Fritz Leiber - Ombre del male

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Ombre del male: краткое содержание, описание и аннотация

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Questo romanzo di uno dei «padri» della fantascienza, Fritz Leiber, assume oggi una modernità sconcertante, perché ha saputo esprimere nel modo più netto i dubbi e le perplessità dell’uomo contemporaneo di fronte a delle realtà che paiono inspiegabili. La scienza «ufficiale» riesce a giustificare compiutamente tutti i fatti che vediamo accadere intorno a noi? Forse molte risposte dovrebbero essere cercate in una conoscenza più antica e dimenticata, che poneva come chiave di volta dell’universo i poteri indefiniti della mente umana. Metà della razza umana, si chiede Fritz Leiber, pratica ancora, attivamente, le arti arcane? Forse tutte le donne sono streghe? Un uomo, un uomo moderno, che è uno studioso, è costretto a convincersi di sì: la sua stessa moglie ne è la prova. E non basta. Altre tre donne, mogli di suoi colleghi, fanno uso delle conoscenze scientifiche dei mariti, dando alla magia un impulso moderno, per assicurarsi successo e vantaggi materiali. Contendono l’una con l’altra. Esperimentano la loro forza. Si distruggono a vicenda invocando antiche forze del male. E quando egli costringe la moglie ad astenersi da tali pratiche, la rende inerme di fronte alle male arti delle altre.

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In piedi, vicina al letto c’era Tansy. Per un attimo Norman si senti invadere da una grande speranza. Poi vide lo sguardo di sua moglie e la sua speranza svanì in un doloroso baleno. Aveva alzato il velo. Con quel trucco pesante, guance scarlatte, labbra colore di vermiglio, pareva una statua indecentemente dipinta, grottesca sino all’inverosimile, sullo sfondo rosa delle tende di seta. Ma una statua famelica.

Sawtelle spinse da parte Norman gridando: «Cos’è successo? Cos’è successo?» Vide Tansy. «Non sapevo lei fosse quì. Quando è entrata?» Poi: «È lei che l’ha spaventata?»

La statua parlò e il suo tono tranquillo lo zittì.

«Oh, no, non l’ho spaventata io. Non è vero, Evelyn?»

Evelyn Sawtelle guardava Tansy con gli occhi sbarrati per il terrore, e la sua mascella continuava a tremare. Ma quando parlò fu solo per dire: «No, Tansy non mi ha… spaventata… stavamo chiacchierando e… poi mi è parso di sentire… un rumore…»

«Solo un rumore, cara?» disse Sawtelle.

«Sì, come un rumore di passi, molto attutiti, nel corridoio…»

Non riusciva a staccare gli occhi da Tansy che fece un cenno di assenso quand’ebbe terminato.

Norman accompagnò Sawtelle nella sua futile quanto melodrammatica perlustrazione del primo piano. Quando tornarono, Evelyn era sola.

«Tansy è tornata in macchina» disse a Norman con voce flebile «Sono sicura che quei passi li devo avere immaginati.»

Ma i suoi occhi erano sempre pieni di paura quando Norman la lasciò, e non parve conscia della presenza di suo marito sebbene questi si desse da fare a stendere la trapunta e a sprimacciare i guanciali.

Tansy era seduta in macchina, guardando fisso davanti a sé. Norman vide che il suo corpo era sempre dominato da quella sua unica emozione. Doveva pur farle una domanda.

«No, non ha la mia anima» fu la risposta. «L’ho interrogata a lungo. Per esserne assolutamente certa ho fatto la prova definitiva: l’ho abbracciata. Ed è in quel momento che ha urlato. Ha molta paura dei morti.»

«Cosa ti ha detto?»

«Mi ha detto che qualcuno è venuto a portarle via la mia anima. Qualcuno che non si fidava di lei, qualcuno che desiderava la mia anima, per tenerla in ostaggio e anche per altri motivi, la signora Gunnison.»

Le dita di Norman aggrappate al volante sbiancarono. Pensava a quello strano sguardo implorante che aveva visto balenare prima negli occhi della signora Gunnison.

18

Entrando nello studio del professor Carr, si aveva l’impressione di trovarsi davanti a un tentativo di ridurre il mondo materiale e sensibile alla purezza virginale della geometria. Le anguste pareti erano ornate di tre stampe incorniciate che rappresentavano le sezioni coniche. In cima alla libreria, piena di libri di matematica rilegati in pelle con titoli in oro, vi erano due modelli di superfici curve, fatte di argentone e filo metallico. L’ombrello con le pieghe non schiacciate, in un angolo, avrebbe potuto simulare un modello geometrico e la superficie della piccola scrivania che separava Norman dal professor Carr era anch’essa nuda, tranne alcuni fogli di carta coperti di simboli. Le dita pallide, sottili di Carr riposavano su uno di questi fogli.

«Sì» gli disse «queste sono equazioni possibili di logica simbolica.»

Norman ne era quasi sicuro, ma fu felice di sentirselo confermare da un matematico. L’affrettato riferimento che Norman aveva fatto al Principia Matematica non aveva pienamente soddisfatto il professor Carr.

«Le maiuscole rappresentano le classi di entità, le minuscole sono i rapporti» disse Norman per aiutarlo.

«Ah, sì» Carr fregò il mento scuro sotto la barbetta a punta. «Ma di che tipo di entità e di rapporti si tratta?»

«Lei può risolvere l’equazione anche se ignora il significato dei simboli, non è vero?» ribatté Norman.

«Certamente. E i risultati delle operazioni saranno altrettanto validi sia che si tratti di mele, di incrociatori, di temi poetici o di segni dello zodiaco. Sempreché, naturalmente, i riferimenti originali fra entità e simboli siano stati assunti correttamente.»

«Ed ecco il mio problema» disse Norman rapidamente. Vi sono diciassette equazioni sul primo foglio. A prima vista sembrano molto diverse, fra loro. Ora mi chiedo se, da queste diciassette equazioni, non traspare una semplice, fondamentale equazione, mescolata a un mucchio di termini non essenziali. Ognuno degli altri fogli presenta un analogo problema.»

«Hm…» Il professor Carr cominciò a scarabocchiare con una matita, e il suo sguardo stava per tornare sul foglio, ma si trattenne.

«Devo confessare che sono molto curioso di sapere a quali entità si riferiscono questi problemi» aggiunse ingenuamente. «Non sapevo che fossero stati fatti dei tentativi di applicare la logica simbolica alla sociologia.»

Norman aveva previsto questa osservazione. «Sarò sincero, Linthicum» gli disse. «Mi è venuta una vaga idea di una certa teoria poco ortodossa e mi sono ripromesso di non parlarne finché non sarò sicuro che essa sia effettivamente valida.»

Il viso di Carr si illuminò di un largo sorriso di comprensione. «Posso capire i tuoi sentimenti» gli disse. «Ricordo ancora le tristi conseguenze di un mio affrettato annuncio, un tempo in cui avevo creduto di aver trovato la soluzione della trisezione dell’angolo. Naturalmente» aggiunse subito «ero ancora al ginnasio a quei tempi. Comunque ho fatto passare un brutto quarto d’ora al mio professore» disse con una sfumatura di soddisfazione.

Quando riprese a parlare gli era tornata la giovanile, timida curiosità. «Tuttavia… questi simboli mi stuzzicano molto. Così come sono potrebbero riferirsi… Be’, a qualsiasi cosa.»

«Mi spiace» disse Norman. «Lo so che le chiedo troppo…»

«Niente affatto, niente affatto.» Gingillandosi con la matita diede un’altra occhiata al foglio. Qualcosa lo colpì. «Ma, questo è molto intessante, non lo avevo notato prima» disse. E la sua matita cominciò a volare sulla carta, cancellando alcune cifre, formulando nuove equazioni. Il solco verticale fra le sue sopracciglia si fece più profondo. In un momento fu totalmente assorbito dal problema.

Con un senso di sollievo Norman si adagiò nella poltrona. Si sentiva esausto, gli occhi gli bruciavano. Quei cinque fogli rappresentavano venti ore di lavoro ininterrotto: martedì notte, mercoledì mattina e parte di mercoledì pomeriggio. Anche in questa occasione non aveva potuto fare a meno dell’aiuto di Tansy alla quale dettava appunti. Si era accorto di poter contare sulla sua automatica, inconscia precisione di robot.

Seguiva ora, semi ipnotizzato, quelle dita agili, anche se vecchie, che riempivano un foglio nuovo di equazioni derivate. I loro rapidi ma ordinati movimenti rendevano più intensa la serena, monastica quiete del piccolo studio.

Una stranezza appresso l’altra, pensava Norman come in un sogno. Non soltanto doveva far finta di credere alla magia nera, per sopraffare tre vecchie superstiziose e psicopatiche che si erano impadronite della mente di sua moglie, ma doveva anche rivolgersi alla scienza moderna della logica simbolica per servire quella pretesa fede. La logica simbolica usata per districare le contraddizioni e l’ambiguità delle formule magiche… Cos’avrebbe detto il vecchio Carr se avesse saputo a quali “entità” si riferivano i simboli?

Soltanto perché aveva invocato il prestigio dell’alta matematica, Norman era stato in grado di convincere Tansy che lui poteva escogitare una magia abbastanza forte da sconfiggere quella usata dalle sue nemiche. Mossa d’altronde conforme alle migliori tradizioni della stregoneria, a pensarci bene. Gli stregoni cercano sempre di incorporare le ultime scoperte nei loro sistemi, per guadagnare prestigio. Che cos’era in fondo la stregoneria se non una lotta per il prestigio nell’ambito del misticismo, e che cos’era uno stregone se non un individuo che si era illecitamente innalzato al di sopra dei suoi simili?

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