Fritz Leiber - Nostra Signora delle Tenebre

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Nostra Signora delle Tenebre: краткое содержание, описание и аннотация

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Nostra Signora delle Tenebre Per Franz Westen, vedovo, scrittore di racconti del soprannaturale per la televisione, l’incubo comincia all’improvviso, quando, una notte, si affaccia alla finestra del suo appartamento per scrutare con il binocolo le luci della città ed è testimone di una scena inquietante: là, sulla cima di Corona Heights, la solitaria ed erta collinetta che si leva proprio nel cuore di San Francisco, c’è una strana figura dal colorito brunastro che si agita e si muove in maniera sinistra, come se fosse impegnata in qualche misterioso rituale o danza magica. Ha così inizio una terribile persecuzione, cui Franz tenterà invano di sottrarsi e che forse è collegata in qualche modo con un vecchio volume affascinante e sibillino, pieno di misteriose citazioni e di strani discorsi sulle moderne megalopoli e sulle arcane entità che le infestano, i “paramentali”, esseri d’origine azoica “più infidi dei ragni e delle donnole”.

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Alle parole “sciolto” e “scatenata”, Franz ricordò le parole di Cal, che, quella mattina, gli aveva detto che la musica aveva il potere di liberare le cose e di farle volare e danzare.

Gunnar chiese: — E poi cos’è successo?

— Non molto, in verità — disse Saul. — Cal ha continuato a suonare la stessa aria, nella stessa chiave trionfante, e noi abbiamo continuato a ballare, e mi pare che anche altri due si siano uniti a noi, ma ogni volta lei suonava un po’ più in sordina, fino a quando è diventata come una musica per topolini. Poi ha smesso, ha chiuso adagio il piano, e noi ci siamo fermati, scambiandoci sorrisi, e la cosa è finita lì: solo che l’atmosfera era molto diversa da quella che c’era all’inizio. E poco dopo lei è tornata a casa senza aspettare la fine del turno, come se fosse convinta che quel aveva fatto non si poteva ripetere. In seguito non ne abbiamo parlato molto, lei e io. Ricordo che ho pensato: “La magìa è una cosa che vale per una volta sola”.

— Ehi, mi piace — disse Gunnar. — Intendo, l’idea che la magìa… e anche i miracoli, come quelli di Gesù, per esempio… e anche i capolavori dell’arte… e la storia, naturalmente… siano fenomeni che non possono ripetersi. Diversamente dalla scienza, che si occupa di fenomeni che si possono ripetere.

Franz sorrise. — La tensione si è sciolta… la depressione si è allentata e scatenata… le note volano verso l’alto, come scintille… Sai, Gunnar, mi fa venire in mente quello che fa lo Stracciafogli che mi hai mostrato questa mattina.

— Lo “Stracciafogli”? — chiese Saul. Franz spiegò, brevemente.

Saul disse a Gunnar: — A me non ne hai parlato.

— E allora? — Gunnar sorrise e alzò le spalle.

— Certo — osservò Franz, quasi in tono di rammarico — l’idea che la musica faccia bene ai pazzi e plachi le anime turbate risale a tempi molto antichi.

— Almeno a Pitagora — intervenne Gunnar. — Duemilacinquecento anni fa.

Saul scosse la testa, deciso. — Quello che ha fatto Cal andava ben oltre.

Bussarono due colpi secchi alla porta. Gunnar l’aprì.

Fernando si guardò intorno, inchinandosi educatamente, poi si rivolse tutto raggiante a Franz e chiese: — Scacchi?

11

Fernando era un buon giocatore: a Lima era qualificato come esperto. Nella stanza di Franz fecero due partite lunghe e impegnative, che erano l’ideale per tenere occupata la mente di Franz, offuscata come ogni sera, e mentre giocava, Franz si accorse che la scalata l’aveva sfinito fisicamente.

Di tanto pensava fugacemente alla “magìa bianca” di Cal (ammesso che potesse chiamarla così) e a quella nera (ancor meno verosimile) in cui si era imbattuto su Corona Heights. Rimpiangeva di non avere analizzato più a lungo con Saul e Gunnar i due episodi, ma temeva che non potessero dirgli molto di più. Oh, be’, li avrebbe rivisti al concerto, l’indomani sera: ne avevano parlato nel congedarsi, ed entrambi l’avevano pregato di tenere loro il posto se fosse arrivato per primo.

Mentre stava per andarsene, Fernando indicò la scacchiera e chiese: — Mañana por la noche?

Franz era in grado di capire quel tanto di spagnolo. Sorrise e annuì. Se non avesse potuto giocare a scacchi, l’indomani sera, avrebbe avvertito Dorotea.

Dormì come un sasso, e senza ricordare alcun sogno.

Si svegliò completamente riposato, con la mente limpida e serena, i pensieri misurati e sicuri. Il beneficio di un buon sonno. I presentimenti e l’incertezza della sera precedente erano spariti. Ricordava ogni evento del giorno prima esattamente com’era accaduto, ma senza le sfumature emotive dell’eccitazione e della paura.

Dalla finestra si scorgeva la costellazione di Orione, e questo gli diceva che l’alba era vicina. Le nove stelle più luminose formavano una sorta di clessidra spigolosa e inclinata, che rivaleggiava con quella più piccola e sottile creata dalle diciannove intermittenti luci rosse della torre della TV.

Si preparò in fretta una tazza di caffè con l’acqua calda del rubinetto, poi infilò le pantofole e la vestaglia, prese il binocolo, e salì sul tetto senza far rumore. Tutti i suoi sensi era vigili. Le nere finestre dei pozzi di ventilazione e le nere porte senza maniglia dei ripostigli in disuso spiccavano nitide quanto le porte delle stanze occupate e le vecchie ringhiere, tante volte ridipinte, che lui sfiorava nel salire.

Nel locale sul tetto, la luce della piccola lampada tascabile rivelò i cavi lucenti, il motore elettrico scuro e gibboso, e le fredde e silenziose braccia di ferro delle leve che si sarebbero svegliate violentemente, con un gran frastuono improvviso, oscillando e scattando, se qualcuno avesse premuto un pulsante, ai piani di sotto. Lo gnomo verde e il ragno.

All’esterno, si era levato il vento. Passando davanti all’imboccatura di uno dei condotti di aerazione, raccolse da terra una pietruzza e ve la lasciò cadere dentro. Il suono secco dell’urto, con i suoi echi, gli giunse dopo circa tre secondi. Venticinque metri, come ricordava. Era piacevole pensare che lui era sveglio e lucido mentre il resto della città dormiva.

Alzò gli occhi verso le stelle che tempestavano la cupola scura della notte come minuscole borchie d’argento. Per San Francisco, con le sue nebbie e i suoi vapori, e lo smog invadente che arrivava da Oakland e da San José, era una bella notte. La luna era tramontata. Studiò affettuosamente la supercostellazione di stelle luminosissime che lui chiamava “Scudo”, un esagono che occupava il cielo, con gli angoli contrassegnati da Capella verso nord, l’ardente Polluce (con Castore nei pressi, e in quegli anni anche Saturno), Procione la piccola stella del Cane, Sirio la più luminosa di tutte, l’azzurrina Rigel in Orione, e (andando di nuovo verso nord) la rossa Aldebaran. Usando il binocolo, scrutò lo sciame dorato delle Iadi vicino ad Aldebaran, e poi, accanto allo Scudo, il minuscolo ammasso bianco-azzurro delle Pleiadi.

Quelle stelle, così salde e sicure, si armonizzavano col suo umore di quel mattino e lo rafforzavano. Guardò di nuovo la clessidra inclinata di Orione, e poi abbassò gli occhi sulla torre della TV, lampeggiante di rosso. Più sotto, Corona Heights era una gobba nera tra le luci della città.

Gli tornò il ricordo (una goccia limpida come il cristallo, così come gli tornavano i ricordi in quei giorni, nell’ora dopo il risveglio) di quando aveva visto per la prima volta la torre della TV di notte e aveva pensato a una frase di un racconto di Lovecraft, L’abitatore del buio, in cui un personaggio, guardando un’altra collina funesta (Federai Hill, a Providence), vede che “il rosso faro dell’Industriai Trust” si è acceso per “rendere grottesca la notte”. La prima volta che aveva visto la torre, Franz l’aveva giudicata peggio che grottesca; ma adesso, stranamente, per lui era divenuta una vista rassicurante, quasi come le stelle di Orione.

“L’abitatore del buio!” pensò, con una risata sommessa, il giorno prima aveva vissuto un episodio di una storia che avrebbe potuto intitolarsi “Colui che stava in agguato sulla vetta”. Che strano!

Prima di tornare nel suo appartamento, scrutò per qualche minuto i bui rettangoli e la smilza piramide dei grattacieli del centro (i babau del vecchio Thibaut!): anche i più alti di essi avevano le luci rosse di avvertimento.

Si preparò un altro caffè, usando questa volta il fornello e aggiungendo latte e zucchero. Poi tornò a letto, deciso a usare la lucidità del mattino per chiarirsi la situazione che la sera prima si era fatta nebulosa. Il volume male stampato di Thibaut e il diario color rosa tea slavata formavano già la testa della sua colorita Amante dello Studioso, che giaceva sul letto accanto a lui. Vi aggiunse i voluminosi rettangoli neri dell’ Outsider e altre storie di Lovecraft e di Storie di spettri di Montague Rhodes James, e numerose vecchie copie ingiallite di Weird Tales (qualche puritano aveva strappato le copertine scollacciate) che contenevano racconti di Clark Ashton Smith: per fare spazio dovette buttare sul pavimento alcune riviste sgargianti e i tovaglioli colorati.

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