Come si poteva pensare di portare Tansy al banco dei testimoni anche nella sua condizione precedente di pazzia non furiosa?
“Lei dice, signora Saylor, che la sua anima le è stata rubata dal corpo?” “Sì” “Lei è conscia dell’assenza della sua anima?” “No. Non sono conscia di nulla” “Non conscia? Non vorrà dire che lei è inconscia?” “Certo. Io non posso né sentire né vedere” “Lei vuol dire che non mi vede né mi sente?” “Esattamente” “E allora come mai…”
Colpetto di martello da parte del giudice: “Se queste risate non cessano immediatamente, faccio sgombrare l’aula.”
Oppure la signora Gunnison era chiamata a testimoniare e lui, Norman, scoppiava in un richiamo appassionato alla giuria: “Signori, guardate quegli occhi, guardateli bene, vi supplico. C’è l’anima di mia moglie dietro quegli occhi, convincetevi, ve ne prego.”
Udì invece Gunnison che gli chiedeva: «Che hai, Norm?»
L’autentica gentilezza della voce lo commosse e lo fece tornare in sé. Stanco e improvvisamente assonnato tentava di formulare una risposta.
In quel momento entrò la signora Gunnison.
«Buon giorno» disse «sono felice che siate finalmente riusciti a parlare, voi due.» Poi con espressione protettiva guardò Norman attentamente. «Scommetto che lei non dorme da almeno due notti» disse bruscamente. «E cosa si è fatto sul viso? È stato il suo gatto a saltarle addosso?»
Gunnison rise, come faceva sempre per i modi burberi di sua moglie. «Che donna! Adora i cani e odia i gatti. Ma ha ragione sulla questione del sonno, Norman.»
La vista di quella donna e il suono della sua voce risvegliarono Norman portandolo a uno stato di gelida lucidità. Hulda Gunnison aveva l’aspetto di qualcuno che dorme regolarmente dieci ore per notte. Un costoso vestito verde faceva risaltare il rosso dei suoi capelli e le conferiva una specie di bellezza vistosa. La sottoveste pendeva e il soprabito era abbottonato storto; ma ciò suscitava in Norman l’idea di una trascuratezza privilegiata. Tipica di un personaggio potente che si ritiene superiore ai normali dettami dell’eleganza. Per una volta non aveva con sé la sua enorme borsa. Il cuore di Norman sussultò.
Non si fidava a guardarla negli occhi. Fece per alzarsi.
«Non andartene, Norm» disse Gunnison. «C’è ancora qualcosa di cui dobbiamo parlare.»
«Ma sì, perché non rimane?» disse la signora Gunnison.
«Mi dispiace» rispose Norman. «Tornerò nel pomeriggio se lei ha tempo, o domattina al più tardi.»
«Benissimo, non mancare» disse Gunnison gravemente. «C’è la riunione dei consiglieri domani pomeriggio.»
La signora Gunnison si sedette nella poltrona che Norman aveva appena lasciato.
«Mi saluti Tansy» gli disse. «La vedrò domani dai Carr, cioè se si è rimessa.» Norman annuì, poi uscì rapidamente e chiuse la porta dietro di sé.
Mentre aveva ancora la mano sulla maniglia, vide la borsa verde della signora Gunnison sul tavolo. Era dalla parte della vetrina che conteneva le gocce di Rupert e altre stranezze. Il suo cuore sussultò di nuovo.
In quell’anticamera, che serviva da segreteria, vi era una studentessa impiegata. Norman la interpellò.
«Signorina Miller» le disse, «vorrebbe essere così gentile da andarmi a prendere le pagelle di questi studenti?» E pronunciò mezza dozzina di nomi.
«Le pagelle sono nell’archivio, professor Saylor» disse un po’ dubbiosa.
«Lo so, ma dica all’incaricato che la mando io. Il professor Gunnison ed io le vogliamo riesaminare.»
Diligentemente prese nota dei nomi.
Mentre la porta si richiudeva dietro la ragazza, egli aprì il primo cassetto della scrivania, dove sapeva che vi era la chiave della vetrina.
Alcuni minuti dopo uscì la signora Gunnison.
«Credevo che lei fosse uscito» esclamò in tono asciutto. Poi con i suoi soliti modi burberi: «Aspettava che io me ne andassi per parlare da solo a solo con Harold?»
Egli non rispose, ma le guardò con insistenza la punta del naso.
Lei prese subito la borsa. «Non è il caso di farne un segreto» disse «io ne so tanto quanto lei, dei suoi guai, e forse anche di più. Per essere franchi, le cose si mettono piuttosto male.» La sua voce assumeva l’arroganza del vincitore. Ma gli sorrise.
Lui continuava a guardarle il naso.
«Ed è inutile che lei faccia finta di non essere seccato» continuò, irritata del suo silenzio «perché so benissimo che lo è e che domani Pollard chiederà le sue dimissioni.» Poi aggiunse: «Ma che cosa sta guardando?»
«Nulla» rispose, ed evitò il suo sguardo. Sbuffò, incredula, e prese dalla borsetta lo specchietto, lo guardò un momento senza capire, poi ispezionò tutto il viso in dettaglio.
Sembrò a Norman che la seconda lancetta dell’orologio si fermasse in eterno.
Molto dolcemente, ma molto rapidamente, con voce del tutto casuale che non fece neanche voltare la signora Gunnison, le disse: «Io so che avete rubato l’anima di mia moglie, e so come avete fatto. È il mio ramo e so come si procede. Per esempio se siete in una stanza con qualcun altro di cui volete rubare l’anima e quella persona si guarda allo specchio, e lo specchio si rompe mentre l’immagine del viso vi è tuttora riflessa, allora…»
Con un rapido, leggero rumore argentino, appena udibile, lo specchio in mano alla signora Gunnison si polverizzò in una piccola nube di polvere iridescente.
Improvvisamente parve a Norman che un altro peso si fosse aggiunto alla sua mente, che una oscurità intangibile premesse sui suoi pensieri…
Il grido soffocato di sorpresa, o di paura, che uscì dalle labbra della signora Gunnison si interruppe di colpo. Qualcosa che somigliava a un’espressione di ebetudine invase il suo volto, ma era dovuta al fatto che tutti i suoi muscoli si erano rilassati.
Norman fece un passo avanti e le prese il braccio. Per un secondo lei lo guardò senza capire poi barcollò e fece lentamente un passo, poi un altro mentre lui le diceva: «Venga con me, è la sua unica possibilità.»
Egli tremava, faceva fatica a credere alla sua riuscita, mentre lei lo seguiva nel corridoio. Vicino alle scale incontrarono la signorina Miller che tornava indietro con le pagelle.
«Mi spiace di averla disturbata» disse lui «perché ci siamo accorti di non averne più bisogno. Sia gentile e le riporti in archivio.»
La ragazza annuì con un sorriso educato ma un po’ ironico. Pareva pensare: «Ah, quei professori!»
Mentre Norman conduceva una signora Gunnison insolitamente docile fuori del reparto amministrativo, quella strana oscurità premeva sempre sui suoi pensieri. Era qualcosa di assolutamente diverso da tutto ciò che avesse provato sino allora.
Improvvisamente si aprì uno spiraglio in quella oscurità, come si aprono le nubi per lasciar passare uno stretto raggio di luce rossa. Solo che le nubi temporalesche erano ora all’interno del suo cervello e la luce rossa era una collera furiosa, impotente. Eppure quella sensazione non gli era completamente nuova.
A cospetto di quello spiraglio, la mente di Norman si rannicchiò. Il collegio, davanti a lui, parve tremare e oscillare, tutto colorato di un debole chiarore rossastro.
Pensò: “Se esiste la cosa che chiamano ‘sdoppiamento della personalità’, e se si produce una spaccatura fra due diverse coscienze…”
Ma questa era pazzia.
Bruscamente riaffiorò un altro ricordo, parole uscite dalle labbra di Tansy nello scompartimento del treno: “ L’anima è circondata dal cervello ”. E poi: “Se viene ostacolata e non riesce a rientrare nel proprio corpo, è irresistibilmente attratta da un altro, che questo possegga già un’anima o no. L’anima prigioniera è generalmente racchiusa nel cervello di chi l’ha catturata”.
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