«Aveva ragione, sai, quindi non fare quella faccia stupita. È tutta una merda, Donald, e te lo dico esattamente come mio padre l’ha detto a me. Naturalmente puoi imparare a convivere con un certo tipo di merda, non so se sono chiaro. Addirittura in certi casi può anche farti bene, capisci?
«Come Falcone. È una merda. Vuole convincere quelle teste di cazzo di insegnanti a entrare in sciopero, e vorrebbe farlo per prima cosa lunedì mattina, ma sai cos’ha fatto quello stupido pezzo di merda? A parte il discorso relativo ai tuoi voti, hai idea di che cosa abbia fatto quell’imbecille?»
Don distolse lo sguardo, sperando che il fatto di deglutire con forza gli impedisse di mettersi a urlare. Iniziò a capire perché l’odore del bourbon gli era sembrato acido.
«Oh», disse Norman. «Oh, li hai visti.»
Lui annuì.
«È la cosa più stupida che abbia mai visto.» Norman rise duramente. «Praticamente è corso fuori dalla scuola e si è infilato in macchina. Nella sua macchina, bada bene. E lei era lì, agghindata come Greta Garbo, come se nessuno sapesse chi diavolo era. La donna misteriosa nella vita di Harry Falcone, capisci cosa voglio dire? Bene, è stato stupido, Donald. Stupido. Perché adesso può anche mettersi a fischiettare nudo per la strada, ma nessuno fra gli insegnanti vorrà più seguirlo.
«Merda buona per me, e merda cattiva per lui.»
«Papà, per favore.»
Norman appoggiò il bicchiere sul bordo del gradino che stava fra loro; Don lo afferrò prima che cadesse e lo mise nella veranda.
«Già», disse Norman.
Don lo guardò.
«La risposta alla tua domanda è sì. Probabilmente l’ho capito il giorno in cui morì Sam e tua madre diede la colpa a me, perché eravamo andati in campeggio invece di rimanere sulla spiaggia senza fare un cazzo come avrebbe voluto lei. Ma vicino alle spiagge ci sono gli ospedali. I campeggi hanno solo alberi, ma se tua madre è convinta che io non senta la sua mancanza, vuol dire che è più stupida di quanto pensassi.»
Don si alzò in piedi, ma Norman lo raggelò con un’occhiata di traverso.
«Non ti piace che io parli di tua madre in questo modo e, a dirti la verità, nemmeno a me piace parlare di lei in questo modo. È una donna infernale, Don, una donna infernale. Quindi quando tornerà, ovunque sia andata con quel viscido, lurido maiale, le chiederò di prendere una decisione — sta a te decidere, Joyce. Puoi rimanere con la tua famiglia o rimanere con lui.» Lentamente scosse la testa e inspirò fra i denti. «Comunque credo che sia stata la notizia che le ho dato a farle fare ciò che ha fatto. Devo concederle almeno questo. Fino a ora era riuscita a tenere tutto tranquillo e sotto controllo. Immagino sia colpa mia.»
«Quale notizia?» mormorò Don.
«Ho intenzione di andarmene alla fine dell’anno.»
«Che cosa?»
«Ehi, ragazzo, non urlare. Sono tuo padre.»
«Andartene? Vuoi dire … lasciare la scuola? Il tuo lavoro?»
Sei ubriaco, pensò; sei ubriaco, sei ubriaco!
«Proprio così. Gliel’ho detto questo pomeriggio. Falcone, il consiglio possono prendere la scuola e ogni singolo ragazzo e cacciarseli dove non batte il sole. Devi credermi: me ne vado davvero.»
«Ma perché?»
«Mio padre mi diceva sempre che l’unico modo per cavarsela in questo mondo, pur camminando sulla merda, è quello di fare soldi. E aveva ragione. Non puoi vivere da essere umano se non hai soldi. Tanti soldi. Diamine, non avevo mai avuto principi di questo genere, ma adesso? No, diamine, non è possibile!»
Don cercò di respirare profondamente e si appoggiò rigido contro la ringhiera. «E allora cos’hai intenzione di fare?»
«Eh, ragazzo mio, non hai mai ascoltato tua madre. Non hai notato in che modo mi tratta Garziana ultimamente.»
«Garziana? Garziana il sindaco?» Suonato: in qualche modo doveva essere suonato; doveva esserlo, altrimenti non avrebbe avuto voglia di mettersi a ridere.
Norman annuì, guardandosi le mani come se si aspettasse di ritrovare ancora il suo bicchiere. «Ho intenzione di presentarmi come candidato il prossimo autunno, Don. La prima volta che l’ho detto a tua madre, pensava che stessi scherzando. Ma ci ho pensato parecchio, ci ho pensato seriamente, e mi sono guardato in giro per vedere come se la passava Garziana. Se la passa piuttosto bene, ragazzo mio. Se la passa fin troppo bene per lo stronzo che è.»
Don afferrò la ringhiera e si tirò fin sulla veranda.
«Lei crede che sia pazzo. Però ha anche fatto una considerazione importante — i soldi inizieranno ad arrivare soltanto dopo qualche anno. Questo significa dover fare qualche sacrificio; il lavoro in sé non ti dà un cazzo, ma a lungo andare ne vale la pena, su questo non c’è dubbio. Lo so da fonti sicure.»
«E la scuola», disse Don con voce rauca. «Che cosa…»
«Stai pensando a qualche borsa di studio?»
«Oh, no, ti prego, papà. No, ti prego.»
«Sai una cosa, credo … voglio dire che non sarei sorpreso se lei pensasse che ho picchiato quel povero ragazzo l’altra notte per quello che aveva fatto alla mia macchina.»
Don guardò furibondo verso la porta di ingresso, poi distolse lo sguardo e vide suo padre che lo osservava. «Sei stato nella mia stanza!» disse con tono di accusa, senza preoccuparsi di quanto fosse ubriaco Norman.
«È vero, hai dannatamente ragione. Questa è la mia dannata casa e io volevo vedere da vicino quei tuoi piccoli amici, per cercare di capire dove diavolo fossi finito con la testa. Devo ammettere che non l’ho ancora capito, ma ho capito che non sei molto furbo, Don. Non avresti dovuto lasciare quelle chiavi sulla scrivania.» Si girò lentamente e appoggiò un gomito sul gradino. «Non sono stupido, Donald. Non so a che cosa tu stessi pensando quando non hai voluto raccontarmi di Tar, ma so che eri convinto che avrei ammazzato quel figlio di puttana. Perché l’hai fatto? Avevi intenzione di farlo da solo?»
Don scacciò la risata che, iniziata come riso soffocato, stava finendo per soffocarlo davvero. Aprì la porta: aveva le vertigini e voleva correre in bagno.
«Avevi davvero intenzione di farlo?» insistette Norman. «Cristo, spero che tu non stia iniziando a credere a tutte quelle fesserie dell’eroe. Lo sai meglio di me che non sei stato tu.»
Lui rimase senza fiato, ma non si girò.
«No», continuò Norman. «Non sei stato tu. È stato un ragazzo in preda alla follia, non mio figlio. Cinque secondi di follia non fanno di te un eroe.»
Don avrebbe voluto svenire, per fuggire nell’oscurità.
«Tu vai pure avanti, vai in casa», disse Norman in tono gentile, credendo che lo stesse aspettando. «Io rimarrò qui ancora un po’ per smaltire la sbornia. Non posso andare alla partita conciato così, non ti pare? Farei una cattiva impressione. Alla gente non piacciono i sindaci che si ubriacano e lo fanno vedere in pubblico. Oltre tutto, forse tua madre tornerà a casa. O forse no. Personalmente spero che lei…»
«Stai zitto!» urlò Don. Si voltò di scatto, facendo cadere i libri per terra, mentre piccole rughe rossastre apparivano ai lati degli occhi. «Stai zitto!»
«No, sei tu che devi crescere!» gli urlò dietro Norman. «È ora che tu cresca un po’, ragazzo mio; devi smetterla di credere che i tuoi sogni a occhi aperti possano rendere le cose migliori da queste parti.» Puntò un dito minaccioso verso il suo petto. «Ti dirò una cosa, figliolo — se non riuscirai a entrare davvero nel mondo reale, ma in fretta, avrai dei grossi problemi. Tutte quelle fesserie, tipo prendersi cura di quei poveri, piccoli animali abbandonati, tutte quelle scene da bambino di due anni solo perché tua madre ha tolto un po’ di giocattoli dalla tua camera — faresti meglio a crescere un po’, Don. Faresti meglio ad aprire gli occhi e a imparare un paio di cose del mondo reale.»
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