Fred Saberhagen - Le ali nere del tempo

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Le ali nere del tempo: краткое содержание, описание и аннотация

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1935: nei pressi del Gran Canyon Jake Rezner incontra una ragazza dai capelli rossi e dal colorito pallidissimo, Camilla, che lo scorta in una gola dove si è rifugiato l’eccentrico scultore Edgar Tyrrell. Ma Camilla è davvero la sua modella come sostiene, o è qualcosa di molto più pericoloso ed elusivo? 1991: Cathy Brainard, una ragazza come tante, scompare nel Canyon e sua zia ingaggia un detective privato, Joe Keogh, per ritrovarla. Keogh è assistito da un misterioso aiutante, il signor Strangeways, che ben presto intuisce la spiacevole verità... Ma Keogh e Strangeways non possono rivelare le loro scoperte alla polizia. Infatti, chi crederebbe a una storia di falle temporali e misteriosi riti del passato? Ma Strangeways sa, come Edgar Tyrrell, che quella dei nosferatu non è affatto una leggenda. E che la scomparsa di Cathy Brainard è solo l’inizio di un’avventura allucinante, destinata a concludersi in un’epoca spaventosa.

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— La Grande Discordanza — mormorò Sarah.

La massa lavica si contorse nella Terra, come se cercasse di guadagnare la giusta posizione sotto l’entità. E questa, entità, creatura o luce intelligente che fosse, cominciò a svanire. In breve tempo scomparve del tutto.

I convulsi sussulti della Terra cessarono, ma un attimo più tardi il terreno sotto di loro prese a imbarcarsi come se poggiasse in realtà sul vuoto. Gli strati rocciosi, non più densi, non più solidi, si tesero cambiando in modo incontrollabile.

— Via! Andiamo via! — urlò Drakulya cessando di pronunciare le sue formule magiche per fuggire verso l’alto. — Presto, ritiratevi! Fuggite verso l’altopiano!

Joe zoppicava ancora, ma grazie al repentino fluire dell’adrenalina nel sangue e al muscoloso braccio di John riuscì a correre comunque verso l’alto, attraversando un paesaggio in veloce mutamento fino alla definitiva uscita dal Canyon Profondo. Drakulya correva accanto a lui con Sarah tra le braccia, mentre Cathy cercava di tenere il loro passo. Gli altri fuggivano in ordine sparso sotto un cielo solcato da grandi, rapidi banchi di nubi mentre il sole sorgeva e calava in continuazione.

Sentendosi abbastanza al sicuro da voltarsi e lanciare un’occhiata, Bill Burdon contemplò un’enorme, ribollente massa di luci e ombre, pulsante di figure in negativo come un immenso rullino fotografico. Si gonfiava a un ritmo impressionante, tanto da riempire in pochi istanti le profondità da cui fuggivano a rotta di collo. — Ma cos’è, lava? — urlò allarmato.

Colui che li guidava replicò: — No, energia. Ma l’effetto è lo stesso. Sbrigatevi!

Correndo e inciampando, i visitatori provenienti dalla fine del Ventesimo secolo fecero del loro meglio per obbedire all’ordine.

Finalmente il terreno roccioso riprese stabilità. Attorno a loro, candidi fiocchi di neve presero a turbinare.

20

Sull’altopiano era circa la mezzanotte, minuto più, minuto meno, dell’ultimo giorno dell’anno o, in alternativa, del primo giorno del nuovo anno. Ma dopo una giornata come quella, Joe Keogh crollò non appena sedette da qualche parte nella suite dell’El Tovar, appoggiando la caviglia dolorante su qualcosa di morbido senza neppure domandarsi cosa fosse.

D’altro canto, dormiva ancora prima di poter controllare.

All’altro lato della stanza, John Southerland era al telefono con sua moglie Angie, assicurandole che tutta la faccenda era finita nel modo migliore che si potesse mai sperare e pregandola di ritrasmettere la notizia alla moglie di Joe.

Non molto lontano dalla loro porta e più precisamente nel secondo salone dell’hotel, quello in cui si ergeva il maestoso albero di Natale, si festeggiava e si brindava al nuovo anno con lo stonato coro di Auld Lang Syne che si levava più alto degli altri.

Quella notte Drakulya e gli altri celebrarono l’arrivo del nuovo anno tra le solide pareti di tronchi dell’El Tovar, ma di quando in quando il gruppo, o perlomeno un buon numero di quelli che lo componevano, usciva nella gelida notte camminando nella neve. Quelle passeggiate duravano al massimo fino a casa Tyrrel, dove Cathy si era ritirata con la madre, e comunque tutti restavano nelle vicinanze del vecchio hotel.

Coloro che abbandonavano momentaneamente la festa e raggiungevano qualche posto sull’altopiano dove potevano voltare le spalle alle luci e ai clamori della civiltà, si trovavano a contemplare un cielo rilucente di stelle invernali e quel nero, imperturbabile baratro che era il Grand Canyon.

Nel corso di una di queste passeggiate, Maria Torres disse al compagno più vicino: — Mi fa un po’ paura — per poi scoppiare a ridere. — Temo di suonare molto sciocca dopo quello che abbiamo passato oggi. Comunque, è proprio così.

Maria si stava rimettendo molto rapidamente. In effetti, dopo essere stata curata da Drakulya con riti e formule segrete, non ricordava più molto bene cosa era successo là sotto, e soprattutto non ricordava la natura dell’entità di luce e il fascino, o il possesso, che aveva esercitato su di lei.

Adesso si accigliò perplessa davanti all’oscurità del canyon. — Tuttavia — continuò — vi giuro che non è da me scordarmi così di quanto è successo appena un paio di ore fa.

— Può succedere a chiunque dopo una missione pericolosa. Io non me ne preoccuperei — disse John, appena uscito da una cabina telefonica, cercando di suonare il più possibile rassicurante senza davvero riuscirci.

— Già, ma non è la prima — ribatté Maria, dubbiosa.

— Ah, ma questa è stata davvero speciale, glielo garantisco io — tagliò corto John sorseggiando la sua birra. — Ma cosa intendeva dicendo che le fa un po’ paura?

— Be’, pensavo al Capodanno, quando l’ho detto, a tutto il rumore che fa la gente e al modo in cui il canyon lo prende, lo soffoca, lo assorbe, come il piccolo cono di luce di una torcia che cerca qualcosa al di là del limite del baratro. Qui tutto si perde nell’immensità. Non vi è traccia di un riflesso, dell’eco, di una risposta.

Non molto dopo qualcuno suggerì di andare a trovare Cathy e Sarah Tyrrel, se erano ancora sveglie.

Una lunga, commovente chiacchierata aveva impegnato in quelle ore madre e figlia. Scacciati i pericoli del Canyon Profondo e delle sue fatali attrattive, le due donne potevano finalmente spiegarsi.

Per molti anni Sarah aveva temuto di rivelare la sua identità. Finalmente lo aveva fatto, rendendo sua figlia molto felice.

— Adesso ho una vera madre.

— Una madre molto vecchia, temo.

— Oh, le mamme debbono essere vecchie. Esperte, ecco come le vuole una figlia quasi maggiorenne.

Cathy, che naturalmente ricordava gli eventi molto meglio di Maria, provava sentimenti contrastanti riguardo la perdita di suo padre, o meglio del suo primo padre adottivo, quella figura maschile di forza e pazienza che ricordava dalla sua infanzia.

— Dov’è il mio vero padre, allora?

— Oh, temo proprio che sia morto da tempo, mia cara.

— Insomma, dovrai darmi una spiegazione completa. Voglio sapere tutto ciò che è successo, tutto. Comunque, forse è meglio cominciare domani.

Con musica pop vecchia e nuova che si alternava sullo sfondo, i partecipanti di quella missione si riunirono ancora una volta nell’alloggio di Keogh con le sole eccezioni di Sarah e Cathy.

A Joe sembrò che Bill fosse affettivamente coinvolto dai guai di Maria. In un modo o nell’altro faceva di tutto per rendersi disponibile.

Drakulya, o meglio Strangeway, li aveva invitati a seguirlo nella suite per spiegare meglio gli eventi del pomeriggio. Dopo aver guardato i due colleghi di cui sapeva di potersi fidare e gli altri due coinvolti loro malgrado in cose incomprensibili, il vampiro detective cominciò a parlare.

— Circa sessant’anni fa, Edgar Tyrrel, dopo aver usato i suoi poteri di vampiro per trovare l’accesso a quello che chiamò il Canyon Profondo, incontrò la… come chiamarla? Diciamo un’anomalia nella vita del pianeta, una malformazione, forse un prodotto della roccia profonda. In ogni caso, una creatura il cui sviluppo risaliva a milioni di anni prima dell’arrivo di Tyrrel nel canyon.

“La sua curiosità riguardo all’entità lo spinse a nutrirla, a procurarle nuova vita. Senza dubbio si trattò inizialmente di animali e piante, ma poi la curiosità divenne devozione e questa idolatria… una definizione non inadeguata, temo. Tuttavia cominciò, ne sono convinto, per puro spirito di conoscenza, per umana curiosità. Per anni, forse per decenni Tyrrel fu convinto di essere solo un ricercatore. Un artista, con tutto ciò che significa questa parola, che tentava solo di catturare l’essenza della sua scoperta.

“All’inizio di questo caso non sapevo se Tyrrel era arrivato qui come essere umano per poi diventare vampiro a opera dell’entità che aveva scoperto. Tuttavia adesso ne so abbastanza per affermare che faceva già parte del mondo dei nosferatu quando si è stabilito qui.”

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