Anne Rice - Intervista col vampiro

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Intervista col vampiro: краткое содержание, описание и аннотация

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In una stanza d’albergo Louis racconta la sua vita ad un esterrefatto giornalista, la lunghissima, estenuante vita di un vampiro. Duecento anni assieme al suo maestro Lestat ed alla piccola Claudia, duecento anni in giro per il mondo, nascondendosi dalla luce e succhiando sangue…

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«Fossi stato all’erta, non avrei mai lasciato che accadesse. Ingannato da preoccupazioni più grandi, non lo notai affatto. Una lampada spenta, una candela soffocata dal tremolio della sua pozza bollente di cera. Attraverso le palpebre semichiuse, ebbi la sensazione dell’incombente oscurità, di essere imprigionato nelle tenebre.

«E poi aprii gli occhi, senza pensare più a lampade né a candele. Ed era troppo tardi. Ricordo ch’ero in piedi, la mano di Claudia scivolava sul mio braccio, e ricordo la visione di una schiera di uomini e donne vestiti di nero che attraversavano le stanze, i loro abiti parevano raccogliere la luce da ogni bordo dorato o superficie laccata, parevano prosciugarla tutta. Lanciai un grido non appena li vidi, gridai per avvertire Madeleine; la vidi svegliarsi di soprassalto, una novizia terrorizzata che si afferrava al bracciolo della poltrona, poi cadeva in ginocchio, facile preda. Santiago e Celeste venivano verso di noi, e dietro loro Estelle e altri di cui ignoravo il nome che riempivano gli specchi e si accalcavano a formare muri di ombra mobile, minacciosa. Gridai a Claudia di fuggire, spalancando la porta. La spinsi per la porta, poi mi allungai per proteggere l’uscita, tirando calci contro Santiago che era sopraggiunto.

«La debole difesa che gli avevo opposto nel Quartiere latino non era nulla a paragone della forza che possedevo ormai. Forse ero troppo indebolito nell’animo per poter combattere con convinzione per difendere me stesso, ma l’istinto di proteggere Madeleine e Claudia era troppo potente. Ricordo d’aver respinto Santiago con un calcio e poi d’aver colpito la bella, vigorosa Celeste, che cercava di superarmi. I piedi di Claudia risuonavano sulla lontana scala di marmo. Celeste barcollava, mi ghermiva, m’afferrava e mi graffiava il viso fino a farmi colare il sangue sul colletto. Lo vedevo luccicare con la coda dell’occhio. Ora ero avvinghiato a Santiago, mi rotolavo con lui, conscio della forza spaventosa delle braccia che mi tenevano, delle mani che cercavano di stringermi la gola. ‘Battiti, Madeleine’ gridai. Ma sentivo solo i suoi singhiozzi. Poi la vidi in un gorgo, smarrita, rigida, terrorizzata, circondata da altri vampiri. Ridevano di quel riso vuoto dei vampiri simile a campane d’argento. Santiago si portò le mani al viso. I miei denti gli avevano cavato sangue. Gli colpivo il petto, la testa, il dolore mi bruciava dentro il braccio, mi sentii stringere il petto da due braccia, mi liberai, udii il fragore del vetro rotto dietro di me. Ma qualcos’altro, qualcun altro m’attanagliava un braccio e mi tirava con forza e tenacia.

«Non ricordo quando mi vennero meno le forze. Né ricordo un momento preciso in cui qualcuno mi battè. Rammento solo d’essere stato schiacciato dal numero. Irrimediabilmente fui immobilizzato, circondato e trascinato fuori dall’appartamento. Fui spinto lungo il corridoio dalla calca dei vampiri; e poi caddi dagli scalini, mi trovai libero per un attimo davanti alle strette porte di servizio dell’albergo, ma solo per essere circondato nuovamente e tenuto stretto. Vedevo il viso di Celeste molto vicino al mio e, se avessi potuto, l’avrei ferita coi denti. Perdevo molto sangue, e mi stringevano così forte un polso che non avevo più sensibilità in quella mano. Madeleine era vicina a me e non aveva smesso di piangere. Fummo caricati in una carrozza. Mi colpirono ripetutamente, ma ancora non persi conoscenza. Ricordo che mi aggrappavo tenacemente ai miei sensi, sentivo quei colpi dietro la testa, sentivo la testa bagnata di sangue che mi gocciolava giù per il collo, mentre giacevo sul fondo della carrozza. Pensavo soltanto: ‘Riesco a sentire il movimento della carrozza; sono vivo; sono cosciente’.

«E non appena fummo trascinati dentro il Teatro dei Vampiri, mi misi a gridare il nome di Armand.

«Mi lasciarono andare. Vacillai sui gradini del sotterraneo, circondato davanti e dietro da quell’orda che mi spingeva con mani minacciose. A un certo punto afferrai Celeste, lei urlò, e qualcuno mi colpì da dietro.

«E poi vidi Lestat: il colpo più atroce. Lestat, al centro della sala da ballo, diritto, coi grigi occhi acuti e penetranti e la bocca che si distendeva in un grazioso sorriso. Era vestito in modo impeccabile, come sempre, splendido nell’ampio mantello nero e nei lini finissimi; ma le cicatrici solcavano ancora ogni centimetro della sua bianca carne. E come alteravano il bel viso teso, quei fili duri e sottili che incidevano la pelle delicata sopra alle labbra, sulle palpebre, sulla liscia convessità della fronte. E gli occhi gli bruciavano di un’ira muta che pareva infusa di vanità, una spaventosa, inesorabile vanità che diceva: ‘Vedi che cosa sono!’

«‘È lui?’ chiese Santiago, spingendomi avanti.

«Ma Lestat si girò con violenza verso di lui e gli sibilò con voce aspra e bassa: ‘Ti ho detto che volevo Claudia, la bambina! È stata lei!’ Vidi la sua testa muoversi involontariamente con quello scoppio d’ira e la sua mano protendersi come se volesse afferrarsi al bracciolo di una poltrona, ma si richiuse subito e Lestat si riprese, guardandomi.

«‘Lestat’ incominciai, intravedendo ormai le poche possibilità che mi restavano. ‘Tu sei vivo! Hai la tua vita! Racconta loro come ci hai trattato…’

«‘No’ scosse furiosamente la testa. ‘Ritornerai da me, Louis’ disse.

«Per un attimo non potei credere alle mie orecchie. Dentro di me, la mia parte più saggia, più disperata implorò: ‘Cerca di trattare con lui’ nel momento stesso in cui una risata sinistra sgorgò dalle mie labbra. ‘Tu sei pazzo!’

«‘Ti restituirò la tua vita! ‘ esclamò, e le palpebre gli tremavano per lo sforzo di quelle parole, il petto si gonfiava, quella mano si tendeva nuovamente e si chiudeva impotente nel buio. ‘Me l’hai promesso’ disse a Santiago, ‘che avrei potuto riportarlo con me a New Orleans’. Mosse lo sguardo dall’uno all’altro dei vampiri che ci circondavano; il suo respiro divenne un rantolo furibondo, infine proruppe: ‘Claudia, dov’è? È lei, è stata lei, te l’ho detto!’

«‘Tra un momento’ rispose Santiago. E quando fece per toccare Lestat, questi si ritrasse e mancò poco che perdesse l’equilibrio. Aveva trovato il bracciolo della poltrona e vi si afferrò saldamente, con gli occhi chiusi, finché non riprese il controllo.

«‘Ma lui l’ha aiutata, ha collaborato con lei…’ balbettò Santiago, avvicinandosi a lui. Lestat lo guardò.

«‘No’ rispose. ‘Louis, devi tornare da me. C’è qualcosa che devo dirti… di quella notte nella palude’. Ma poi si fermò e di nuovo si guardò intorno, con lo sguardo di chi è intrappolato, ferito, disperato.

«‘Ascoltami, Lestat’ incominciai. ‘Tu lasciala andare, lasciala libera… e io… io tornerò da te’. Le mie parole suonarono vuote, metalliche. Cercai di fare un passo verso di lui, di rendere i miei occhi duri e indecifrabili, di sentire il mio potere emanarne come due raggi di luce. Lestat mi guardava, mi studiava, lottando incessantemente con la sua fragilità. E Celeste mi teneva il polso. ‘Devi dirglielo’ continuai, ‘come ci hai trattato; che non conoscevamo le leggi; che lei non sapeva che esistessero altri vampiri’ dissi. E continuavo a pensare, mentre quella voce meccanica usciva dalle mie labbra: ‘Armand deve ritornare stanotte, Armand deve ritornare. Lui li farà smettere, non lascerà che questa cosa continui’.

«Sentii il rumore di qualcosa che si trascinava sul pavimento. Sentii il pianto sfinito di Madeleine. Mi guardai intorno e la vidi in una poltrona: quando vide i miei occhi su di lei, il suo terrore parve aumentare. Cercò d’alzarsi, ma glielo impedirono. ‘Lestat’ dissi. ‘Che vuoi da me? Ti darò tutto quello che…’

«E in quell’istante vidi che cosa produceva quel rumore. Anche Lestat la vide. Era una bara con grosse serrature di ferro che veniva trascinata nella stanza. Capii subito. ‘Dov’è Armand?’ domandai disperato.

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