Charles Grant - La carezza della paura

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La carezza della paura: краткое содержание, описание и аннотация

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Quale sarà la prossima vittima dello squartatore, il mostro del New Jersey? Il timido Donald Boyd, capace di parlare solo con creature immaginarie di sua invenzione, assalito dal mostro, viene salvato da uno stallone nero che da allora lo difenderà sempre, apparendo dal nulla. Per Donald è la lotta contro una nuova inspiegabile ossessione.

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«E non sono nemmeno pazzo.»

La nebbia.

Lampi verdi.

«Lo volevo morto», le disse Don senza togliere gli occhi dal cavallo. «Volevo che Tar morisse.»

Tracey chiuse gli occhi. «Don, digli di andarsene.»

«Lui mi aiuta», disse. «Lui mi ascolta e mi aiuta.»

«Don?»

Lui sorrise. «Dannazione, Tracey, hai idea di che cosa significhi?»

Il cavallo fece un passo indietro, immergendosi nella nebbia che usciva dalle sue narici mentre respirava e si muoveva; presto non fu altro che una sagoma indistinta dagli occhi verdi a fessura.

Poi svanì mentre un’esplosione di sirene scoppiava dietro di loro. Si girarono di scatto e videro la nebbia che risaliva lungo gli alberi, videro la superficie del laghetto increspata da piccole onde che si infrangevano contro i bordi in cemento, si girarono una seconda volta e udirono rumore di passi che correvano verso di loro.

Era Luis Quintero, con la pistola in mano, seguito da altri tre uomini. Quando vide i due ragazzi vicino all’acqua rallentò il passo e rimise la pistola nella fondina, ma non si fermò fino a quando non li raggiunse e non afferrò il braccio di Tracey.

«Stai bene?» chiese. Poi guardò severamente Don. «E tu. Stai bene?»

«Papà!»

«Sapevo che saresti venuto qui. Quando…» Indicò Don e fece un cenno a uno degli uomini. «Riporta immediatamente a casa mia figlia.»

«Papà, cosa sta succedendo?»

«Don, per favore, vieni con me.» La voce era dura e preoccupata e Don guardò sopra la sua spalla, verso il sentiero buio e deserto. «Ti prego, Don, dobbiamo fare in fretta.»

«Cosa c’è?» chiese.

Altre sirene, e il tuono, e le prime gocce di pioggia.

«Non posso dirti altro fino a quando non saremo a casa.»

Fece un salto indietro, in preda al panico. «Casa? La mamma? C’entra mia madre? Mio padre?»

«Fino a quando non saremo a casa», ripeté Quintero. «Abbi pazienza. Ti aiuterò.»

19

Una macchina della polizia era stata parcheggiata di traverso davanti all’uscita sul viale e Don si mosse in quella direzione sospinto gentilmente da Quintero. Tracey se n’era già andata con un’altra auto di pattuglia, continuando a tenere gli occhi fissi sulla scena, premendo un palmo contro il finestrino, mentre il suo viso veniva illuminato a tratti dalla luce dei lampioni. Un poliziotto aprì la portiera e fece cenno a Don di salire. Lui guardò in direzione del viale e notò altre due macchine che bloccavano di traverso l’imbocco della sua via con le luci di emergenza accese, mentre tre poliziotti si davano da fare per sbarrare l’accesso con dei cavalietti.

«Signor Quintero, che cosa sta succedendo?»

«Don, ti prego», disse Quintero.

A Don mancò il respiro, poi guardò nella direzione opposta e vide le macchine, le luci, la gente che si stava avvicinando frettolosamente al suo isolato. Con un gemito liberò il braccio e cominciò a correre, incurante del traffico. Un autobus sterzò giusto in tempo per evitarlo. Quintero, ormai distante, gli urlò di fermarsi.

All’imbocco della via, saltò lo sbarramento e continuò a correre per qualche metro, poi rallentò e si mise a camminare con andatura stanca, le braccia ciondoloni lungo i fianchi.

Nei giardini dei vicini, la gente era uscita e sostava a piccoli gruppi; sulla strada, di fronte al suo vialetto d’ingresso, c’era una camionetta dei vigili del fuoco e non molto distanti due pattuglie con il motore acceso riempivano l’aria di gas; un’autoambulanza stava facendo retromarcia sul prato.

Riprese a camminare, a fatica, finché non venne afferrato per il braccio da un poliziotto che cercò di tirarlo verso di sé. Si mise a protestare e venne lasciato libero per ordine di Quintero. Ansimando lasciò il marciapiede e si avvicinò a casa sua — all’ingresso che sembrava una voragine aperta, alle luci accese in ogni stanza, al garage, al tetto chiazzato dalle luci d’emergenza delle pattuglie.

«Che cos’è successo?» domandò d’un fiato a Quintero che si era messo al suo fianco e che gli aveva appoggiato una mano sulla spalla. «Che cos’è successo?»

Una sirena. I vigili del fuoco erano attorno alla camionetta e fumavano sigarette in attesa dell’ordine di rientrare. Lampi di fari. Voci che sussurravano istruzioni.

«Che cos’è successo, signor Quintero?», ripeté voltandosi verso il padre di Tracey con sguardo angosciato.

«È tutto molto confuso», rispose l’uomo, cercando di guardare contemporaneamente Don e la casa. «Qualcuno — il signor Delfield, credo che tu lo conosca — ha visto che usciva del fumo da casa tua qualche ora fa. Ci ha chiamati e ha telefonato ai vigili del fuoco.»

Dalla porta principale uscirono degli uomini in uniforme bianca, tenendo in mano una barella su cui c’era un sacco di plastica verde chiuso fino in alto.

«Oh, mio Dio!» singhiozzò Don cercando nuovamente di correre.

«No!» gli gridò Quintero. «Non è tua madre, Don.»

Fu la voce, non la mano, che lo fermò; era stata la voce, non la mano, a dirgli chi c’era in quel sacco.

In casa sua. Quel bastardo era stato con sua madre in casa sua.

«Co-come?»

Quintero si grattò nervosamente i baffi. «Non lo so. Dentro c’è il sergente Verona. Ci sono stato anch’io e non ho visto nessuna fiammata, non stava bruciando niente. Solo…» E fece un gesto verso il corpo che in quel momento veniva caricato sull’ambulanza. Questa partì e venne sostituita immediatamente da un’altra. «Hai sentito di Tar?»

Don annuì, mentre la speranza di essere in un sogno cominciava a svanire.

«Uguale.»

La finestra era stata rotta verso l’interno e, mentre Don guardava, si staccò un altro pezzo di vetro che andò a frantumarsi per terra.

Dal vialetto arrivò un uomo in abito da sera, che si fermò non appena vide Don vicino al marciapiede. Lo salutò e si mise a correre, mentre Don sentì che il suo stomaco si stava capovolgendo. Era il dottor Naugle, che cominciò a parlare ancora prima di raggiungerli.

«… mi hanno chiamato e sono venuto subito. Donald, ti senti bene? Eri…» Spostò lo sguardo verso Quintero che scosse il capo. Poi mise una mano sul viso di Don e lo sentì freddo, umido di sudore. «Portalo laggiù», disse al poliziotto e, in quel momento, Don non se la sentì di discutere — lasciò che lo accompagnassero sul marciapiede e lo facessero sedere, e si costrinse a guardare il disastro che era successo alla sua casa, alla station wagon parcheggiata nel vialetto. «Torno subito, Don. Resta qui. Mi hai sentito, Don? Resta qui.»

Don credette di annuire, ma non ne era sicuro.

«La mamma?»

«Non è ferita», lo rassicurò Quintero. «Te lo garantisco, non è ferita.»

«Allora, dov’è…»

«In camera sua. La porta…» Si guardò attorno, alla ricerca di qualcuno che gli dicesse di smetterla, che gli dicesse che quel ragazzo non doveva sapere com’era stata trovata sua madre, oltre quella porta chiusa a chiave che era stata praticamente sventrata.

«Papà», disse improvvisamente Don, guardandosi attorno.

«Non è qui.»

Si alzò in piedi e cercò di localizzare la fisionomia di suo padre tra la folla che stava raggruppandosi nei giardini dall’altra parte della strada. Le voci erano chiare, sommesse ed eccitate, come se si trattasse di uno spettacolo imprevisto. «Dov’è mio padre?» domandò. «Perché non si trova qui?»

«Don», rispose Quintero, captando la sua espressione. «Don, lo sai quello che è successo qui dentro? Sai chi è stato a fare tutto questo?»

«No!» urlò infuriato da quella domanda, temendo di poter essere incolpato. «No, sono stato con Tracey fin dalla fine dalla partita.»

In quel momento vide Norman emergere da dietro la camionetta dei vigili del fuoco. Correva, poi si abbracciarono, e suo padre gli domandò che cosa stava succedendo.

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