Anne Rice - Intervista col vampiro

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Intervista col vampiro: краткое содержание, описание и аннотация

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In una stanza d’albergo Louis racconta la sua vita ad un esterrefatto giornalista, la lunghissima, estenuante vita di un vampiro. Duecento anni assieme al suo maestro Lestat ed alla piccola Claudia, duecento anni in giro per il mondo, nascondendosi dalla luce e succhiando sangue…

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«‘Non posso salvarla’ disse.

«‘Ma non ti aspetterai davvero che me ne vada senza di lei! È in loro possesso, là dentro!’ Ero inorridito. ‘Armand, devi salvarla. Non hai scelta! ‘

«‘Perché dici così?’ rispose. ‘Io non ne ho il potere! Devi capirlo. Si solleveranno contro di me. Non hanno alcuna ragione per non farlo. Louis, te lo ripeto, io non posso salvarla. Rischierei soltanto di perdere te. Non puoi tornare indietro’.

«Mi rifiutavo di ammettere che potesse essere vero. Armand era la mia sola speranza. Ma devo confessare sinceramente che ero ormai oltre la paura. Sapevo soltanto che dovevo salvare Claudia oppure morire in quell’impresa. Era davvero una cosa molto semplice; non aveva niente a che fare col coraggio. E sapevo anche, lo capivo dalla sua passività, da come parlava, che Armand mi avrebbe seguito, se fossi ritornato là dentro, che non avrebbe tentato di impedirmelo.

«Avevo ragione. Mi precipitai di nuovo in quel corridoio e lui mi venne dietro, verso la scala che portava alla sala da ballo. Sentivo gli altri vampiri. Sentivo ogni genere di rumore. Il traffico di Parigi. Quella che aveva tutta l’aria di un’assemblea nel sotterraneo del teatro sopra alle nostre teste. E, come giunsi in cima alle scale, vidi Celeste nel vano della porta della sala da ballo. Teneva in mano una di quelle maschere di scena. Mi guardò. Non sembrava allarmata. In realtà, appariva stranamente indifferente.

«Se si fosse precipitata contro di me, se avesse lanciato l’allarme, avrei potuto capirlo. Invece, non fece nulla di tutto questo. Rientrò camminando a ritroso nella stanza da ballo; girò su se stessa, e pareva compiacersi del lieve fluttuare delle sue gonne, pareva muoversi in quel modo per il piacere di vedere le sue gonne allargarsi, e così volteggiando in cerchi sempre più ampi, si lasciò trasportare al centro della sala. Appoggiò la maschera sul viso, e mormorò, dietro a quel teschio dipinto ‘Lestat…: ecco il vostro amico Louis che è venuto a trovarvi. Sbrigatevi, Lestat!’ Lasciò cadere la maschera, e si udì da qualche parte una cascatella di risa. Allora vidi ch’erano tutti riuniti in quella stanza, forme spettrali, sedute qua e là, o in piedi in gruppo. E Lestat, seduto in una poltrona, le spalle ingobbite, col viso rivolto lontano. Mi parve che stesse armeggiando con qualcosa, qualcosa che non riuscivo a vedere; lentamente alzò lo sguardo, e l’onda dei folti capelli biondi gli ricadde sugli occhi. C’era paura nei suoi occhi, senza alcun dubbio. Ora guardava Armand. E Armand attraversò la stanza a passi lenti e regolari; tutti i vampiri si ritrassero, osservandolo. ‘Bonsoir, Monsieur’ Celeste si inchinò al suo passaggio, reggendo quella maschera nella mano come uno scettro. Lui non la degnò d’uno sguardo. Abbassò gli occhi su Lestat e gli domandò: ‘Siete soddisfatto?’

«Gli occhi grigi di Lestat fissavano stupiti Armand e le sue labbra tremavano nello sforzo di articolare una parola. Vedevo che i suoi occhi si riempivano di lacrime. ‘Sì…’ mormorò, e intanto tormentava quel che teneva nascosto sotto il mantello nero. Ma infine mi guardò e le lacrime gli rigarono il viso. ‘Louis’ disse. E la sua voce, ora profonda e piena, rivelava un conflitto insopportabile. ‘Ti prego, devi ascoltarmi. Tu devi tornare…’ E poi, piegando il capo, fece una smorfia di vergogna.

«Santiago in qualche punto della stanza rideva. Armand disse piano a Lestat che doveva andarsene, doveva lasciare Parigi; che era bandito.

«E Lestat restava immobile, con gli occhi chiusi, il volto sfigurato dalla sofferenza. Sembrava un sosia, una creatura sensibile, ferita, che non avevo mai conosciuto. ‘Ti prego’ mormorò, con una voce suadente e tenera, implorante.

«‘Non ti posso parlare in questo posto! Non ti posso spiegare. Tu verrai con me… anche soltanto per poco… fino a che non sarò tornato me stesso?’

«‘Ma questa è pazzia!…’ risposi, e mi portai improvvisamente le mani alle tempie. ‘Lei, dov’è? Lei dov’è?’ Girai lo sguardo sui loro volti immoti, passivi, su quei sorrisi indecifrabili. ‘Lestat’. Lo scossi, afferrandolo per i risvolti del suo mantello nero.

«E allora vidi che cosa aveva in mano. Capii cos’era. In un baleno glielo strappai e lo fissai ammutolito, quel fragile cosino di seta… l’abito giallo di Claudia. Lestat portò la mano alle labbra e voltò la faccia dall’altra parte. Scoppiò in singhiozzi, lievi singhiozzi repressi, e io lo guardavo fisso, guardavo il vestito di Claudia. Le mie dita scorrevano lentamente sulle lacrime di cui era intriso, sulle macchie di sangue, le mie mani lo stringevano tremando e lo premevano forte contro il mio petto.

«Per un istante che mi parve un’eternità, restai immobile, senza reagire. Il tempo non aveva alcun rapporto con me, né con quei vampiri che mi riempivano le orecchie delle loro risa leggere, eteree. Ricordo che avrei desiderato tapparmi le orecchie con le mani, ma non volevo lasciare il vestito, non riuscivo a smettere di piegarlo sempre di più, fino a che potei nasconderlo tra le mani. Ricordo una fila di candele accese, una fila disuguale di candele che mi apparivano una dopo l’altra contro le pareti dipinte. C’era una porta spalancata sulla pioggia, e le candele sibilavano e soffiavano nel vento, come se le fiammelle venissero strappate dagli stoppini. E invece erano fisse al loro posto. Sapevo che Claudia era al di là della porta. Le candele si mossero. I vampiri le tenevano in mano. Santiago ne reggeva una e, con un inchino, mi invitò a varcare la porta. Io quasi non mi accorgevo della sua esistenza. Non mi curavo né di lui né degli altri. Qualche cosa dentro di me mi diceva: ‘Se tu badi a loro, diventerai pazzo. E poi non contano. Lei sola conta. Dov’è lei? Trovala’. E la loro risata era lontana, sembrava avere un colore e una forma ma far parte del nulla.

«Poi attraverso la porta aperta vidi qualcosa che avevo visto prima, molto, molto tempo prima. Nessuno sapeva di questa cosa tranne me. No. Lestat ne era a conoscenza. Ma non aveva importanza. Adesso non l’avrebbe saputo, né l’avrebbe capito. Che io e lui avevamo visto quella scena, fermi, in piedi, sulla porta della cucina di mattoni in Rue Royale; due creature che erano state vive, ora bagnate, rattrappite, la madre e la figlia, l’una nelle braccia dell’altra, assassinate sul pavimento della cucina. Ma queste due che giacevano sotto la pioggia sottile erano Madeleine e Claudia, e i bei capelli rossi di Madeleine si mescolavano con l’oro dei capelli di Claudia, che ondeggiavano e risplendevano nel vento che sibilava attraverso la porta aperta. Solo ciò che era stato vivo era stato distrutto dal fuoco: non i capelli, non il lungo abito di velluto svuotato, non la piccola camicia macchiata di sangue dagli occhielli di merletto bianco. E quella cosa annerita, bruciacchiata, rinsecchita che era stata Madeleine, serbava ancora sul volto l’espressione della vita, e la mano che teneva stretta la bambina era intera come la mano d’una mummia. Ma la bambina, quell’antica bambina, la mia Claudia, era cenere.

«Un urlo crebbe dentro di me, un selvaggio, devastante urlo che veniva dalle viscere del mio essere, si alzava come il vento in quel luogo angusto, il vento che faceva turbinare la pioggia tamburellante su quelle ceneri, che batteva sull’impronta di una piccola mano sui mattoni, che sollevava quei capelli biondi, quelle ciocche sparse che volavano verso l’alto. E mentre lanciavo quest’urlo disperato, un colpo mi stordì; abbracciai quello che credevo essere Santiago, e lo assalii, per distruggerlo, gli torsi quella bianca faccia sogghignante con le mie mani, in una morsa da cui non riusciva a liberarsi, contro la quale imprecava, urlando, e le sue urla si mescolavano alle mie. I suoi stivali calpestavano quelle ceneri e io, accecato dalla pioggia e dalle lacrime, lo scagliai lontano e lo feci cadere a terra. Mi slanciai contro di lui, ma lui tese una mano. E mi accorsi che stavo lottando con Armand. Armand, che mi stava spingendo fuori dal piccolo cimitero, verso i turbinosi colori della sala da ballo, verso le grida, le voci confuse, verso quelle dure risate metalliche.

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