Anne Rice - Intervista col vampiro

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Intervista col vampiro: краткое содержание, описание и аннотация

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In una stanza d’albergo Louis racconta la sua vita ad un esterrefatto giornalista, la lunghissima, estenuante vita di un vampiro. Duecento anni assieme al suo maestro Lestat ed alla piccola Claudia, duecento anni in giro per il mondo, nascondendosi dalla luce e succhiando sangue…

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«‘Ho detto che ti voglio. Più d’ogni altra cosa al mondo’ ripeté, con un sottile cambiamento di espressione. E poi rimase ad aspettare, a guardare. Il suo viso era tranquillo come sempre, la sua fronte liscia, bianca sotto la massa dei capelli ramati, senza traccia di affanni, i suoi occhi grandi che mi studiavano, le sue labbra immobili.

«‘Tu vuoi questo da me, eppure da me non vieni’ continuò. ‘Ci sono cose che vuoi sapere, e non chiedi. Vedi che Claudia si sta allontanando lentamente da te, eppure sembri totalmente incapace di impedirlo; e poi vorresti affrettare questo processo, però non fai niente’.

«‘Io non capisco i miei sentimenti. Forse sono più chiari a te di quanto lo siano a me…’

«‘Non immagini neppure che mistero sei!’

«‘Ma almeno tu ti conosci fino in fondo. Io non posso dire altrettanto. Io la amo, eppure non le sono vicino. Voglio dire che quando sono con te, come ora, io so di non sapere niente di lei, niente di nessuno’.

«‘Per te, lei è un’epoca, un’epoca della tua vita. Se e quando romperai con lei, romperai con la sola persona viva che ha diviso con te tutto questo tempo. Tu temi questo, l’isolamento, il fardello, la libertà d’azione della vita eterna’.

«‘Sì, è vero, ma è solo una piccola parte della verità. Quest’epoca non significa molto per me. È stata lei a far sì che significasse qualcosa. Altri vampiri devono aver vissuto il passaggio di un’epoca ed essere sopravvissuti, di un centinaio di epoche’.

«‘Ma non sono sopravvissuti’ rispose. ‘Il mondo sarebbe intasato di vampiri se fossero sopravvissuti. Come credi che sia arrivato a essere il più vecchio, qui come in qualunque altro posto?’

«Ci riflettei. Poi azzardai: ‘Sono morti di morte violenta?’

«‘No, quasi mai. Non è necessario. Quanti vampiri credi che abbiano la tempra per l’immortalità? Tanto per cominciare, molti hanno dell’immortalità una concezione estremamente squallida. Perché diventando immortali vogliono che tutte le forme della loro vita vengano fissate così come sono e rimangano incorruttibili: carrozze della stessa foggia immutata e affidabile, abiti con il taglio che si addiceva alla loro giovinezza, uomini che si abbigliano e parlano nel modo che hanno sempre capito e apprezzato. Quando, in realtà, tutte queste cose cambiano, tranne il vampiro stesso; ogni cosa, eccetto il vampiro, è soggetta a costante corruzione e alterazione. Presto, se si ha una mentalità rigida, e spesso anche quand’è elastica, l’immortalità diventa una detenzione in un manicomio di figure e di forme irrimediabilmente incomprensibili e prive di valore. Una sera un vampiro si alza e si rende conto di ciò che ha temuto forse per decenni: semplicemente che non vuoi più saperne di vivere, a nessun costo. Che qualunque stile o modo o forma di esistenza che gli aveva reso piacevole l’immortalità è stato spazzato via dalla faccia della terra. E che non resta altra fuga dalla disperazione che l’atto di uccidere. E quel vampiro va a morire. Nessuno troverà i suoi resti. Nessuno saprà dov’è andato. E spesso nessuno di quelli che gli sono vicini — sempre che ancora cercasse la compagnia di altri vampiri — nessuno saprà che versa nella disperazione. Avrà cessato da molto tempo di parlare di se stesso o di qualunque cosa. Svanirà’.

«M’abbandonai nella poltrona, impressionato da quell’ovvia verità, e tuttavia, al tempo stesso, ogni cosa dentro me si rivoltava contro quella prospettiva. Mi resi conto della profondità della mia speranza e del mio terrore; di come questi sentimenti fossero diversissimi dall’alienazione che aveva descritto, diversissimi da quell’orribile disperazione distruttiva. C’era qualcosa di immorale e di repellente in quella disperazione. Non la potevo accettare.

«‘Ma tu non ti lasceresti mai vincere da un simile stato d’animo’ mi trovai a rispondergli. ‘Se anche non restasse più una sola opera d’arte al mondo… e ce ne sono migliaia… se non ci fosse più una sola bellezza naturale… se il mondo si riducesse a una sola cella vuota e una sola fragile candela, non posso fare a meno di vederti là a studiare quella candela, assorto nel tremolio della sua luce, nel cambiamento dei suoi colori… per quanto tempo potrebbe sorreggerti… che possibilità potrebbe creare? Mi sbaglio? Sono un pazzo idealista?’

«‘No’ rispose Armand. Un breve sorriso apparve sulle sue labbra, un’evanescente vampa di piacere, poi continuò con semplicità. ‘Ma tu senti un impegno verso un mondo che ami perché per te questo mondo è ancora intatto. È anche possibile che la tua stessa sensibilità diventi strumento di follia. Tu parli di opere d’arte e di bellezza naturale. Vorrei avere il potere artistico di far rivivere per te la Venezia del quindicesimo secolo, il palazzo del mio padrone, l’amore che provavo per lui quand’ero un ragazzo mortale e l’amore che lui provava per me quando mi fece vampiro. Oh, se solo potessi riportare in vita quei tempi, per te o per me… solo per un istante! A che servirebbe? E quanto è triste che il tempo non sbiadisca il ricordo di quel periodo, ch’esso diventi sempre più ricco e incantato alla luce del mondo che vedo oggi’.

«‘Amore?’ domandai. ‘C’era amore tra te e il vampiro che ti fece?’ Mi protesi in avanti.

«‘Sì’ confermò. ‘Un amore tanto forte che lui non poteva lasciarmi invecchiare e morire. Un amore che attese pazientemente finché io fui abbastanza forte da poter nascere alle tenebre. Vuoi dirmi che non c’era nessun legame d’amore tra te e il vampiro che ti ha fatto?’

«‘Nessuno’ risposi immediatamente. Non riuscii a reprimere un sorriso amaro.

«Lui mi studiò. ‘Perché allora ti diede questi poteri?’ domandò.

«Mi lasciai cadere contro lo schienale della poltrona. ‘Tu vedi questi poteri come un dono!’ esclamai. ‘Naturalmente. Perdonami, ma mi stupisce come tu, nella tua complessità, riesca a essere così profondamente ingenuo’. E risi.

«‘Dovrei considerarlo un insulto?’ sorrise. E tutto il suo comportamento mi confermò quel che avevo appena detto. Sembrava così innocente. Ero ancora lontano dal comprenderlo.

«‘No, non da me’ gli dissi, e guardandolo il mio polso accelerò. ‘Tu sei tutto quel che io sognavo quando sono diventato un vampiro. Tu vedi questi poteri come un dono!’ ripetei. ‘Ma dimmi… provi ancora amore per quel vampiro che ti diede la vita eterna? Lo provi, ora?’

«Sembrò riflettere, poi rispose lentamente: ‘Che importanza può avere?’ Ma continuò. ‘Non credo d’aver avuto la fortuna di provare amore per molte persone o cose. Ma sì, io lo amo. Forse non nel modo che intendi tu. Mi fai confondere, e con una certa facilità. Tu sei un mistero. Ma non ho più bisogno di quel vampiro’.

«‘Mi fu donata la vita eterna, una percezione superiore, e il bisogno di uccidere’ spiegai velocemente, ‘perché il vampiro che mi fece voleva la casa che possedevo e il mio denaro. Riesci a capire una cosa del genere?’ domandai. ‘Ah, ma ci sono molte altre cose dietro a quello che dico. Sto arrivando a conoscerle così lentamente, così parzialmente! È come se tu mi avessi sfondato una porta e la luce si riversasse fuori dalla breccia, e io ardo dal desiderio di prenderla, di spingerla indietro, di entrare nella regione che tu dici che esiste al di là. Quando in realtà io non ci credo! Il vampiro che mi ha fatto era tutto ciò che io sinceramente credevo essere il male: squallido, prosaico, arido, e irrimediabilmente ed eternamente deludente, come io credevo che dovesse essere il male! Ora lo so per certo. Ma tu, tu sei qualcosa di completamente diverso! Apri la porta per me, spalancala. Raccontami di questo palazzo di Venezia, di questa storia d’amore con la dannazione. Voglio capire’.

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