Anne Rice - Intervista col vampiro

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Intervista col vampiro: краткое содержание, описание и аннотация

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In una stanza d’albergo Louis racconta la sua vita ad un esterrefatto giornalista, la lunghissima, estenuante vita di un vampiro. Duecento anni assieme al suo maestro Lestat ed alla piccola Claudia, duecento anni in giro per il mondo, nascondendosi dalla luce e succhiando sangue…

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Il ragazzo si scoprì a fissare gli occhi del vampiro, le ciglia che sembravano neri fili metallici nella tenera pelle delle palpebre.

«Su, chiedi» disse il vampiro.

«Babette, il modo in cui parla di lei» mormorò il ragazzo, «come se provasse qualcosa di speciale».

«T’ho dato l’impressione di non poter provare dei sentimenti?» chiese il vampiro.

«No, affatto. Evidentemente aveva compassione del vecchio. Restò a confortarlo quando lei stesso era in pericolo. E quello che provava per il giovane Frenière quando Lestat voleva ucciderlo… l’ha spiegato. Ma mi stavo domandando… aveva un sentimento particolare per Babette? Fu questo sentimento per Babette, fin da principio, che la spinse a proteggere Frenière?»

«Amore, vuoi dire» osservò il vampiro. «Perché esiti a dirlo?»

«Perché lei ha parlato di distacco».

«Tu pensi che gli angeli siano distaccati?» domandò il vampiro.

Il ragazzo riflette un istante. «Sì» rispose.

«Ma gli angeli non sono forse capaci di amore? Non contemplano il volto di Dio con amore assoluto?»

Il ragazzo riflette ancora rapidamente. «Amore o adorazione».

«Che differenza c’è?» chiese il vampiro con aria pensierosa. «Che differenza c’è?» Era chiaro che non stava chiedendolo al ragazzo, ma a se stesso. «Gli angeli provano l’amore, l’orgoglio… la superbia della Caduta… e l’odio. Le forti, prepotenti emozioni delle persone distaccate nelle quali emozione e volontà sono la stessa cosa» concluse. Adesso fissava il tavolo, come ripensandoci, non del tutto soddisfatto. «Provavo per Babette… un forte sentimento. Non era il sentimento più forte che abbia mai provato per un essere umano». Guardò il ragazzo. «Ma era profondo. Babette era per me, a modo suo, l’essere umano ideale…»

Si spostò sulla sedia — il mantello si mosse delicatamente attorno a lui — e rivolse il viso alla finestra. Il ragazzo si piegò in avanti per controllare il registratore, poi prese dalla cartella un’altra cassetta e l’inserì. «Temo di averle chiesto qualcosa di troppo personale. Non volevo…» balbettò ansiosamente al vampiro.

«Per niente» il vampiro lo guardò improvvisamente. «È una domanda del tutto pertinente. Io provo amore, e ne ho certamente provato per Babette, anche se non proprio il più grande amore che abbia mai provato. È stata una sorta di anticipazione.

«Per tornare alla mia storia, il ballo di beneficenza di Babette fu un successo e segnò il suo rientro in società. La sua non trascurabile ricchezza cancellò qualsiasi dubbio albergasse nella mente dei familiari dei suoi pretendenti, e così si sposò. Le facevo visita nelle notti d’estate, senza lasciarmi mai vedere da lei o farle sapere che c’ero. Venivo a controllare se era felice e, constatandolo, anch’io, mi sentivo felice.

«E ora andavo da Babette con Lestat. Lui avrebbe già ucciso tutti i Frenière da tempo, se non l’avessi trattenuto e adesso era convinto che io avessi deciso di sterminarli. ‘E che pace ci porterebbe questo?’ chiesi. ‘Tu mi dai dell’idiota, ma l’idiota sei sempre stato tu. Credi che non sappia perché m’hai fatto diventare un vampiro? Non sapevi vivere per conto tuo, non sapevi cavartela neanche nelle cose più elementari. Da anni ormai faccio tutto io mentre tu sai solo fingere un’ aria di superiorità. Non c’è più niente che tu mi possa insegnare sulla vita. Di te non ho bisogno, non so che farmene. Tu hai bisogno di me, e se fai tanto di toccare anche solo uno degli schiavi Frenière, mi libererò di te. Se vuoi la guerra, l’avrai; e non ho bisogno di dimostrarti che ho più risorse io nel dito mignolo che tu in tutto il tuo corpo. Fai come dico’».

«Ebbene, nonostante tutto, questo discorso l’allarmò; protestò che aveva ancora molto da insegnarmi: le cose e i tipi di persone che avrebbero potuto procurarmi una morte improvvisa se le avessi uccise, i luoghi del mondo dove non sarei mai dovuto andare, e via di seguito, sciocchezze che a stento riuscivo a sopportare. Ma non avevo tempo per lui. A Frenière, le luci del sorvegliante erano accese; stava cercando di calmare l’agitazione degli schiavi fuggitivi e dei suoi. E si vedeva ancora l’incendio di Pointe du Lac contro il cielo. Babette, dopo aver mandato là carrozze e schiavi per aiutare a domare le fiamme, era rimasta in piedi a darsi da fare. I fuggiaschi terrorizzati erano tenuti lontani dagli altri, e a quel punto tutti consideravano le loro storie come fantasie di schiavi. Babette intuiva che qualcosa di terribile era accaduto e pensava a un delitto, ma niente di soprannaturale. Quando la trovai era nello studio, a stendere un appunto sull’incendio nel diario della piantagione. Era quasi mattino. Avevo solo pochi minuti per convincerla a collaborare. Le parlai intimandole di non girarsi, e lei m’ascoltò tranquillamente. Le dissi che dovevo avere una stanza, per riposare. ‘Non vi ho mai dato fastidio: ora vi domando una chiave, e la promessa che nessuno entrerà in quella stanza fino a domani notte. Poi vi spiegherò tutto’. Ero quasi alla disperazione. Il cielo impallidiva. Lestat era nel frutteto, con le bare. ‘Ma perché siete venuto da me stanotte?’ chiese lei. ‘E perché non da voi?’ risposi. ‘ Non vi ho forse aiutata proprio quando avevate più bisogno di guida, quando eravate rimasta sola tra i deboli e gli inetti? Non vi ho forse dato buoni consigli, in due diverse occasioni? E da allora non ho sempre vegliato sulla vostra felicità?’ Vidi la sagoma di Lestat alla finestra. Era in preda al panico. ‘Datemi la chiave di una stanza. Non permettete che nessuno vi si avvicini finché non scenderà la notte. Vi giuro che non vi farei mai del male’. ‘E se io non… se io credessi che voi siete stato mandato dal demonio!’ disse allora lei, e fece per voltarsi. Allungai la mano sulla candela e la spensi. Mi vide in piedi con le spalle alle finestre che cominciavano a ingrigirsi. ‘Se non lo fate, e se credete che io sia il diavolo, io morrò’ risposi. ‘Datemi la chiave. Potrei uccidervi ora, se lo volessi. Capite?’ Mi avvicinai a lei scoprendomi di più: Babette boccheggiò e si ritrasse, reggendosi al bracciolo della seggiola. ‘Ma non lo farò. Preferirei morire che uccidervi. Morirò se non mi date la chiave che vi chiedo’.

«Acconsentì. Che cosa pensasse, non lo so. Mi diede uno dei magazzini al pianterreno, dove tenevano a invecchiare il vino, e giurerei che vide me e Lestat portarci le bare. Io non solo lo chiusi a chiave, ma mi ci barricai dentro.

«La sera dopo, quando mi svegliai, Lestat era già in piedi».

«Quindi Babette mantenne la parola».

«Sì. Solo che era andata anche più in là. Non solo aveva rispettato la nostra porta chiusa; l’aveva chiusa anche dall’esterno».

«E i racconti degli schiavi… li aveva sentiti?».

«Sì, li aveva sentiti. Lestat fu il primo a scoprire che eravamo chiusi dentro, comunque. Andò su tutte le furie. Aveva deciso di arrivare a New Orleans il più presto possibile. Ormai la sua diffidenza nei miei confronti era totale. ‘Mi sei servito solo finché mio padre era vivo’ mi sibilò, cercando disperatamente di trovare un’apertura da qualche parte. Ma quel posto era una prigione.

«‘Non ho intenzione di sopportare più niente da te, t’avverto’. Non si fidava più nemmeno di voltarmi le spalle. Io mi sforzavo di sentire le voci nella stanza di sopra, sperando che chiudesse il becco, senza alcuna voglia di confidargli neppure per un momento il mio sentimento per Babette o le mie speranze.

«Pensavo anche a un’altra cosa. Tu mi domandi dei sentimenti e del distacco. Uno dei suoi aspetti, del distacco con sentimenti, è la possibilità di pensare contemporaneamente a due cose diverse. Puoi pensare che non sei al sicuro e che forse morirai, e pensare qualcosa di molto astratto e remoto. E a me succedeva proprio questo. In quel momento stavo pensando, molto nel profondo, senza parole, a come avrebbe potuto essere sublime l’amicizia tra me e Lestat, ai pochi ostacoli da eliminare, alle cose da vivere insieme. Forse era la vicinanza di Babette che mi faceva sentire in questo modo, perché come avrei potuto mai conoscere veramente Babette se non, naturalmente, nell’unico modo definitivo: togliendole la vita, stringendola a me in un abbraccio mortale, in cui la mia anima sarebbe diventata una cosa sola col suo cuore e con esso si sarebbe nutrita. Ma la mia anima desiderava conoscere Babette senza soddisfare il mio bisogno di uccidere, senza derubarla di ogni respiro vitale, di ogni goccia di sangue. Ma con Lestat; come avremmo potuto conoscerei, se fosse stato un uomo di polso, un uomo di pensiero! Mi tornavano alla mente le parole del vecchio: Lestat allievo brillante, amante di libri che gli erano stati bruciati. Io conoscevo soltanto il Lestat che dileggiava la mia biblioteca, che la chiamava ‘un mucchio di polvere’, che canzonava incessantemente le mie letture e le mie meditazioni.

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