far trasportare la mia cassa dall’albergo Saint-Gabriel all’interno della carrozza e trovare tutte le altre cose che mi erano necessarie. E poi vennero le lunghe ore della notte, nelle quali finsi di bere col cocchiere e ottenni la sua ben retribuita collaborazione nel portarmi all’alba da Parigi a Fontainebleau. Dormivo dentro la carrozza; la mia salute delicata esigeva che io non venissi disturbato per nessuna ragione. Questo isolamento mi era tanto indispensabile che ero più che disposto ad aggiungere un’altra generosa mancia alla somma che già gli pagavo solo perché non toccasse nemmeno la maniglia dello sportello fino a quando non fossi uscito.

«E quando fui certo che era d’accordo e anche sufficientemente ubriaco da dimenticare quasi ogni altra cosa fuorché prendere in mano le redini e arrivare a Fontainbleau, ci avviammo lentamente, guardinghi, imboccammo la strada del Teatro dei Vampiri, e aspettammo a una certa distanza finché il cielo cominciasse a schiarire.

«Il teatro era chiuso e sprangato contro il giorno che sorgeva. Strisciai verso la porta quando l’aria e la luce m’avvertirono che mi rimanevano al massimo quindici minuti per mettere in esecuzione il mio piano. Sapevo che, giù nei sotterranei, i vampiri del teatro erano già dentro alle loro bare. E che, anche se un vampiro ritardatario avesse indugiato a coricarsi, non avrebbe udito i miei primi preparativi. Velocemente misi delle travi di legno contro le porte sprangate. Velocemente vi piantai dei chiodi, che sbarrarono queste porte dall’esterno. Un passante notò forse ciò che stavo facendo, ma tirò diritto, forse pensando che stessi chiudendo l’edificio per ordine del proprietario. Non sapevo. Sapevo però che prima di avere finito avrei potuto imbattermi nei bigliettai, negli uscieri, negli uomini che facevano le pulizie dopo lo spettacolo, che probabilmente rimanevano in teatro a sorvegliare i vampiri durante il loro sonno diurno.

«Era a questi uomini che stavo pensando mentre portavo la carrozza fino al vicolo di Armand, dove la fermai, portando via con me due piccoli barili di cherosene fino alla porta di Armand.

«La chiave mi aprì con facilità, come speravo, e una volta giunto nel corridoio inferiore, entrai nella sua cella per constatare che non c’era. La bara era scomparsa. In realtà tutto era scomparso tranne il mobilio, compreso il letto incassato del ragazzo morto. Aprii velocemente un barile e, facendo rotolare l’altro davanti a me verso le scale, corsi lungo il corridoio, spruzzando le travi con il cherosene, gettandolo sulle porte di legno delle altre celle. L’odore era forte, più forte e più potente di qualunque rumore che avrei potuto fare per scatenare l’allarme. E benché restassi completamente immobile ai piedi delle scale coi barili e la falce, in ascolto, non udivo alcun suono, alcun segno di vita, niente che indicasse la presenza di quei guardiani che presumevo in teatro, nessun segno di vita neppure da parte dei vampiri. Stringendo tra le mani l’impugnatura della falce, m’avventurai lentamente su per le scale, fino alla porta della sala da ballo. Non c’era nessuno a vedermi versare il cherosene sulle poltrone imbottite di crine o sui tendaggi, o a vedermi esitare per un istante sulla soglia del cortiletto dove Madeleine e Claudia erano state uccise. Oh, quanto desideravo aprire quella porta! Fu una tentazione così forte che per un momento quasi dimenticai il mio piano. Stavo quasi per lasciar cadere i barili e girare la maniglia. Ma vidi la luce filtrare attraverso le fessure della vecchia porta di legno. E capii che dovevo andare avanti. Madeleine e Claudia non c’erano. Erano morte. E che cosa avrei fatto se avessi aperto quella porta e mi fossi di nuovo trovato di fronte a quei resti, a quei capelli d’oro, ingarbugliati e scarmigliati? Non c’era tempo, non c’era ragione. Corsi lungo corridoi bui mai esplorati prima, versando cherosene sulle vecchie porte di legno, sicuro che i vampiri giacevano rinchiusi là dentro; mi affrettai con passi felpati verso il teatro vero e proprio, dove una luce fredda e grigia, che filtrava attraverso la porta d’ingresso sprangata, mi spinse a gettare velocemente uno spruzzo scuro sul grande sipario di velluto, sulle poltrone imbottite, sui tendaggi delle porte del ridotto.

«E finalmente vuotai il barile e lo gettai da parte. Tirai fuori la rozza torcia che m’ero fabbricato, accesi con un fiammifero gli stracci imbevuti di cherosene e diedi fuoco alle poltrone: le fiamme lambirono la seta pesante e l’imbottitura mentre io correvo verso il palcoscenico e facevo divampare il fuoco su per quello scuro sipario in una corrente fredda e vorticosa.

«Dopo pochi secondi il teatro risplendeva come inondato dalla luce del giorno, tutte le sue strutture scricchiolavano e gemevano, il fuoco mugghiava tra le mura, lambendo il grande arco del proscenio e le volute in stucco dei palchi. Ma non avevo tempo per ammirare quello spettacolo, per assaporarne l’odore e il suono, per godere la vista delle nicchie e degli angoli segreti investiti dalla violenta illuminazione che presto li avrebbe ridotti in cenere. Stavo volando di nuovo al piano inferiore, e spingevo la torcia nel divano di crine della sala da ballo, nei tendaggi, in tutto quello che poteva prender fuoco.

«Qualcuno batteva con grande strepito sulle assi di sopra, in stanze che non avevo mai visto. E allora udii l’indubbio rumore di una porta che si apriva. Ma era troppo tardi, mi dissi, stringendo tra le mani sia la falce sia la torcia. L’edificio era in fiamme. Sarebbero stati distrutti. Corsi verso le scale mentre un grido lontano si alzava sul crepitio e sul rombo delle fiamme, la mia torcia strisciava lungo le travi imbevute di cherosene sopra la mia testa, le fiamme avvolgevano il vecchio legno e lambivano l’umido soffitto. Era l’urlo di Santiago, ne ero certo; come balzai al piano inferiore, lo vidi sopra di me, dietro di me, che correva giù dalle scale; il fumo riempiva tutta la tromba delle scale attorno a lui, gli occhi gli lacrimavano, la gola era strozzata dal fumo, le mani protese verso di me. ‘Tu… tu… maledetto!’ balbettò. M’irrigidii, stringendo gli occhi davanti al fumo, sentendo che le lacrime cominciavano a riempirli e li bruciavano, ma senza abbandonare per un solo istante la sua immagine, poiché il vampiro ora usava tutto il suo potere per lanciarsi contro di me con una tale velocità da diventare invisibile. E quando il viluppo nero che erano i suoi abiti arrivò in fondo alle scale, io vibrai la falce, la vidi colpire il suo collo e ne sentii la resistenza, e vidi Santiago cadere di fianco, portando ambo le mani all’orrenda ferita. L’aria era piena di grida, di urla, e una bianca faccia si profilava al di sopra di Santiago, una maschera di terrore. Alcuni vampiri fuggivano lungo il corridoio davanti a me verso la porta segreta che dava sulla viuzza. Ma io rimasi fermo, come sospeso, fissando Santiago, vedendolo rialzarsi nonostante la ferita. E vibrai di nuovo la falce, lo colpii facilmente. Non c’erano più ferite. Solo due mani che brancolavano in cerca di una testa che non c’era più.

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