E questo era l’ultimo libro.
Seduto davanti alla finestra. Detto di nuovo. Sono quasi le cinque, il sole sta calando. Un’altra giornata.
Provo una terribile irrequietezza interiore e non ho modo di risolverla. Perché mi sono lasciato coinvolgere in questa maniera? Elise è morta. È nella fossa. È solo un mucchietto di ossa e polvere.
Non è vero!
Le persone della stanza accanto, che stavano chiacchierando, si sono zittite. Le mie urla devono averle sconcertate. Charlie, c’è un pazzo nella stanza vicina, chiama il bureau.
Ma… Dio, Dio, mi odio per averlo detto. Elise non è morta. Non l’Elise McKenna che io amo. Quell’Elise McKenna è viva.
Meglio coricarmi, chiudere gli occhi. Vacci piano. Ti stai lasciando sfuggire di mano la situazione.
Sdraiato al buio, ossessionato dal mistero di lei.
Devo trasformarmi in detective, tentare di risolverlo?
“Posso” trasformarmi in detective? Oppure è tutto perso, sepolto sotto le sabbie del tempo?
Devo uscire da questa stanza.
Cammino nel corridoio del quinto piano, uno stretto passaggio col soffitto a pochi centimetri dalla mia testa.
Lei ha mai percorso questo corridoio? Ne dubito; aveva troppo successo. Si sarà fermata al primo piano, davanti all’oceano. Una grande camera da letto, un salotto.
Mi sono fermato. Sto qui, a occhi chiusi, e sento l’atmosfera dell’hotel insinuarmisi dentro.
Qui c’è il passato, su questo non ho dubbi.
Però non credo che qui potrebbero aggirarsi spettri. Troppi ospiti sono arrivati e ripartiti; azzererebbero un singolo spirito.
D’altra parte, il passato, come un immenso spettro collettivo, è presente qui al di là di ogni possibilità di esorcismo.
Sono su una terrazza esterna del quinto piano. Guardo le stelle.
Per l’occhio umano, le stelle si muovono molto lentamente. Considerati i loro movimenti relativi a noi, in questo momento lei e io potremmo avere sotto gli occhi praticamente lo stesso spettacolo.
Lei è nel 1896, io nel 1971.
Sono seduto nella sala da ballo. Prima deve esserci stata una festa; vedo tovaglie gettate a terra, sedie sparse dappertutto. Sto guardando il palco su cui ha recitato Elise McKenna. È a meno di quindici metri da me.
Adesso mi sono alzato e cammino verso il palco. I sei giganteschi lampadari sono spenti. L’unica luce proviene da lampade alle pareti, all’ingresso della sala. Le mie scarpe non producono alcun rumore sul parquet.
Adesso sono sul palco. Chissà se da allora ne hanno modificato forma o dimensioni. È probabile. E comunque, a un certo punto di Il piccolo ministro lei deve per forza essersi trovata qui, dove sono io. Forse si è fermata qui, magari per un po’.
La scienza ci dice che nulla si può distruggere. Quindi, in un senso molto reale, una parte di lei deve essere rimasta qui. Un’essenza che ha trasudato mentre recitava. Qui. Adesso. In questo punto. La sua presenza che si mescola alla mia.
Elise.
Perché sono tanto attratto da lei, e cosa posso fare? Non sono un ragazzo. Un ragazzo potrebbe urlare: — Ti amo! — sospirare, gemere, sbarrare gli occhi, godersi in pieno la catarsi. Io non posso. La consapevolezza della follia di ciò che provo paralizza ogni sensazione.
Vorrei essere di nuovo un ragazzo, incapace di porre domande, senza il bisogno di analizzare il momento. Ho provato quella sensazione la prima volta che ho visto la sua fotografia: un sovraccarico emotivo. Adesso, la realtà mi assedia. Sono tirato contemporaneamente in due direzioni, verso il desiderio e verso la ragione. E in momenti come questo che odio il cervello. Costruisce sempre più barriere di quante sappia scavalcare.
Seduto sul letto, scrivo, di nuovo con le cuffie stereo; la Sesta, questa volta. La sua atmosfera cupa riflette il mio stato d’animo.
Quando mi è venuta fame, la sala del Diadema era chiusa. Così ho comperato un sacchetto di Fritos, dell’arrosto di vitello, una bottiglietta di Mateus e della soda. Adesso mastico e bevo Mateus alla soda; ho ordinato il ghiaccio al servizio in camera. Non direi che gli echi della masticazione che mi risuonano nella testa rendano un buon servizio a Mahler.
Guardo di nuovo i libri, cerco qualcosa in più su lei.
Però non ce nient’altro. Sono frustrato. Deve esserci altro materiale su di lei. Ma dove lo trovo?
Cristo onnipotente, Collier, diventi più stupido ogni giorno che passa. Mai sentito parlare delle biblioteche pubbliche?
Povera Elise. Un idiota si è innamorato di te.
Sono appena rientrato dalla maggiore biblioteca di San Diego. È a un isolato circa dalla libreria dove sono stato ieri. Ero già là quando ha aperto.
Mi sono alzato alle cinque e ho passeggiato sulla spiaggia per tre ore, per liberarmi dall’emicrania. Alle otto e mezzo il mal di testa cominciava a diminuire, così ho preso una tazza di caffè e un po’ di pane tostato, mi sono fatto portare l’automobile dall’inserviente, gli ho chiesto indicazioni, e sono partito per la biblioteca.
All’inizio ho pensato di essere nei guai. Una giovane impiegata mi ha detto che non posso prendere libri a prestito con la tessera di una biblioteca di Los Angeles. Sapevo di non poter trascorrere la giornata lì a leggere; mi stavo già innervosendo. Poi una caposezione più anziana e saggia ha avuto la meglio. Con un documento d’identità e il cartellino della chiave della mia stanza all’hotel, mi ha concesso una tessera provvisoria e il prestito dei libri. Stavo quasi per baciarla sulle guance.
Venti minuti più tardi ero fuori. Ringrazio Dio di avere creato le tessere provvisorie. Ho guidato a velocità sostenuta, e avvicinandomi al Coronado ho provato la stessa sensazione: come se quel grande castello di legno bianco fosse diventato casa mia. Ho lasciato l’auto all’inserviente e mi sono tuffato nel tranquillo abbraccio dell’hotel. Ho dovuto sedere sul patio e chiudere gli occhi, lasciare che tutto tornasse nelle mie vene, il patio è ottimo, per quello: il cuore dell’hotel. Seduto lì, mi sono sentito circondato dal suo passato. La pace mi ha invaso. Ho inspirato a pieni polmoni, riaperto gli occhi, e mi sono alzato. Ho preso uno degli ascensori, sono salito al quinto piano, e sono rientrato nella mia stanza coi libri che avevo trovato.
C’è un libro su di lei che si intitola Elise McKenna: una biografia intima , di Gladys Roberts. Lo terrò per ultimo perché, nonostante il senso d’anticipazione che provo adesso, so che quando avrò finito la biografia sarà tutto svanito, e voglio assaporare questa eccitazione il più a lungo possibile.
Scrivo ascoltando la Quarta: la sinfonia più semplice, mi pare, la meno impegnativa. Voglio concentrarmi su Elise.
Il primo volume è di John Drew. Si intitola I miei anni sul palcoscenico.
Drew scrive che la sua prima impressione di Elise McKenna è stata di avere di fronte una donna troppo fragile. A quei tempi, come ho capito dalle foto che ho visto, nel mondo del teatro andavano le donne forti, grosse. Eppure, anche lui ripete ciò che ho già letto: Elise non ha mai mancato una sola recita.
All’inizio, sua madre ha recitato con lei. È stata Madame Bergomat (la figlia era Susan Blondet) in Un ballo in maschera ; la signora Ossian (Elise era Miriam) in Butterflies. Qui dice che hanno portato quest’ultimo allestimento in California. Probabilmente le compagnie teatrali si esibivano spesso sulla Costa Occidentale, il che spiegherebbe lo spettacolo qui all’hotel.
Anche se ho trascritto quasi tutto, ho ancora l’impressione di avere attraversato questo libro troppo in fretta, attirato dalla biografia: come un affamato che non trovi alcuna soddisfazione negli antipasti e non veda l’ora di arrivare al primo.
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