Richard Matheson - Appuntamento nel tempo

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Appuntamento nel tempo: краткое содержание, описание и аннотация

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Innamorato di una donna vissuta molto tempo prima, il protagonista di questo libro straordinario comincia a studiarne i ritratti, la carriera, l’ambiente. Finché l’ossessione lo porta a tentare di raggiungere la misteriosa attrice… nel passato. Ma è solo l’inizio dell’avventura. Da questo grande romanzo è stato tratto un film con Christopher Reeve.

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— Ti amo, Elise — le ho detto.

— E io amo te. Richard. Il mio Richard. — Il suo bacio è stato dolce e tenero sulle mie labbra.

Poi è toccato a me ridere. — Se mi avessi visto… Sdraiato in una baracca nera come la notte, legato da corde così strette che quasi non potevo respirare. Mi sono contorto sul pavimento lurido come una trota appena presa all’amo. Ho spalancato la porta a furia di calci, poi ho lottato per liberarmi dalle corde, e alla fine sono riuscito a farle scendere dalle gambe. Ho dovuto sfregare le corde sul petto contro un grumo di malta. Mi sono messo a correre come un matto verso l’hotel, e ho scoperto che la tua carrozza ferroviaria era sparita, che non c’era nessuno nella tua stanza. — La risata si è spenta; a quel punto ricordavo soltanto il dolore. L’ho abbracciata. Ci siamo tenuti stretti come due bambini spaventati, finalmente riuniti dopo lunghe, terribili ore di separazione.

Rammentando qualcosa all’improvviso, Elise si è alzata e ha attraversato la stanza. Ha preso un pacchetto dallo scrittoio. È tornata indietro e me lo ha teso. — Col mio amore.

— Dovrei essere io a farti regali — ho ribattuto.

— Me li farai. — Il suo tono mi ha riempito di gioia improvvisa. Nella mia mente è balenata la visione degli anni che avremmo trascorso assieme.

Ho aperto il pacchetto. Sotto la carta c’era una scatola di pelle rossa. Sollevato il coperchio, ho visto all’interno un orologio d’oro con la catena d’oro. Mi ha tolto il respiro.

— Ti piace? — Elise sembrava una ragazzina eccitata.

— È splendido.

L’ho sollevato per la catena e ho scrutato il coperchio, che aveva delicate incisioni lungo l’orlo. Al centro erano incisi fiori e spirali.

— Aprilo — ha detto lei.

Ho premuto sull’albero di carica, e il coperchio si è aperto con uno scatto. — Oh, Elise — ho mormorato.

Il quadrante è bianco, con solenni numeri romani lungo l’orlo; al di sopra di ogni numero romano c’è una minuscola cifra araba. Sul fondo, un cerchio in miniatura con un’altra serie di numeri, e lancette non più spesse di un capello. L’orologio porta la firma di Elgin, e ha il peso e la solidità tipici del periodo.

— Lascia che te lo carichi io, amore — ha detto Elise. Con un sorriso, le ho passato l’orologio. Lei ha fatto uscire una piccolissima levetta dal fondo e ha regolato l’ora, dopo un’occhiata al lato opposto della stanza: era quasi luna meno un quarto. Poi ha reinserito la levetta nel suo alloggio e ha caricato l’orologio. Il suo viso attento, concentrato, era così incantevole che sono stato praticamente costretto a chinarmi a baciarle il collo. Con un brivido, lei si è stretta a me, poi si è girata e mi ha porto l’orologio con un sorriso adorante. — Spero che ti piaccia. È il migliore che sono riuscita a trovare con così poco tempo a disposizione. Ti prometto l’orologio più bello del mondo, appena mi sarà possibile.

— È questo l’orologio più bello del mondo. Non ne vorrò mai un altro. Grazie.

— Grazie “a te” — ha mormorato lei.

Ho accostato l’orologio all’orecchio, deliziato dal ticchettio nitido, efficiente.

— Mettitelo — ha detto Elise.

Ho premuto il coperchio, che si è chiuso con uno scatto secco. Lei ha avuto un piccolo sussulto. — Cosa c’è?

— Niente, amore.

— No, dimmi.

— Ecco… — Sembrava imbarazzata. — Se tieni premuto l’albero di carica quando chiudi il coperchio… — Non è riuscita a terminare la frase.

— Mi spiace. — Era sconcertante scoprire quanto poco sapessi dei dettagli della vita quotidiana nel 1896.

Mentre cercavo di sistemare l’orologio nel panciotto, mi è venuto in mente quanto quel regalo fosse significativo: pur senza saperlo, Elise mi aveva donato l’oggetto che più di ogni altro simboleggia il tempo.

Non ho concluso niente. Ho rialzato la testa con un sorriso timido. — Temo di non essere all’altezza della situazione.

Lei ha slacciato uno dei bottoni del panciotto, ha infilato la catena nell’asola, l’ha sistemata in maniera che la sbarretta la tenesse ben salda. Mi ha sorriso, poi ha guardato la scatola. — Non hai letto il mio biglietto.

— Scusa. Non l’avevo visto. — Riaperta la scatola, ho scoperto un bigliettino bianco fissato con uno spillo all’interno del coperchio. Lo ho staccato con cautela e ho letto le parole scritte nella sua splendida grafia: “È amore, dolcissimo”.

Non sono riuscito a controllare il brivido. “Le sue ultime parole prima di morire”. Il pensiero mi ha trafitto. Ho tentato di scacciarlo.

Lei si è accorta della mia reazione. — Cosa c’è, amore?

— Niente. — Non ho mai mentito in modo così pietoso.

— No. C’è qualcosa. — Elise mi ha preso la mano e mi ha scrutato con aria grave. — Dimmi, Richard.

— È la frase. Mi ha commosso.

L’aria ha cominciato a caricarsi di elettricità. — Dove l’hai letta? — ho insistito. — O è tua?

Lei ha scosso la testa, e io mi sono reso conto che, come me, stava lottando con un cupo senso di premonizione. — È una frase di un inno. Hai mai sentito parlare di Mary Baker Eddy?

Cosa dovevo dire? Prima che riuscissi a decidermi, la mia voce ha risposto da sola: — No. Chi è?

— La fondatrice di un nuovo culto religioso, Scienza Cristiana. Ho partecipato a uno dei loro riti e ho sentito l’inno. Ha scritto lei le parole.

“Non ti dirò mai che le hai sentite male” ho pensato; e mai, mai ti ricorderò quali siano le altre parole”.

— Dopo la cerimonia, l’ho conosciuta — ha continuato Elise.

— Davvero? — ho ribattuto, sorpreso. E ho capito subito il mio errore: se non avevo mai sentito parlare della signora Eddy, come poteva sorprendermi il fatto che Elise l’avesse incontrata?

— È successo circa cinque anni fa. — Se Elise si era accorta della mia esitazione (e sono certo che l’avesse notata), ha preferito ignorarla. — Aveva settant’anni, eppure… Se possedessi il magnetismo di quella donna, Richard, potrei essere la più grande attrice del mondo. Ha la personalità più incredibile che io abbia mai visto in una donna, o in un uomo. Quando parlava, teneva in pugno i fedeli. È di corporatura fragile, e la sua voce è incolta, istintiva… ma la sua personalità, Richard, la sua “personalità”. Mi ha ammaliata. Tutto il resto è svanito. È rimasta solo quella figura esile sul pulpito. La sua voce ha soffocato ogni altro suono.

Ho capito che si era messa a parlare con tanta foga perché il mio comportamento l’aveva innervosita. Per mettere fine a quel fiume di parole, l’ho circondata con le braccia e attirata a me. — Amo il mio orologio — le ho detto. — E amo la persona che me lo ha regalato.

— Quella persona ti ama. — Il suo tono era quasi triste. Poi Elise è riuscita a imbastire un sorriso. — Richard?

— Cosa c’è?

— Mi giudicheresti un mostro se… — Si è interrotta.

— Se cosa? — Non sapevo cosa aspettarmi.

Lei era sempre più irrequieta.

— Se cosa, Elise? — ho ripetuto. Avevo il sorriso sulle labbra, ma i muscoli del mio stomaco si erano contratti.

Lei si è fatta forza. — Mi sento debole non soltanto per amore — ha sussurrato.

Io continuavo a non capire. Ho aspettato, nervoso.

— Mi sono fatta portare in camera un po’ di cibo e vino. Cracker, formaggio, frutta. — Ha girato lo sguardo verso l’angolo della stanza, e io ho visto un carrello con piatti coperti, una bottiglia di vino che sporgeva da un secchiello d’argento. Prima non l’avevo notato. Ho riso di sollievo. — Vuoi dire che hai fame?

— So che non è romantico. — Elise era imbarazzatissima. — Però dopo uno spettacolo mi viene sempre fame, e adesso che i nodi della mia tensione si sono sciolti, ho una fame doppia. Puoi perdonarmi?

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