Anne Rice - Intervista col vampiro
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- Название:Intervista col vampiro
- Автор:
- Издательство:Salani
- Жанр:
- Год:1977
- Город:Firenze
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«‘Lo so benissimo!’ ribattei. ‘Ma cos’è questa nostra natura? Se posso vivere del sangue degli animali, perché devo andare per il mondo a portare sventura e morte alle creature umane?’
«‘Sei felice?’ chiese. ‘Vaghi nella notte, nutrendoti di topi come un pezzente, poi contempli trasognato la finestra di Babette, pieno d’affanno ma impotente, come la dea che venne di notte a guardare Endimione che dormiva e non poté averlo. E anche se potessi tenerla tra le braccia, e lei ti guardasse senza orrore o disgusto, e poi? Pochi anni per vederla vinta dalle ingiurie del tempo e poi morire davanti ai tuoi occhi? Questo ti rende felice? Questa è follia, Louis. Vanità. Quel che devi vedere davanti a te è la natura di vampiro, cioè quella del predatore. Ti garantisco che se stanotte uccidi una donna bella e piena di vita come Babette e le succhi il sangue fino a farla cadere ai tuoi piedi, non rimarrà più appetito per il suo profilo al lume di candela, o per ascoltare dalla finestra il suono della sua voce. Sarai saziato, Louis, come è destino che tu sia, da tutta la vita che potrai avere; e quando sarà finita, ti tornerà fame della stessa cosa, ancora, ancora e ancora. Il rosso che c’è in questo bicchiere sarà altrettanto rosso; le rose della tappezzeria altrettanto delicatamente disegnate. Vedrai la luna nello stesso modo, lo stesso tremolio di una candela. E con quella stessa sensibilità a cui tieni tanto, vedrai la morte in tutta la sua bellezza, e la vita, come la si conosce soltanto nel momento stesso della morte. Non lo capisci questo, Louis? Tu solo tra tutte le creature puoi vedere la morte in quel modo, impunemente. Tu solo… sotto la luna che sorge… puoi colpire come la mano di Dio!’
«Si appoggiò allo schienale della sedia, vuotò il bicchiere, e spostò lo sguardo sulla donna priva di sensi. Il seno le si sollevava e le sopracciglia s’inarcavano come se stesse rinvenendo. Un lamento le sfuggì dalle labbra. Non m’aveva mai detto prima parole simili, né l’avevo creduto capace. ‘I vampiri sono assassini’ continuò. ‘Predatori, i cui occhi onniveggenti sono fatti per dare loro il distacco. La capacità di vedere la vita umana nella sua interezza, senza provare sentimenti sdolcinati di pena, ma un elettrizzante senso di appagamento nell’essere la fine di quella vita, nel contribuire in qualche modo al piano divino’.
«‘Così la vedi tu !’ protestai. La ragazza si lamentò ancora; il suo viso era molto pallido. La sua testa ruotò contro lo schienale della sedia.
«‘Così stanno le cose’ rispose. ‘Tu parli di trovare altri vampiri! I vampiri sono assassini! Non vogliono né te né la tua sensibilità. Ti vedranno arrivare molto prima che tu li veda, e vedranno il tuo punto debole; e, non fidandosi di te, cercheranno di ucciderti; cercherebbero di ucciderti anche se tu fossi come me. Perché sono predatori solitari e non cercano compagnia più di quanto facciano le pantere nella giungla. Sono gelosi del loro segreto e del loro territorio; e se ne troverai due o più assieme, sarà solo per sicurezza, e uno sarà lo schiavo dell’altro, come tu con me’.
«‘Io non sono il tuo schiavo!’ esclamai. Ma nel momento stesso in cui lo diceva, mi resi conto che fin dall’inizio era stato proprio così.
«‘E così che i vampiri crescono… attraverso la schiavitù. E come se no?’ domandò. Ancora una volta prese il polso della ragazza, e lei gridò quando il coltello la ferì. Aprì gli occhi lentamente mentre Lestat le teneva il polso sul bicchiere. Li sbattè e si sforzò di tenerli aperti. Era come se un velo le coprisse gli occhi. ‘Sei stanca vero?’ le domandò Lestat. Lei lo guardò come se non riuscisse veramente a vederlo. ‘Stanca!’ le ripeté lui, chinandosi e fissandola negli occhi. ‘Tu hai voglia di dormire’. ‘Sì…’ gemette lei piano. Lestat la sollevò e la portò nella camera da letto. Le nostre bare, erano posate sul tappeto contro la parete; c’era anche un letto ricoperto di velluto. Lestat non la mise sul letto, ma la depose lentamente nella sua bara. ‘Che fai?’ gli chiesi dalla soglia. La ragazza si guardava intorno come un bambino terrorizzato. ‘No…’ gemeva. Poi, come lui chiuse il coperchio, urlò. Continuò a urlare da dentro la bara.
«‘Perché lo fai , Lestat?’ chiesi.
«‘Mi piace’ rispose lui. ‘Mi diverte’. Mi guardò. ‘Non è detto che ci debbano piacere le stesse cose. Puoi riservare i tuoi gusti da esteta per cose più pure. Uccidili rapidamente se vuoi, ma fallo! Mettiti in testa che sei un predatore! Ah!’ Alzò le mani disgustato. La ragazza non gridava più. Lestat si sistemò su una seggiolina accanto alla bara e, accavallando le gambe, ne contemplò il coperchio. La sua bara era verniciata di nero, non una semplice scatola rettangolare come usano adesso, ma rastremata alle estremità e più larga nel punto in cui il cadavere incrocia le braccia sul petto. Suggeriva la forma umana. La aprì, e la ragazza si tirò su a sedere, stupefatta, con occhi da pazza e le labbra bluastre e tremanti. ‘Stenditi, tesoro’ le disse Lestat, e la spinse indietro; la donna si distese, quasi isterica, guardandolo fisso. ‘Sei morta, tesoro’ le disse lui; lei urlò e si girò disperatamente nella bara come un pesce, come se il suo corpo potesse sfuggire attraverso i fianchi, attraverso il fondo. ‘È una bara, una bara!’ gridò. ‘Fammi uscire!’
«‘Ma tutti dobbiamo giacere in una bara prima o poi’ le sussurrò lui. ‘Stai calma, tesoro. Questa è la tua bara. La maggior parte di noi non ha mai la possibilità di sapere cosa si prova. Tu lo sai!’ continuò. Non posso dire se lei stesse ascoltando o no, o se stesse impazzendo. Mi vide sul limitare della porta e si immobilizzò, guardando prima Lestat e poi me. ‘Aiutatemi!’ mi implorò.
«Lestat mi guardò. ‘Ero convinto che tu avessi il mio stesso istinto’ disse. ‘Quando ti diedi quella prima preda, pensavo che saresti stato avido di un’altra e un’altra ancora, che ti saresti accostato alla vita umana come a una coppa ricolma, come me. Invece no. Tutto questo tempo, non ho cercato di renderti più forte perché ti preferivo debole. Ti ho osservato giocare all’ombra nella notte, contemplare la pioggia che cadeva, e mi son detto: è facile da trattare, è un tipo semplice. Ma sei un debole, Louis. Sei un bersaglio. Per i vampiri e adesso anche per gli umani. Questa storia con Babette ci ha esposto entrambi. Era come se tu volessi che fossimo distrutti tutti e due’.
«‘Non posso guardare quello che fai’ dissi, voltando la schiena. Gli occhi della ragazza mi bruciavano nella carne; per tutto il tempo che lui aveva parlato, era stata a guardarmi immobile.
«‘Non puoi guardare!’ rise. ‘T’ho visto ieri notte con quella bambina. Tu sei un vampiro, proprio come me!’
«Si alzò per venire verso di me, ma la ragazza di nuovo si sollevò e lui si voltò per ricacciarla giù. ‘Pensi che dovremmo farne un vampiro? Dividere le nostre vite con lei?’ chiese. Risposi all’istante: ‘No!’
«‘Perché? Perché è solo una puttana?’ domandò. ‘E maledettamente costosa, per giunta!’ disse.
«‘Può vivere ora? O ha già perso troppo sangue?’ gli chiesi.
«‘Commovente!’ fece lui. ‘Non può più vivere.’
«‘Allora uccidila’. La ragazza cominciò a urlare. Lestat rimase immobile. Mi voltai e vidi che sorrideva. Lei aveva appoggiato il viso al raso e singhiozzava. La ragione l’aveva abbandonata quasi completamente; piangeva e pregava la Vergine di salvarla, ora con le mani sul viso, ora sulla testa, col polso che spandeva sangue sui capelli e sul raso. Mi chinai sulla bara. Stava morendo, era vero; i suoi occhi ardevano, ma il tessuto intorno era già bluastro. Ora sorrideva. ‘Non mi lascerai morire, vero?’ sussurrò. ‘Tu mi salverai’. Lestat allungò la mano e le prese il polso. ‘Ma è troppo tardi, amore’ le disse. ‘Guardati il polso, il seno’. E poi le toccò la ferita sulla gola. Lei si portò la mano alla gola e annaspò, la bocca spalancata, l’urlo strozzato. Guardai Lestat. Non riuscivo a capire perché lo faceva. Il suo viso era liscio come è il mio adesso, più animato per il sangue, ma freddo e privo di emozioni.
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