Anne Rice - Intervista col vampiro
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- Название:Intervista col vampiro
- Автор:
- Издательство:Salani
- Жанр:
- Год:1977
- Город:Firenze
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«Pensando a questo, vidi il viso di Babette contorto dall’odio quando reggeva la lanterna aspettando di accenderla, vidi Lestat nella mia mente e lo odiai, e mi sentii dannato, sì, quello era l’inferno, e in quell’istante mi chinai, e penetrai con violenza in quel morbido, piccolo collo, udii la piccina gridare, e col sangue caldo sulle mie labbra, le sussurrai: ‘È solo un momento, poi non ci sarà più dolore’. Ma era stretta a me, e presto non fui più capace di dire niente. Per quattro anni non avevo assaporato un essere umano; e ora sentivo il suo cuore con quel terribile ritmo, e che cuore! Non il cuore d’un uomo o d’un animale, ma il rapido, tenace cuore d’un bambino, che pulsava sempre più forte, rifiutandosi di morire, battendo come un piccolo pugno bussa alla porta, gridando: ‘Non morirò, non morirò, non posso morire, non posso morire…’ Credo d’essermi alzato in piedi ancora avvinto a lei, il suo cuore che trascinava il mio sempre più velocemente, senza speranza di tregua: il sangue scorreva troppo veloce per me, la stanza roteava. Poi, senza volerlo, fissai lo sguardo al di sopra della sua testa reclinata, della sua bocca aperta, attraverso l’oscurità, sul viso di sua madre; e attraverso le palpebre semichiuse i suoi occhi mandavano bagliori verso me, come fossero vivi! Gettai a terra la bambina. S’accasciò come una bambola snodata. Voltandomi per fuggire, in preda a orrore cieco per la madre, vidi la finestra riempita da una forma familiare. Era Lestat, che ora indietreggiava ridendo, il corpo piegato in una specie di balletto nella strada fangosa. ‘Louis, Louis’ mi scherniva, puntando contro di me un lungo dito ossuto, come a dire che m’aveva colto in flagrante. Poi con un balzo scavalcò il davanzale, mi cacciò da parte, afferrò dal letto il corpo fetido della madre e accennò dei passi di danza con lei».
«Mio Dio!» sussurrò il ragazzo.
«Sì, credo d’averlo detto anch’io» riprese il vampiro. «Inciampò nella bambina mentre trascinava la madre in cerchi sempre più grandi, cantando e ballando; i capelli ingarbugliati della donna le ricadevano sul viso, poi la testa le si rovesciò all’indietro e un liquido nero le sgorgò dalla bocca. Lestat la buttò per terra. Io ero uscito dalla finestra e arrancavo per le strade. Mi corse dietro. ‘Hai paura di me, Louis?’ urlava. ‘Hai paura? La bimba è viva, Louis, l’hai lasciata che respirava ancora. Vuoi che torni indietro e la faccia diventare un vampiro? Potrebbe esserci utile, Louis, e pensa a tutti i bei vestitini che le potremmo comprare. Louis, aspetta, Louis! Tornerò indietro a cercarla, se lo desideri!’ Mi corse dietro per tutta la strada fino all’albergo, attraverso i tetti dove avevo sperato di seminarlo, finché saltai dentro la finestra del salotto, mi voltai infuriato, e la chiusi di scatto. Lui la colpì con le braccia distese come un uccello che cerca di volare attraverso il vetro, poi si mise a scuotere l’intelaiatura. Io ero completamente fuori di senno. Andavo avanti e indietro per la stanza pensando a come ucciderlo. M’immaginavo il suo corpo bruciato, accartocciato, sul tetto di sotto. La ragione mi aveva abbandonato, ero diventato puro furore, e quando lui entrò dal vetro rotto lottammo come mai avevamo lottato prima. Fu l’inferno a fermarmi, il pensiero dell’inferno, di noi come due anime dell’inferno che si rivoltano nell’odio. Persi la mia sicurezza, il mio scopo, la mia presa. Ero sul pavimento, e lui in piedi sopra di me, con gli occhi freddi, sebbene il petto gli ansimasse. ‘Sei uno stupido, Louis’ mormorò. La sua voce era calma, tanto calma che mi fece tornare in me. ‘Il sole sta sorgendo’ osservò; il petto anelava leggermente per la lotta, gli occhi si stringevano mentre guardava la finestra. Non l’avevo mai visto così. In qualche modo lo scontro lo aveva infiacchito, o forse era più che fiacchezza. ‘Entra nella bara’ mi disse, senza la minima traccia d’ira. ‘Ma domani notte… parliamo’.
«Ero stupito. Lestat che voleva parlare! Non riuscivo a crederlo. Lestat e io non avevamo mai veramente parlato. Credo di averti descritto con cura i nostri litigi, i nostri rabbiosi battibecchi».
«Era disperato per i soldi, per le vostre case» suggerì il ragazzo. «Oppure era altrettanto spaventato di rimanere solo quanto lo era lei?»
«Anch’io me lo domandai. Pensai persino che volesse uccidermi in qualche modo che ignoravo. Capisci, allora non sapevo perché mi risvegliavo ogni sera a una certa ora, se era automatico oppure no, quando quel sonno simile alla morte mi abbandonava, e perché certe volte succedeva prima di altre. Era una delle cose che Lestat non mi voleva spiegare. Spesso lui si svegliava prima di me. Come t’ho detto, in tutte le cose pratiche mi superava. Quella mattina chiusi la bara con una specie di disperazione.
«Naturalmente, chiudere la bara è sempre fonte di turbamento. È un po’ come sottoporsi a una moderna anestesia. Anche l’errore involontario di un intruso può determinare la morte».
«Ma come poteva fare a ucciderla? Non avrebbe potuto esporla alla luce; lui stesso non avrebbe potuto sopportarla».
«Questo è vero; però, svegliandosi prima di me, avrebbe potuto inchiodarmi la bara. O darle fuoco. Il fatto era che io non sapevo cosa avrebbe potuto fare, cosa poteva sapere che io ancora ignoravo.
«Ma non ci potevo fare niente e col pensiero della donna e della bambina ancora fisso in mente, e il sole che sorgeva, non mi restavano più energie per discutere con lui, così m’abbandonai a incubi orribili».
«Davvero lei sogna!» disse il ragazzo.
« Spesso» rispose il vampiro. «A volte vorrei non sognare. Perché sogni così lunghi e chiari, da mortale, non ne ho mai avuti; e neppure incubi così contorti. Nei primi tempi, questi sogni mi assorbivamo talmente che spesso mi sembrava di combattere contro il risveglio più a lungo che potevo, e talvolta stavo a pensare a questi sogni fino a metà della notte; e spesso vagavo stordito e senza meta cercando di interpretarne il significato. Per molti versi erano elusivi come i sogni dei mortali. Per esempio sognai mio fratello vicino a me, a metà tra la vita e la morte, che mi chiedeva aiuto. Spesso sognavo Babette; e spesso — quasi sempre — c’era un grande sfondo di terreno incolto, quel deserto notturno che avevo visto quando Babette mi maledì. Era come se tutte queste figure camminassero e parlassero sulla dimora desolata della mia anima dannata. Non ricordo cosa sognai quel giorno, forse perché ricordo troppo bene la discussione che ci fu tra me e Lestat la sera seguente. Vedo che anche tu sei ansioso di ascoltarla.
«Come dicevo, Lestat mi aveva sbalordito per quella sua nuova calma, quella ponderatezza. Ma la sera, quando mi risvegliai, non lo ritrovai così, non subito. Nel salotto c’erano due donne e parecchie candele disseminate sui tavolini e sul buffet intagliato; Lestat teneva una donna tra le braccia e la baciava. Era molto ubriaca e molto bella, una grande bambola drogata con l’ordinata cuffietta che le cadeva lentamente sulle spalle scoperte e sul seno quasi nudo. L’altra donna sedeva al tavolo da pranzo, di fronte ai resti del banchetto, e stava bevendo un bicchiere di vino. Vedevo che i tre avevano cenato (Lestat naturalmente aveva fatto finta… è incredibile come la gente non s’accorge che un vampiro fa solo finta di mangiare) e che la donna al tavolo s’annoiava. La scena mi provocò una violenta agitazione. Sapevo che cosa avesse in mente Lestat. Se fossi entrato in salotto, la donna avrebbe rivolto a me le sue attenzioni. Quel che poteva succedere, non riuscivo a immaginarlo, sapevo solo che Lestat voleva che le uccidessimo tutte e due. La donna che stava sul sofà con lui aveva già cominciato a prenderlo in giro per i suoi baci, la sua freddezza, la sua mancanza di desiderio per lei. La donna seduta al tavolo osservava la scena, con neri occhi a mandorla pieni di soddisfazione; quando Lestat si alzò e andò da lei, mettendo le mani sulle sue bianche braccia nude, s’illuminò. Piegandosi per baciarla, Lestat mi vide attraverso la fessura della porta. Mi guardò per un istante, poi riprese a parlare con le donne. Si chinò e spense le candele sul tavolo. ‘È troppo buio qui’ disse la donna sul divano. ‘Lasciaci in pace’ ribattè l’altra donna. Lestat si sedette e le fece cenno di sederglisi in grembo. Lei eseguì, circondandogli il collo col braccio sinistro, mentre con la mano destra gli lisciava all’indietro i capelli biondi. ‘Hai la pelle gelida’ fece lei, ritraendosi leggermente. ‘Non sempre’ rispose Lestat; e seppellì il viso nella carne del suo collo. Io lo osservavo ammaliato. Lestat era magistralmente abile e terribilmente perverso, ma non seppi quanto era abile finché non affondò i denti, premendole la gola col pollice, abbracciandola stretta con l’altro braccio, e bevve a sazietà senza che l’altra donna se ne accorgesse neppure. ‘La tua amica non sa reggere il vino’ disse, scivolando via dalla sedia e mettendovi a sedere la donna priva di conoscenza, con le braccia ripiegate sotto al viso sul tavolo. ‘È una scema’ commentò l’altra donna accostandosi alla finestra a guardare le luci di fuori. Allora New Orleans era una città con molte case basse e in notti chiare come quella le strade illuminate dai lampioni erano uno spettacolo magnifico viste dalle alte finestre di quel nuovo albergo spagnolo; e le stelle brillavano basse sopra questa debole luce, come sul mare. ‘Io son capace di scaldarti quella tua pelle fredda molto meglio di lei’. Si voltò verso Lestat, e devo confessare che provai un certo sollievo al pensiero che avrebbe sistemato lui anche questa. Ma le cose semplici non erano il suo forte. ‘Credi?’ le disse. La donna gli prese la mano. ‘Ma sei caldo!’ fece».
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