Charles Grant - La carezza della paura

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La carezza della paura: краткое содержание, описание и аннотация

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Quale sarà la prossima vittima dello squartatore, il mostro del New Jersey? Il timido Donald Boyd, capace di parlare solo con creature immaginarie di sua invenzione, assalito dal mostro, viene salvato da uno stallone nero che da allora lo difenderà sempre, apparendo dal nulla. Per Donald è la lotta contro una nuova inspiegabile ossessione.

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«Buona passeggiata, vecchio stupido», mormorò, ficcandosi le mani in tasca e incamminandosi per seguire la moglie, sbuffando ai claxon che strombazzavano in segno di vittoria, salutando con un cenno della mano alcune persone che avevano gridato il suo nome e fissando le facce che gli passavano davanti: si chiese come fosse possibile che una stupida partita di football del liceo potesse riappacificare tutta quella gente con il mondo.

Fece una breve pausa per accendersi una sigaretta, riparandosi dal vento umido che sembrava preannunciare la pioggia. Il fumo era caldo e lo assaporò per un minuto, poi aggrottò le sopracciglia e gettò il mozzicone sul marciapiede. Si leccò le labbra e deglutì. Stava per lasciarsi andare a un pessimo stato di autocommiserazione, e non era certo il modo più adatto di presentarsi a Garziana.

Raddrizzò la schiena, lasciò cadere le braccia e si mise a fischiettare una marcetta sottovoce, proseguendo lungo la strada e pensando di chiamare un taxi, una volta giunto a casa, per arrivare al luogo dell’appuntamento in un batter d’occhio. Una bella entrata, la prima impressione è quella che conta, il sindaco sarebbe stato soddisfatto.

Devi pensare alla partita, ordinò a se stesso; pensa a tutte quelle situazioni piacevoli, agli applausi, alle urla che hanno accompagnato Pratt mentre afferrava quel pallone, quel fortunato figlio di puttana.

Rallentò il passo alzando il tono della marcetta, e quando si dovette fermare davanti alla casa degli Snowden per far passare Chris, riuscì persino a salutarla e a sorriderle.

E aspettò.

Per vederla scivolare fuori dall’auto, con quelle sue gambe bianche sotto la luce dei lampioni, le trecce che danzavano sul suo petto mentre si girava verso di lui per sorridergli; poi afferrò i pon-pon dal sedile posteriore e fece il giro dietro alla macchina.

«Salve!» disse lei, con le guance rosse e gli occhi scintillanti.

«Salve anche a te!»

«In partenza per i festeggiamenti?»

«Proprio così.»

«Anch’io. Ci vediamo.»

Corse lungo il vialetto e poi su per le scale, ma lui non si fermò a guardarla; si rese conto di quello che stava facendo, ma non gliene importava niente. Proprio in quello stesso istante, Joyce stava pasticciando con i suoi capelli e i suoi trucchi, rimproverandosi duramente per quello che aveva visto Don. Non le avrebbe fatto male rimanere per un po’ da sola, giusto il tempo di calmarsi.

«Signor Boyd?»

Alzò gli occhi. Lei se ne stava in piedi sull’uscio.

«Signor Boyd, mio padre…» E fece un gesto per invitarlo a entrare.

Caspita, pensò; un brindisi per festeggiare la vittoria con un ricco chirurgo non avrebbe fatto certo male. Forse, se avesse giocato bene le sue carte, sarebbe saltato fuori anche un assegno per i fondi procampagna.

Fece finta di riflettere prima di accettare, poi annuì e la seguì dentro casa.

La porta si chiuse silenziosamente, e tutte le luci erano spente.

«Ehi, Chris», chiamò, improvvisamente innervosito.

«Stavo giusto per dire», disse lei dolcemente, «che è fuori città, ma che sicuramente non avrebbe nulla da ridire se la invitassi a bere qualcosa per festeggiare la grande vittoria. E nemmeno mia madre. È andata in Florida, in vacanza.»

Non erano altro che ombre nella semioscurità. Lui afferrò la maniglia della porta e guardò stupito le dita della ragazza che afferravano il suo polso. Per un secondo. Per due. Poi, una alla volta, mollarono la presa e si udirono i pon-pon che cadevano a terra.

«Chris», la mise in guardia, ma non cercò più di toccare la maniglia.

Stupido Boyd. Stupido, non sei che uno stupido pezzo di merda.

«Devo cambiarmi», annunciò Chris, salendo lentamente le scale. Lei non guardò dietro di sé, ma i suoi fianchi e le sue gambe sembravano invitarlo a seguirla.

Considerò soltanto per un attimo quello che stava facendo, la situazione nella quale si stava andando a cacciare, poi decise improvvisamente che il suo comportamento da santo non era bastato a conservargli una moglie, e nemmeno un figlio: era giunta l’ora che si prendesse quello che voleva, che avesse quello che si meritava.

Così la seguì, in punta di piedi, ed entrò nella stanza buia. Lei era distesa nell’oscurità, nuda, con le mani che scivolavano lungo i seni, poi sullo stomaco, poi sulle lenzuola.

Rimase in piedi di fianco al letto. Si sbottonò la camicia.

Si interruppe quando vide il sorriso della ragazza, simile a un ghigno beffardo.

«Bisogna festeggiare», disse lei.

Lui annuì, si spogliò e scivolò sopra di lei, senza toccarla, limitandosi a guardarla fisso negli occhi. Nell’oscurità aveva gli occhi neri e assolutamente privi di espressione; sulle labbra aveva ancora quel sorriso beffardo.

«So benissimo quello che hai intenzione di fare», disse lui in un soffio.

Lei annuì e si spostò in modo che gli occhi di lui incontrassero il suo seno.

«Non funzionerà.»

«Certo», disse lei, abbracciandogli la schiena.

Resistette quel tanto che bastava per dimostrarle che diceva sul serio, per farle vedere che era lui che comandava, poi si abbassò su di lei che lo guidò e lo ascoltò mentre ansimava. Lui sentì che stava spingendo con forza. Alzò lo sguardo verso di lei e la vide con gli occhi fissi al soffitto.

Falcone aprì la porta e la richiuse, afferrò Joyce per una spalla e la trascinò verso il salotto immerso nell’oscurità. «L’ha scoperto, non è vero? Quel figlio di puttana sa esattamente quello che sta succedendo, giusto?»

«Certo che lo sa.»

«Gesù Cristo!» esclamò, abbassando le mani e girandosi verso la finestra. «Joyce, si può sapere cosa cazzo ti eri messa in testa?»

«Io? Io volevo soltanto qualcuno con cui parlare. Sei tu che non sei stato capace di tener ferme le mani.»

«Non mi sembra di averti sentito gridare al violentatore», ribatté lui in tono tranquillo.

La luce dei lampioni filtrava debolmente nella stanza, proiettando strane ombre sui mobili e deformando il profilo dell’uomo.

«Ma tu sapevi quello che stavi facendo», rispose lei. «E lo sai anche adesso, e sai che non avresti dovuto.»

«Oh, Cristo, adesso non dare la colpa a me, okay? Non è mica una telenovela. Sei una donna adulta e…»

Vide che lui osservava fuori dalla finestra con aria sospetta, allora si appoggiò alla sedia di Norman per guardare il prato. Nessuno avrebbe potuto vederli, a meno di usare una torcia, ma forse si trattava di Donald che rientrava oppure, e sarebbe stato ancora peggio, era Norman.

«Che cosa c’è?» bisbigliò.

Lui indicò qualcosa. «Tu mi fai diventare matto, Joyce. Potrei giurare di aver visto una specie di animale, lì fuori.»

Lei rise. Sarebbe andato tutto a posto, Harry la stava prendendo in giro; sì, sarebbe andato tutto a posto.

«Ascolta Harry, non può andare avanti così. Devo ritornare con Norman, quindi perché non…»

«Dannazione, eccolo di nuovo.»

Con un sorriso lei scosse la testa e andò di fianco all’uomo, guardò fuori dalla finestra e lo vide.

Sotto gli alberi la sua schiena arcuata sfiorava i rami più bassi. Attorno a esso si era formata una spessa nebbia, che sembrava nascere dall’erba e colare dalle foglie; la nebbia rendeva indistinti i contorni, ma non il verde luccicante degli occhi.

«È uno scherzo», disse Harry. «È di gesso, o qualcosa del genere. Un travestimento. È per caso uno dei giochi del ragazzo?»

La voce si era fatta dura. «Per caso lui è là fuori e si sta divertendo a farci qualche scherzo, Joyce?»

«Lui si chiama Donald», rispose lei con calma, rimanendo senza fiato quando l’animale alzò la testa e la guardò diritta negli occhi.

«Cristo», mormorò Harry, scuotendo incredulo la testa.

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