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Charles Grant: La carezza della paura

Здесь есть возможность читать онлайн «Charles Grant: La carezza della paura» весь текст электронной книги совершенно бесплатно (целиком полную версию). В некоторых случаях присутствует краткое содержание. Город: Milano, год выпуска: 1988, ISBN: 88-200-0762-2, издательство: Sperling & Kupfer, категория: Ужасы и Мистика / на итальянском языке. Описание произведения, (предисловие) а так же отзывы посетителей доступны на портале. Библиотека «Либ Кат» — LibCat.ru создана для любителей полистать хорошую книжку и предлагает широкий выбор жанров:

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Charles Grant La carezza della paura

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Quale sarà la prossima vittima dello squartatore, il mostro del New Jersey? Il timido Donald Boyd, capace di parlare solo con creature immaginarie di sua invenzione, assalito dal mostro, viene salvato da uno stallone nero che da allora lo difenderà sempre, apparendo dal nulla. Per Donald è la lotta contro una nuova inspiegabile ossessione.

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«Dov’eri?» domandò Don al collo del padre. «Dio, papà, dov’eri?»

Norman gli diede un paio di colpi sulla schiena, poi si staccò, tenendogli un braccio attorno alle spalle. «Ero allo Starlite con il dannatissimo sindaco. Tua madre avrebbe dovuto … Sergente Quintero, che cosa sta succedendo? Per favore, qualcuno mi vuole dire che cosa diavolo sta succedendo?»

Gli infermieri dell’ambulanza fecero un’altra apparizione sulla porta, seguiti dal dottor Naugle. C’era Joyce sulla barella, si vedeva solo la faccia emergere dalle lenzuola; Norman scostò violentemente i poliziotti e si precipitò da sua moglie.

Don stava per seguirlo ma invece si girò verso Quintero. «Aveva detto che stava bene», lo accusò.

«Non è ferita», ripeté l’uomo.

«Allora perché?…»

La barella fu spinta verso il retro dell’ambulanza e Norman rimase a guardare inerme mentre la sollevavano per sistemarla all’interno. Poi scambiò qualche parola con Naugle e tornò verso Don.

«Era seduta sul pavimento», spiegò Quintero e lo ripeté anche a Norman, quando tornò da loro. «Aveva gli occhi aperti, ma era in stato di choc. È tutto quello che so, signor Boyd», aggiunse precipitosamente, per fermare Norman che si stava apprestando a fare delle domande. «Rimane sempre la questione dell’altro uomo. Io…»

«Perché non sei tornato con lei?» domandò Don a suo padre. «Papà, perché non sei tornato con lei?»

Norman aveva gli occhi gonfi e cerchiati di rosso, il collo del maglione spiegazzato. Si voltò a guardare Naugle che stava accanto all’ambulanza, poi si irrigidì e Don si accorse che il sergente Verona stava scendendo dalla veranda. Scorgendoli, il detective si tolse il cappello e se lo girò lentamente nelle mani.

«Chi è stato?» domandò Norman sul punto di afferrare il poliziotto per il bavero. «Chi cazzo ha fatto questo disastro alla mia casa, a mia moglie? È stato Falcone? È stato…»

«Non lo so, Norm. Sono venuto non appena ho ricevuto la notizia. Tua moglie, ovviamente, non è ancora in grado di parlare e il coroner ha potuto dire soltanto che Falcone era…» Si fermò, accorgendosi di Don. «La casa è in uno stato disastroso. È come se una squadra di football avesse appena finito di fare una partita d’allenamento, santo cielo.» Si avvicinò a Quintero e si allontanarono insieme, a testa bassa.

«Papà?»

«È in stato di choc, ha detto», ripeté Norman in tono assente, mentre osservava i due uomini che confabulavano. «Starà bene. È solo in stato di choc. Gesù Cristo, hai visto la casa? Sarà meglio che ci lascino qui qualcuno a sorvegliarla, altrimenti possono entrare a rubarci tutto.»

Don si mosse sul prato e sbirciò attraverso la finestra. Il camino era a posto, si vedeva l’ombra obliqua di una lampada e credette di scorgere della macchie sulla parete scura. Suo padre si avvicinò e gli toccò un braccio.

«Gesù», disse, guardando verso casa. «Gesù, sembra come se ci avessero lanciato dentro una bomba.»

Don non riusciva a pensare, perché ci sarebbe stato troppo a cui pensare, e non protestò quando venne spinto dentro l’ambulanza. Naugle era appollaiato vicino a sua madre; Norman salì per ultimo e chiuse le portiere.

Non sentì la sirena che si faceva largo tra la folla; non vide che lo sbarramento era stato tolto per lasciar passare l’ambulanza. Riuscì a vedere soltanto Joyce, distesa sotto le lenzuola, con i capelli sciolti sulle spalle e il tubo di una flebo infilato nel braccio. Aveva gli occhi chiusi, il colorito giallastro e, di tanto in tanto, il dottor Naugle le passava un fazzoletto sulla fronte e le tastava la vena sul collo, per controllare le pulsazioni.

«Gesù», sussurrò Norman. «Gesù, che disastro.»

La sala d’attesa era piccola e piena di sedie di plastica; c’era anche un piccolo divano di plastica e un tavolino stracolmo di riviste vecchie e spiegazzate ormai lette da tutti. Don si era messo vicino alla finestra che dava sull’ingresso principale e batteva senza sosta un piede sulle piastrelle a scacchi. Ogni tanto si passava una mano sul naso e tra i capelli; ogni tanto si voltava verso le porte a soffietto e guardava nel corridoio in direzione della stanza di sua madre.

L’ospedale era tranquillo. I dottori e le infermiere che passavano non facevano alcun rumore e, anche quando si fermavano a parlare, non si sentiva niente, si vedeva soltanto il movimento delle loro labbra.

Aveva voglia di andarsene.

Non voleva sapere che cosa avrebbe detto Joyce una volta ripresa conoscenza; non voleva sentirla parlare del cavallo o di Falcone, non voleva che la considerassero pazza.

Ma sicuramente sarebbe stato così. Lo sapeva, ed era tutta colpa sua, perché aveva cercato di fare andare le cose per il suo verso.

E il peggio di tutto non era la morte. Quello che lo spaventava non era la morte. Qualcosa era andato storto e in qualche modo aveva perso il controllo di tutto. Se mai era riuscito ad avere qualche controllo, pensò sfregandosi gli occhi con le mani.

Abbassò lentamente le braccia.

Continuò a fissare nel vuoto, fuori dalla finestra.

«Chi è stato?» domandò quietamente Norman alle sue spalle.

Don sobbalzò e si voltò verso il padre, appoggiandosi al davanzale, in difesa. Suo padre si era tolto la giacca e sembrava che i capelli sulle tempie si fossero fatti ancora più grigi. «Che cosa?»

Norman spostò lo sguardo verso la finestra, poi sul pavimento, e si avvicinò. «Scommetto che è stato uno dei tuoi amici, non è vero?»

«I miei amici? Papà, ma cosa stai dicendo? Quali amici?»

Norman strinse le mani in due pugni. «Che cosa diavolo hai fatto a Pratt questa volta, eh? Cosa gli hai detto?»

«Niente. Non ti capisco. Non so a cosa ti riferisci.»

Norman emise un lamento, mentre si sforzava di riaprire le mani, e si lasciò cadere sul divano. «Nemmeno io, figliolo», rispose stancamente. «Cristo, nemmeno io. È tutto…» Si passò il braccio sulla faccia e fece cadere la mano sulla camicia. «Tua madre starà subito bene. È … come ha detto Naugle, è in stato di choc.»

Don tornò a scrutare oltre i pannelli di vetro. «Non ha detto niente?»

Norman scosse il capo. «Su chi può essere stato? No. C’è Verona con lei in questo momento, e speriamo che torni subito in sé. Ma ci metterà un po’ di tempo. L’ha detto anche Naugle.»

«Verona? La polizia?»

Norman si sporse in avanti per afferrare una rivista, fece scorrere le pagine e poi la rimise a posto. «Sì. Perché no?» Si mise a ridere amaramente. «Io sto brindando con il sindaco e parliamo di … be’, parliamo, poi vengo a sapere che tua madre sta per essere portata all’ospedale, e Verona mi telefona dalla scuola perché Hedley…»

Don cercò a tastoni una sedia. «Il signor Hedley?»

«Le disgrazie non vengono mai sole, non scordartelo», rispose Norman con disgusto. «D’Amato l’ha trovato nell’auditorio dopo la partita. Il corpo era sul palco, nascosto su un lato.» Poi sbatté le mani sul tavolo, alzò lo sguardo e disse: «È pazzesco! Quale altra città riesce a sbarazzarsi di un maniaco per rimpiazzarlo subito con un altro?» Si guardò in giro, inerme. «È da impazzire. Non ha nessun senso. Gesù Cristo, tu cerchi di proteggere la tua famiglia, il tuo futuro e cosa ne hai in cambio, eh? Un bel niente, ecco che cosa. Ricevi solo merda, ecco che cosa.»

Don si alzò di scatto dalla sedia.

Norman guardò verso di lui con gli occhi pieni di rabbia. «Se scopro che Pratt ha qualche cosa a che fare con tutta questa storia, lo ammazzo, mi hai sentito?»

«Brian non ammazza la gente», disse Don, quasi urlando. «Come puoi…»

«Potrebbe essere stato un incidente.»

«Cosa?»

«Certo. Quel coglione potrebbe aver fatto … be’, forse qualcosa gli è andato storto, sai.»

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