Anne Rice - Intervista col vampiro
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- Название:Intervista col vampiro
- Автор:
- Издательство:Salani
- Жанр:
- Год:1977
- Город:Firenze
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«‘E il ragazzo, Denis? Che intendi fare con lui?’
«‘È morto’ rispose.
«Ero allibito. Sia per le sue parole che per la sua calma. ‘L’hai ucciso?’ farfugliai.
«Annuì. E non disse nulla. Ma i suoi grandi occhi scuri sembravano incantati da me, dall’emozione, dallo sconvolgimento che non tentavo di dissimulare. Il suo dolce, sottile sorriso sembrava trascinarmi vicino a lui; le sue mani si chiusero sulle mie sul davanzale bagnato e io sentii il mio corpo girarsi per mettersi di fronte a lui, avvicinarsi a lui, come se fosse lui a muovermi e non io stesso. ‘Meglio così’ mi concedette benevolmente. ‘Ora dobbiamo andare…’ E diede un’occhiata alla strada.
«‘Armand’ dissi. ‘Io non posso…’
«‘Louis, seguimi’ sussurrò. E poi, sul davanzale, si fermò. ‘Anche se tu dovessi cadere sul selciato laggiù’ disse, ‘ti faresti male solo per poco. Guariresti così rapidamente e perfettamente che in pochi giorni non ti rimarrebbe più alcun segno, le tue ossa e la tua pelle guarirebbero insieme; perciò lascia che questa conoscenza ti renda libero di fare quanto già sai fare con tanta facilità. Scendi, ora’.
«‘Che cosa può uccidermi?’ domandai.
«Si fermò di nuovo. ‘La distruzione dei tuoi resti’ disse. ‘Non lo sai questo? Il fuoco, lo smembramento… il calore del sole. Nient’altro. Ti possono restare delle cicatrici, sì; ma sei elastico. Sei immortale’.
«Guardavo giù nell’oscurità attraverso la quieta pioggia d’argento. Poi una luce tremolò al di sotto dei grossi rami che s’agitavano, e i pallidi raggi che emanava illuminarono la strada. Il selciato bagnato, il gancio di ferro del campanello sul deposito delle carrozze, i rampicanti abbarbicati al muro. La grossa carcassa nera d’una carrozza sfiorò i rampicanti, poi la luce s’indebolì, la strada trascolorò dal giallo all’argento e svanì completamente, come se gli alberi scuri l’avessero ingoiata. O meglio, come se fosse stata rapita dalle tenebre. Mi girava la testa. Sentivo muoversi tutta la casa. Armand era seduto sul davanzale e mi guardava.
«‘Louis, vieni con me stanotte’ sussurrò improvvisamente, con leggera insistenza.
«‘No’ risposi dolcemente. ‘È troppo presto. Non posso ancora abbandonarle’.
«Lo vidi girare la testa e guardare il cielo grigio. Mi sembrò che sospirasse, ma non lo sentii. Sentii la sua mano chiudersi sulla mia sul davanzale. ‘Va bene…’ mormorò.
«‘Ancora un po’ di tempo…’ dissi. Lui annuì e mi sfiorò la mano come a dire che andava tutto bene. Fece ondeggiare le gambe e sparì. Per un attimo esitai, schernito dal battito violento del mio cuore. Ma poi scavalcai il davanzale e, lo seguii senza mai osare guardar giù».
«Mancava molto poco all’alba quando infilai la chiave nella toppa all’albergo. La luce a gas sfolgorava lungo le pareti. E Madeleine, con l’ago e il filo in mano, s’era addormentata presso il caminetto. Claudia era in piedi, immobile, e mi guardava tra le felci della finestra, in ombra. Aveva in mano la spazzola. I suoi capelli brillavano.
«Provai una specie di choc, come se tutti i piaceri e i turbamenti sensuali di quelle stanze mi attraversassero in un’onda e il mio corpo ne venisse permeato. Era tutto così diverso dall’incanto di Armand e della torre dov’ero stato. C’era qualcosa di confortante, qui, e di inquietante. Cercai la mia poltrona. Mi ci sedetti, con le mani sulle tempie. E poi sentii Claudia vicino a me, le sue labbra sulla mia fronte.
«‘Sei stato con Armand’ disse. ‘Vuoi andare con lui’.
«La guardai. Com’era dolce e bello il suo viso e, improvvisamente, com’era mio. Non provai alcun rimorso cedendo al bisogno di toccare le sue guance, di sfiorarle leggermente le palpebre — familiarità, libertà che non mi prendevo con lei dalla notte del nostro litigio. ‘Ci vedremo ancora; non qui, in altri posti. Saprò sempre dove sei!’ le risposi.
«Mi buttò le braccia al collo. Mi strinse forte, io chiusi gli occhi e seppellii il viso nei suoi capelli. Le coprivo il collo di baci. La tenevo per le braccine rotondette e sode. Le baciavo la morbida insenatura della carne nella piega delle braccia, i polsi, le palme aperte. Sentivo le sue dita carezzarmi i capelli, il viso. ‘Qualunque cosa tu desideri’ promise. ‘Qualunque cosa tu desideri’.
«‘Sei felice? Hai quello che vuoi?’ le domandai implorante.
«‘Sì, Louis’. Mi stringeva al suo vestito, premendomi la nuca con le dita. ‘Ho tutto ciò che voglio. Ma tu sai veramente ciò che vuoi?’ Mi sollevò il viso, di modo che dovetti guardarla negli occhi. ‘È per te che ho paura, paura che tu stia commettendo un errore fatale. Perché non lasci Parigi con noi!’ disse improvvisamente. ‘Abbiamo tutto il mondo, vieni con noi!’
«‘No!’ Mi tirai indietro. ‘Tu vuoi che sia come era con Lestat. Non può più essere così, mai più. Non lo sarà’.
«‘Sarà nuovo e diverso con Madeleine. Non voglio che sia come allora. Sono stata io a farlo finire’ disse. ‘Ma tu capisci veramente a che cosa vai incontro con Armand?’
«Le voltai le spalle. C’era qualcosa di testardo e di misterioso nella sua avversione per lui, nella sua incapacità di capirlo. Avrebbe detto ancora che Armand desiderava la sua morte, cosa alla quale non credevo. Lei non si rendeva conto di una cosa che io avevo capito: lui non poteva volere la sua morte, perché io non la volevo. Ma come potevo spiegarglielo senza apparire presuntuoso e cieco nel mio amore per lui? ‘E destino che sia così. È quasi una specie di ordine’ dissi, come se me ne rendessi conto solo in quel momento, sotto la pressione dei suoi dubbi. ‘Lui solo può darmi la forza di essere ciò che sono. Non posso continuare a vivere diviso e consumato dall’infelicità. O andrò con lui, o morirò. E c’è qualcos’altro, che è irrazionale, che non si può spiegare e che convince solo me…’
«‘…e cioè?’ domandò lei.
«‘Che lo amo’ risposi.
«‘Ah, senza dubbio’ riflette. ‘Ma d’altra parte potresti amare anche me’.
«‘Claudia, Claudia’ l’attirai a me e sentii il suo peso sul mio ginocchio. Lei si strinse al mio petto.
«‘Spero solo che quando avrai bisogno di me tu riesca a trovarmi…’ sussurrò. ‘Che io possa tornare da te… così spesso t’ho fatto del male. Ti ho fatto tanto soffrire…’ Le uscivano a stento le parole. Restò immobile contro di me. Sentivo il suo peso e pensavo: ‘Tra poco non l’avrò più’. Desideravo solo stringerla. Avevo sempre trovato tanto piacere in quella semplice cosa. Il suo peso addosso a me, quella mano appoggiata al mio collo.
«Mi parve che una lampada si spegnesse da qualche parte. Che dall’aria fredda e umida, all’improvviso e senza rumore, quella luce venisse portata via. Ero al confine del sogno. Se fossi stato mortale, sarei stato felice di addormentarmi così. E in quel piacevole stato di sonnolenza ebbi una strana, vecchia sensazione da mortale: che il sole m’avrebbe risvegliato dolcemente più tardi e che avrei avuto la ricca, consueta visione delle felci nel sole e del sole sulle goccioline di pioggia. Mi abbandonai a quella sensazione. Socchiusi gli occhi.
«Molte volte, dopo, cercai di ricordare quei momenti. Ricordare cosa fu esattamente in quelle stanze, nel nostro riposo, che incominciò a disturbarmi, che avrebbe dovuto disturbarmi. Come avvenne che, avendo abbassato la guardia, fossi diventato insensibile ai soliti cambiamenti che dovettero prodursi. Molto tempo dopo, pesto, spogliato e amareggiato più di quanto mi sarei potuto sognare nei miei peggiori incubi, riandai attentamente a quei momenti, quei sonnolenti, tranquilli momenti che s’avvicinavano al mattino, quando l’orologio ticchettava quasi impercettibile sulla mensola del camino e il cielo si faceva sempre più pallido; e tutto ciò che riuscivo a ricordare — nonostante la disperazione con cui cercavo di prolungare e fissare quel momento — tutto ciò che riuscivo a ricordare era il tenue cambiamento della luce.
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