Charles Grant - La carezza della paura

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La carezza della paura: краткое содержание, описание и аннотация

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Quale sarà la prossima vittima dello squartatore, il mostro del New Jersey? Il timido Donald Boyd, capace di parlare solo con creature immaginarie di sua invenzione, assalito dal mostro, viene salvato da uno stallone nero che da allora lo difenderà sempre, apparendo dal nulla. Per Donald è la lotta contro una nuova inspiegabile ossessione.

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«Mio Dio», ansimò lei senza fiato, quando lui finalmente la raggiunse e le si strinse vicino. «Da come gridavano, sembrava di essere alla finale del Super Bowl.»

La sua uniforme risultò ruvida al tatto, ma il braccio di Don scivolò con naturalezza attorno alla sua vita, mentre con il resto del corpo faceva da scudo al corpo della ragazza. Tracey ripose il suo strumento nella custodia e si cacciò gli spartiti nella tasca più facile da raggiungere.

«Hai visto i tuoi?»

Lui annuì rigido.

«Devi per caso aspettare qualcuno?»

«E tu?»

«Nessuno.»

Con un: «Andiamo, allora», l’afferrò per la vita stringendola a sé e si incamminarono insieme verso i cancelli. Ci sarebbe voluto un po’ di tempo; c’erano frotte di ragazzini che avevano improvvisato delle gare di corsa, c’erano giocatori di football che cercavano di sfuggire ai tifosi per andare a cambiarsi e poter festeggiare la vittoria e c’era un gruppetto di musicisti della banda che suonava pezzi di musica che in realtà non aveva mai provato prima di allora.

«Don», chiese allora Tracey, «cosa c’è che non va?»

Joyce si alzò in piedi per applaudire quando udì il segnale di fine partita e non riuscì a sentire nemmeno una parola di quello che Jean Garziana tentava di dirle mentre si incamminavano verso le scale, dirette all’uscita. Donald se n’era andato, inghiottito dalla fiumana di gente che si riversava nel campo, e lei odiò se stessa per quel sentimento di sollievo che avvertiva. Norm era dietro di lei, e quando si girò, le rivolse quella sua tipica occhiata indifferente riservata alle persone che non conosceva. Jean le sfiorò il braccio e lei sorrise automaticamente, accennando alle sue orecchie e poi alla folla che si accalcava. La donna annuì, e tutti e tre cercarono di uscire il più in fretta possibile dallo stadio per poi ritrovarsi nella via della scuola. All’angolo della strada la situazione non era completamente tranquilla, ma almeno c’era molta meno gente.

«Noi andiamo a bere qualcosa», disse allora la donna. «Vuoi venire con noi?» Di fronte all’esitazione di Joyce, aprì il cappotto mostrando la propria divisa da infermiera. «Non staremo via molto, te lo prometto. Inizio il turno a mezzanotte.»

«Ma non ho il vestito adatto», protestò Joyce, osservando la sua camicetta, i pantaloni spiegazzati e le ballerine ai piedi. «Non mi sentirei a mio agio.» Una risata nervosa — sapete com’è.

Anthony Garziana arrivò al fianco di Norman. Quando Jean gli spiegò la situazione, rise di cuore e diede una pacca sulla spalla di Norman. «Non c’è problema, signore mie, davvero non c’è nessun problema», disse. «Joyce, puoi andare avanti e cambiarti. Voglio davvero che tu ti diverta, stanotte. Norm, tu potresti andare con lei e poi riportarla indietro. Poi andremo a bere qualcosa e faremo due chiacchiere. Allora, cosa ne dite?»

Non lasciò loro nemmeno il tempo di rispondere. Prese sua moglie sottobraccio e si girò verso la strada, proprio mentre una limousine gli si fermava davanti. «Ci vediamo allo Starlite, va bene?» La portiera si aprì e lui sparì.

Joyce si strappò via il foulard mentre la limousine si allontanava.

«Sono contento che ti sia fatta vedere», disse Norman.

«Non sono così stupida», rispose lei stancamente.

«Divertente questa, è praticamente quello che ho detto prima a Don.»

«Che cosa?» Gli afferrò il braccio, poi si ricordò della gente che si affrettava verso casa e si sforzò di abbozzare un sorriso. «Che cosa vuoi dire?»

«Io e Don abbiamo parlato un po’», spiegò lui in tono piatto, evitando di guardare verso di lei.

«Che cosa gli hai detto?»

«Che tu e io avremmo dovuto parlare, prima di domattina.» A quel punto la guardò e lei non ebbe il coraggio di distogliere lo sguardo. «È necessario, Joyce. Lo sai benissimo anche tu, dopo le tue prodezze di oggi.»

«Io…»

«Don ti ha visto.»

Improvvisamente avvertì qualcosa di duro e di freddo che le attanagliava lo stomaco. «Oh, merda.»

«Già.»

Fissò con lo sguardo perso nel vuoto le facce che si muovevano rapide e le macchine che sfrecciavano lungo la strada. «Dobbiamo proprio andare, vero?»

«Sì, dobbiamo proprio andare.»

«Allora devo passare da casa per cambiarmi.»

L’afferrò al polso con le dita, e i polpastrelli la strinsero con forza, fino a quando lei cercò di liberarsi dalla stretta. «Ci sarai anche tu, vero?»

«Non mi accompagni a casa?»

«No», rispose lui. «No. Se lo facessi, non riusciremmo più a uscire con il sindaco.»

«Capisco.»

«Davvero?»

«Molto chiaramente, Norman. Molto meglio di quanto tu mi possa credere capace.»

Si liberò dalla stretta e se ne andò, sentendo la durezza del selciato sotto le ballerine e sobbalzando quando una banda di ragazzini le passò di fianco e uno di loro le pestò un piede. Le salirono le lacrime agli occhi, ma poi scomparvero insieme con il dolore.

Don lo sapeva. Lo sapeva. E adesso cosa avrebbe fatto?

È una cosa talmente stupida, pensò mentre aspettava sul marciapiede per poter attraversare la strada; io sono stata stupida. Oh, mio Dio, cosa diavolo posso fare adesso?

Attraversò di corsa la strada, nascondendosi nelle tenebre, rimproverandosi per il modo in cui aveva reagito all’annuncio di Norman. Avrebbe dovuto aspettare di essere a casa, poi avrebbe potuto parlargli con calma; e se non proprio con calma, almeno con una certa logica che gli avrebbe fatto capire quanto stupido fosse stato lui. Ma lui continuava a citarle quel suo dannato padre, a rigirare il dito nella piaga al minimo accenno di resistenza alla sua candidatura per le alte cariche — e lei, temendo di essere sul punto di perdere le sicurezze che si erano guadagnati, aveva chiamato Harold. E Harold aveva risposto esattamente come lei si aspettava che facesse — non con saggi consigli o pacate discussioni, ma iniziando a baciarla sulla guancia una volta usciti da scuola, stringendole la mano e baciandole le dita fino a quando si erano ritrovati sul vialetto d’ingresso della casa di Harold, dall’altra parte della città. Appena entrati nell’appartamento, mentre lei cercava di spiegare, lui l’aveva presa fra le sue braccia e aveva tirato fuori la camicia dai jeans.

Quando aveva sentito passare la sua mano sulla schiena nuda, si era sentita perduta, tutto era perduto a quel punto … e, santo cielo, Don aveva visto tutto!

Mentre apriva la porta di casa, si rese conto che stava battendo i denti per il freddo e per la tensione, e anche per la paura di non riuscire a spiegare a Norman la sua stupidità. No, si corresse con durezza mentre sbatteva la porta, non era stata stupidità. Forse incoscienza. Debolezza. Ma non stupidità.

Corse al piano di sopra, strappandosi di dosso i vestiti. Stava per aprire l’armadio per cercare qualcosa di più adatto a un incontro con il sindaco e sua moglie, quando sentì qualcuno bussare alla porta. Il primo pensiero che le passò per la mente fu che Don avesse dimenticato la chiave, così si infilò la vestaglia e stringendosela stretta, scese di nuovo le scale. Avrebbe dovuto dirgli qualcosa. Era così sensibile che qualsiasi cosa vicina alla verità lo avrebbe ferito. In questo periodo tuo padre e io abbiamo dei problemi — troppo vago e insoddisfacente, e poi era qualcosa che il ragazzo sapeva già.

Aprì la porta e immediatamente si strinse il risvolto della vestaglia attorno alla gola. «Harry, per l’amor del cielo! Cosa diavolo ci fai tu qui?»

Norman era rimasto a guardare sua moglie che correva verso casa, poi si era girato, si era fermato e si era ritrovato solo. Si era messo quasi a ridere — tutte quelle pose, la soddisfazione crudele di farle capire che Don sapeva, tutto sprecato. La sua uscita drammatica era stata rovinata perché non poteva andare allo Starlite, a meno che non avesse camminato per dieci o dodici isolati.

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