Anne Rice - Intervista col vampiro

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Intervista col vampiro: краткое содержание, описание и аннотация

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In una stanza d’albergo Louis racconta la sua vita ad un esterrefatto giornalista, la lunghissima, estenuante vita di un vampiro. Duecento anni assieme al suo maestro Lestat ed alla piccola Claudia, duecento anni in giro per il mondo, nascondendosi dalla luce e succhiando sangue…

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«Mi aggiravo ai margini della stanza, osservavo ogni sua mossa: come prendeva i fiori, li schiacciava tra le mani e lasciava cadere i petali tutt’intorno a sé, come premeva le punte delle dita sullo specchio e si guardava fisso negli occhi. Il mio dolore era cessato, mi ero legato un fazzoletto attorno al polso, e aspettavo, aspettavo, accorgendomi che Claudia non aveva alcun ricordo di quello che sarebbe seguito. Danzavano insieme, e la pelle di Madeleine diventava sempre più pallida nell’instabile luce dorata. Raccolse Claudia nelle sue braccia e Claudia volteggiava con lei, col faccino attento e stanco dietro il sorriso.

«Poi Madeleine s’indebolì. Fece un passo indietro e sembrò perdere l’equilibrio, ma si rimise diritta immediatamente e lasciò scivolare delicatamente al suolo Claudia. Sulle punte dei piedi, Claudia l’abbracciò. ‘Louis’ sussurrò, ‘Louis…’

«Le feci cenno di allontanarsi. E Madeleine, che sembrava non vederci, fissava le proprie mani tese. Il suo viso era bianco e tirato; si fregò le labbra e fissò le macchie scure sulla punta delle dita. ‘No, no!’ l’ammonii gentilmente, prendendo Claudia per mano e tenendola stretta al mio fianco. Un lungo gemito sfuggì dalle labbra di Madeleine.

«‘Louis’ sussurrò Claudia con quella voce soprannaturale che Madeleine non poteva ancora udire.

«‘Sta morendo, una cosa che la tua mente di bimba non ricorda. Ti è stata risparmiata, non ha lasciato traccia su di te’ le mormorai, scostandole delicatamente i capelli dall’orecchio, ma senza distogliere lo sguardo da Madeleine, che errava da uno specchio all’altro. Le lacrime le scorrevano ormai liberamente dagli occhi, e la vita abbandonava il suo corpo.

«‘Ma, Louis, se muore…’ gridò Claudia.

«‘No’. M’inginocchiai, vedendo l’angoscia dipinta sul suo faccino. ‘Il sangue era forte abbastanza: vivrà. Ma avrà paura, una paura terribile’. E con tenerezza, con fermezza, strinsi la mano di Claudia e le baciai la guancia. Lei mi guardò allora con un misto di meraviglia e di paura. Mi avvicinai a Madeleine, richiamato dalle sue grida. Barcollava, con le mani protese: l’afferrai e la strinsi a me. I suoi occhi ardevano già di una luce innaturale, un fuoco violetto si rifletteva nelle sue lacrime.

«‘È la morte umana, solo la morte umana’ le dissi affettuosamente. ‘Vedi il cielo? Ora dobbiamo lasciarlo, e tu devi stringerti a me, sdraiarti al mio fianco. Un sonno pesante come la morte scenderà sulle mie membra, e non potrò confortarti. Dovrai lottare da sola. Ma stringiti a me nell’oscurità, mi senti? Stringi le mie mani, e io stringerò le tue finché potrò’.

«Per un attimo sembrò perdersi nel mio sguardo, e io percepii la meraviglia che la circondava, come lo splendore dei miei occhi fosse per lei lo splendore di tutti i colori. La guidai dolcemente verso la bara, dicendole ancora di non avere paura. ‘Quando ti sveglierai, sarai immortale’ le dissi. ‘Nessuna causa naturale di morte potrà colpirti. Vieni, sdraiati’. Vedevo la sua paura, la vedevo ritrarsi dalla stretta cassa, il cui raso non le era di alcun conforto. Già la sua pelle cominciava a rilucere, a possedere la stessa luminosità mia e di Claudia. Ora sapevo che non si sarebbe lasciata andare finché non mi fossi sdraiato con lei.

«La strinsi a me e guardai, in fondo alla stanza, il punto dove Claudia stava in piedi, accanto a quella strana bara, e mi guardava. I suoi occhi erano calmi ma oscurati da un indefinibile sospetto, da una fredda diffidenza. Feci sedere Madeleine accanto al suo letto e mi incamminai verso quegli occhi. Mi inginocchiai tranquillamente accanto a Claudia e la presi tra le braccia. ‘Non mi riconosci?’ le domandai. ‘Non sai chi sono io?’

«Lei mi guardò. ‘No’ rispose.

«Sorrisi e abbassai il capo. ‘Non serbarmi rancore’ le dissi. ‘Siamo pari’.

«Allora piegò la testa da un lato e mi studiò attentamente, poi sembrò sorridere a dispetto di se stessa e annuire col capo.

«‘Perché, vedi’ le dissi, con la stessa voce calma, ‘ciò che è morto stanotte in questa stanza non è quella donna. Le ci vorranno molte notti per morire, forse anni. Ciò che è morto in questa stanza stanotte sono le mie ultime vestigia di umanità’.

«Un’ombra le calò sul viso; chiara, come se la sua compostezza venisse stracciata come un velo. Schiuse le labbra, ma solo per respirare appena. Poi disse: ‘Be’, allora hai ragione. Davvero. Siamo pari’.

«‘Voglio bruciare il negozio di bambole!’

«Fu Madeleine a dircelo. Stava bruciando nel fuoco del caminetto i vestiti della figlia morta, pizzi bianchi e lini beige, scarpe accartocciate, cappellini che odoravano di palline di canfora e di sacchetti di profumo. ‘Ormai non significa più niente, nessuna di queste cose’. Restò in piedi a osservare il fuoco che divampava. E guardava Claudia con occhi trionfanti, ferocemente devoti.

«Non le credevo, tanto ero sicuro — anche se, notte dopo notte, avevo dovuto condurla via dagli uomini e dalle donne che non poteva più prosciugare, tanto s’era saziata col sangue delle uccisioni precedenti, spesso alzando le vittime dal suolo nell’impeto della passione, spezzando loro la gola con le sue dita d’avorio, con la stessa sicurezza con cui beveva il loro sangue — tanto ero sicuro che presto o tardi quella folle intensità doveva diminuire, e Madeleine avrebbe visto con altri occhi gli ornamenti di questo incubo, la propria pelle luminescente, queste stanze sontuose all’albergo Saint-Gabriel, e avrebbe gridato di essere svegliata, di essere libera. Non aveva capito che non si trattava di un esperimento; mostrava i suoi nuovi denti agli specchi dalle cornici dorate, era pazza.

« Ma ancora non avevo capito quanto fosse pazza e abituata a sognare; e che non avrebbe reclamato la realtà, ma piuttosto dato la realtà in pasto ai suoi sogni, elfo diabolico che alimenta il suo filatoio con i pettini del mondo per potersi creare la tela del proprio universo personale.

«Stavo appena cominciando a capire la sua avidità, la sua magia.

«Aveva acquisito una notevole abilità nel costruire bambole facendo col suo vecchio amante continue riproduzioni della figlia morta che, come avevo capito, affollavano gli scaffali del negozio che presto avremmo visitato. Inoltre, possedeva l’abilità e lo zelo di un vampiro, tanto che, una notte in cui l’avevo distolta dall’uccidere, con lo stesso insaziabile bisogno, aveva creato con pochi pezzi di legno, un cesello e un coltello, una perfetta sedia a dondolo in miniatura, di forma e proporzioni tali che Claudia, seduta accanto al fuoco, sembrava una donna adulta. A questa aggiunse, col passare delle notti, una tavola delle stesse proporzioni; e da un negozio di giocattoli una minuscola lampada a olio, una tazzina e un piattino di porcellana; dalla borsa di una signora un taccuino di appunti rilegato in pelle che nelle mani di Claudia diventava un grosso volume. Il mondo si sbriciolava e cessava di esistere ai confini del piccolo spazio che aveva preso le dimensioni dello spogliatoio di Claudia: un letto le cui colonne mi arrivavano ai bottoni del panciotto, piccoli specchi che riflettevano le gambe di un goffo gigante, quando mi ci trovai sperduto; quadri appesi bassi, all’altezza degli occhi di Claudia; e infine, sulla piccola toeletta, guantini neri da sera, una veste scollata di velluto nero, un diadema preso da un ballo mascherato per bambini. E Claudia, il gioiello supremo, una reginetta delle fate con bianche spalle nude, s’aggirava con le sue trecce lucenti nel suo minuscolo mondo. Io l’osservavo dalla porta, ammaliato, sgraziato, disteso sul tappeto in modo da poter appoggiare la testa sul gomito e guardare negli occhi la mia amante, occhi che vedevo misteriosamente addolciti, per il momento, dalla perfezione di quel santuario. Com’era bella vestita di pizzo nero: una donna fredda, con i capelli biondo chiari, una faccia da cherubino e occhi liquidi che mi guardavano tanto placidamente e tanto a lungo che sicuramente dovevano avermi dimenticato; quegli occhi dovevano vedere qualcun altro disteso sul pavimento; qualcos’altro che non fosse il goffo universo che mi circondava, delimitato e invalidato da qualcuno che vi aveva sofferto, che aveva sempre sofferto ma che ora non sembrava più soffrire, ma bearsi nel tintinnio di un carillon, nel ticchettio di un orologio giocattolo. Ebbi una visione di ore accorciate e di piccoli minuti dorati, e l’impressione di essere pazzo.

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