Anne Rice - Intervista col vampiro

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Intervista col vampiro: краткое содержание, описание и аннотация

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In una stanza d’albergo Louis racconta la sua vita ad un esterrefatto giornalista, la lunghissima, estenuante vita di un vampiro. Duecento anni assieme al suo maestro Lestat ed alla piccola Claudia, duecento anni in giro per il mondo, nascondendosi dalla luce e succhiando sangue…

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«‘È stata lei, Louis. E stata lei. Tu non c’entri. È lei che deve morire!’ disse Lestat; la sua voce era sottile, stridula, come se parlare gli costasse fatica. ‘Portate via quella cosa, lui viene con me’ gridò furioso a Santiago. E Santiago rise, Celeste rise, e la risata sembrò contagiarli tutti.

«‘Me l’avete promesso’ insistette Lestat.

«‘Io non ti ho promesso niente’ rispose Santiago.

«‘T’hanno preso in giro’ gli dissi amaramente mentre quelli aprivano la cassa. ‘Ti hanno gabbato! Devi trovare Armand, Armand è il capo qua dentro’ esplosi. Ma sembrava non capire.

«Ciò che accadde in seguito fu orribile, confuso e disperato: io sferravo calci, lottavo per liberarmi le braccia, gridavo che Armand li avrebbe fatti smettere, che non osassero fare del male a Claudia. E tuttavia mi misero a forza nella bara, i miei sforzi frenetici non servirono a nulla, solo a isolare la mia mente dalle grida di Madeleine, dalle sue orribili grida lamentose, e dal terrore che da un momento all’altro vi si sarebbero potute aggiungere le grida di Claudia. Ricordo d’aver lottato contro il coperchio che mi schiacciava, di averlo tenuto fermo per un istante prima che l’abbassassero a forza su di me e le serrature venissero chiuse in uno stridore di metallo e di chiavi. Mi tornarono in mente parole di molti anni prima, di un Lestat stridulo e sorridente in quel luogo remoto e immune da preoccupazioni dove noi tre avevamo litigato. ‘Una bambina affamata è uno spettacolo spaventoso… un vampiro affamato è anche peggio. Sentirebbero le sue grida fino a Parigi’. Il mio corpo bagnato e tremante si afflosciò nella bara soffocante e mi dissi: ‘Armand non lo permetterà; non c’è un posto abbastanza sicuro dove possano metterci’.

«La bara fu sollevata, udii uno scalpiccio di stivali, mi sentii oscillare da una parte e dall’altra; con le braccia puntellate contro i fianchi della cassa, chiusi gli occhi forse per un attimo, non so. Mi dissi di non toccare i fianchi della cassa, non misurare il sottile margine di aria tra la mia faccia e il coperchio. Sentii la bara inclinarsi quando raggiunsero i gradini. Vanamente cercavo di decifrare le grida di Madeleine, poiché mi sembrava che invocasse Claudia, che la chiamasse, come se ci potesse aiutare. ‘Chiama Armand: deve tornare a casa stanotte’ pensavo disperatamente. E soltanto il pensiero della terribile umiliazione di sentire il mio grido sepolto con me invadermi le orecchie e restare prigioniero, m’impedì di gridare.

«Ma un altro pensiero mi aveva assalito, nel momento stesso in cui avevo formulato quelle parole: ‘E se non venisse? E se, nascosta da qualche parte in quel palazzo, avesse una bara a cui è tornato…?’ E allora mi parve che il mio corpo si liberasse improvvisamente, imprevedibilmente, dal controllo della mia mente, e battei contro il legno che mi circondava, sforzandomi di rigirarmi e scatenare la forza della mia schiena contro il coperchio della bara. Ma non riuscii: era troppo vicino. La mia testa ricadde all’indietro sulle assi, e il sudore mi inondò la schiena e i fianchi.

«Le grida di Madeleine si erano spente. Sentivo solo il rumore degli stivali e del mio respiro. ‘Comunque, domani notte ritornerà — sì, domani notte — e glielo diranno, e lui ci troverà e ci libererà’.

«La bara oscillava. Il profumo dell’acqua mi riempì le narici, la sua freschezza mi giunse palpabile attraverso il calore soffocante della bara; e poi, con l’odore dell’acqua, arrivò anche l’odore della terra profonda. La bara fu posata rudemente, le membra mi dolevano, mi sfregavo il dorso delle braccia con le mani, cercando disperatamente di non toccare il coperchio per non sentire com’era vicino, spaventato dalla mia stessa paura che stava diventando panico, terrore.

«Pensavo che ormai se ne sarebbero andati, e invece no. Erano vicini e indaffarati, e un altro odore m’arrivò alle narici, un odore crudo e sconosciuto. Ma poi mi resi conto che posavano dei mattoni e che quello era l’odore del cemento. Lentamente, cautamente, sollevai la mano per detergermi il viso. ‘Benissimo, allora, domani notte’ ragionavo tra me e me, e mi pareva che le mie spalle crescessero contro le pareti della bara. ‘Benissimo, allora, domani notte lui verrà; e fino a quel momento questi sono solo i confini della mia bara, il prezzo che ho pagato per tutto questo, notte dopo notte’.

«Ma le lacrime mi stavano riempiendo gli occhi e mi vedevo battere nuovamente contro il legno; la mia testa si girava da una parte all’altra, e la mia mente correva alla notte dopo, e alla notte dopo ancora, e ancora più in là. E poi, quasi per distraimi da questa follia, pensai a Claudia: sentii subito le sue braccia che mi cingevano nella luce fioca di quelle stanze all’albergo Saint-Gabriel, vedevo la curva della sua guancia nella luce, il dolce, languido frullio delle sue ciglia, il tocco serico delle sue labbra. Il mio corpo s’irrigidì, i miei piedi scalciarono contro le assi. Il rumore dei mattoni era svanito, i passi s’erano spenti. E io gridai il suo nome: ‘Claudia’, finché il mio collo non si contorse di dolore, e le unghie mi ebbero scavato il palmo della mano; e lentamente, come un torrente ghiacciato, la paralisi del sonno calò su di me. Cercai di gridare il nome di Armand; assurdamente, disperatamente, intuendo appena, mentre le mie palpebre si facevano pesanti e le mie mani si afflosciavano, che il sonno era calato anche su di lui, da qualche parte, dove riposava immobile nel suo giaciglio. Mi dibattei un’ultima volta. I miei occhi videro il buio, le mie mani tastarono il legno. Ma ero debole. E poi non ci fu più nulla».

«Mi risvegliai al suono d’una voce, lontana ma chiara. Pronunciò due volte il mio nome. Per un attimo, non capii dove mi trovavo. Avevo sognato qualcosa di disperato che minacciava di svanire del tutto, senza che mi rimanesse il minimo ricordo di cos’era stato, qualcosa di spaventoso che desideravo, bramavo che scomparisse. Aprii gli occhi e tastai il coperchio della bara. Mi resi conto di dove mi trovavo nello stesso istante in cui, per fortuna, capii che era Armand che mi chiamava. Gli risposi, ma la mia voce era sepolta dentro la bara assieme a me ed era assordante. In un momento di terrore pensai: ‘Mi sta cercando e io non gli posso dire che sono qui’. Ma lo sentii parlarmi, dirmi di non aver paura. Udii un forte rumore. E un altro ancora. Poi qualcosa che si fracassava, e il fragoroso precipitare dei mattoni. Mi parve che parecchi mattoni colpissero la bara. Poi sentii che venivano tolti uno dopo l’altro. Mi sembrò che schiodasse via le serrature.

«Il legno pesante del coperchio scricchiolò. Un puntino di luce si accese davanti ai miei occhi. Trassi un respiro a quella vista e sentii il sudore che mi inondava il viso. Il coperchio si alzò cigolando, e per un attimo rimasi abbacinato; poi mi alzai a sedere e la luce splendente di una lampada filtrò attraverso le mie dita.

«‘Presto’ mi disse. ‘Non fare rumore’.

«‘Ma, dove andiamo?’ gli domandai. Vidi un corridoio di ruvidi mattoni che si stendeva al di là della porta che aveva abbattuto; lungo tutto quel corridoio vi erano delle porte sigillate, come era stata la porta dietro cui mi trovavo. Di colpo ebbi la visione di tutte le bare poste dietro a quei mattoni, di vampiri morti di fame e imputriditi. Ma Armand mi stava rimettendo in piedi e mi ripeteva di non fare rumore; strisciavamo lungo il corridoio.

«Si fermò davanti a una porta di legno e spense la lampada. Per un attimo restammo completamente al buio, fino a quando vedemmo risplendere la fessura sotto la porta. Armand aprì la porta così delicatamente che i cardini non fecero alcun rumore. Io sentivo il rumore del mio respiro e cercavo di fermarlo. Stavamo entrando in quel corridoio più basso che conduceva alla sua cella. Ma correndo dietro di lui, mi resi improvvisamente conto di una terribile verità: Armand mi stava liberando, ma liberava solo me. Tesi una mano per fermarlo, ma lui mi trascinò dietro di sé. Solo quando ci arrestammo nel vicolo accanto al Teatro dei Vampiri riuscii ad arrestarlo. E anche allora, era sul punto di ripartire. Cominciò a scuotere il capo prima ancora che io aprissi bocca.

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