Charles Grant - La carezza della paura

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La carezza della paura: краткое содержание, описание и аннотация

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Quale sarà la prossima vittima dello squartatore, il mostro del New Jersey? Il timido Donald Boyd, capace di parlare solo con creature immaginarie di sua invenzione, assalito dal mostro, viene salvato da uno stallone nero che da allora lo difenderà sempre, apparendo dal nulla. Per Donald è la lotta contro una nuova inspiegabile ossessione.

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Arrivati al parco, furono costretti a parcheggiare a nord, mentre Joyce si lamentava perché avrebbero dovuto uscire a un’ora più decente per trovare un posto migliore.

Ai cancelli esitò, in ascolto. Non si sentiva nient’altro che il mormorio di una folla che attendeva pazientemente, il rumore di una portiera che si chiudeva, i tacchi delle scarpe di sua madre sul selciato.

Attorno al palco della banda erano state sistemate a semicerchio delle sedie pieghevoli. Le luci erano brillanti e puntate sull’orchestra, che prese posto tra gli applausi della folla. Era presente una troupe televisiva che si aggirava in mezzo a un gruppetto di giornalisti, mentre il sindaco e le personalità locali guardavano con sospetto verso le telecamere.

Don era seduto tra i suoi genitori e non gli piaceva il modo in cui gli altri lo guardavano, lo puntavano, illuminati da sorrisi avidi. I Quintero erano seduti alle sue spalle, e lui trascorse la maggior parte del tempo a bisbigliare con Tracey sulla stupidità di tutta quella messa in scena, rispondendo ai saluti e ai sorrisi che riceveva dai conoscenti.

Il capobanda salì sul podio e il pubblico sedette; si voltò verso il microfono e si schiarì la gola, causando un fischio nell’impianto acustico. Si mise a ridere nervosamente; il pubblico lo imitò nella risata. Li ringraziò tutti per essere intervenuti e presentò il sindaco Garziana, che per quindici minuti non parlò d’altro che della storia di Ashford in modo tanto noioso da far innervosire le file posteriori e da far raggelare il sorriso sui visi degli spettatori antistanti.

Seguì un momento di pausa drammatica, poi si passò alle presentazioni dei membri del comitato per la Festa di Ashford, dei presidi di entrambi i licei e di una dozzina di altre persone che avevano dato il proprio contributo per festeggiare il compleanno della città.

Norman e Joyce si erano messi vicini e Don ammiccò loro quando Norman si girò verso la folla a salutare.

Il sindaco fece un’altra pausa, poi riprese a parlare con voce tanto bassa da obbligare tutti a trattenere il respiro per non perdersi qualche parola. Menzionò lo Squartatore e presentò Don.

Lui non si mosse, nonostante l’entusiasmo dell’applauso.

«Forza», lo spronò Joyce, abbracciandolo dolcemente.

Non ci riusciva. Le telecamere stavano riprendendolo e il sindaco stava sorridendo, mentre il capo della polizia era balzato sul palco con un pacchetto nelle mani.

«Vai, Donald», gli sussurrò Norman, spingendolo violentemente.

Non ci riusciva.

Dove sei?

Tracey si sporse in avanti e gli arruffò i capelli. «Va’, veterinario», gli mormorò in un orecchio.

Lui sorrise, scosse la testa e si alzò. Si lisciò la giacca, si sentì la gola asciutta e la distanza da percorrere tra i flash e i riflettori gli sembrò lunghissima. Udiva solamente il rumore delle sue scarpe.

Cupo. Sordo. Ferro contro ferro.

L’applauso si fece più forte e quando raggiunse la posizione tra il capo della polizia e il sindaco, cercò di sorridere timidamente, incapace di vedere niente al di là della barriera di luci bianche.

Il sindaco disse qualcosa — Don sentì menzionare il nome di Amanda e notò il silenzio che ne seguì — e aggiunse qualcos’altro prima di stringergli vigorosamente la mano; e improvvisamente apparvero altre persone che si inginocchiavano, si azzuffavano per riprenderlo con le telecamere, mentre i flash lampeggiavano, e urlavano consigli per prendere una posa piuttosto di un’altra, si calpestavano, si schiacciavano l’uno contro l’altro, come un’idra dagli occhi bianchi.

Il capo della polizia disse qualcosa e gli porse il pacchetto. La sua medaglia, un certificato e un ringraziamento ufficiale della città alla quale aveva risparmiato ulteriori dolori.

L’applauso gli stordì le orecchie, il sindaco gli diede una pacca sulla spalla e il capo della polizia gli strinse la mano senza nemmeno guardarlo in faccia. Poi si ritrovò di fronte al microfono e tutto taceva. Si sentiva solo il fruscio delle telecamere che lo stavano inquadrando, lo scalpiccio dei piedi che si muovevano sull’erba e lo scricchiolio di alcune sedie.

Tutto taceva e gli ci volle qualche istante per rendersi conto che lo volevano sentir parlare. Doveva dire qualcosa. Doveva spiegare a tutti come un ragazzo aveva potuto picchiare a morte un assassino.

Da qualche punto nell’oscurità, oltre la barriera di luci, si levò una voce: «Ehi, Paperino, di’ loro che è stato il corvo gigante».

Alzò di scatto lo sguardo, alla ricerca della voce e delle risate che seguirono.

«Io…»

Non era abbastanza vicino al microfono e soltanto il sindaco fu in grado di sentire la sua voce. La risata continuò e si allargò alimentando il suo nervosismo, mentre la folla lo guardava, sperando di convincerlo che si trattava solo di una burla e che la gratitudine non era scomparsa.

Il sindaco gli diede una leggera pacca sulla nuca e lo spinse un po’ più in avanti; il capobanda si schiarì la voce. La risata si spense e tornò la quiete.

Si sentiva solo il vento fra gli alberi.

Abbassò gli occhi e vide i suoi genitori — Joyce stava asciugandosi una lacrima e Norman aveva un’aria corrucciata; alle loro spalle notò Tracey, aggrappata al braccio di suo padre.

«Grazie», riuscì infine a dire e si allontanò dalla piattaforma prima che qualcuno lo potesse fermare.

Ci fu un applauso leggero e breve, e quando raggiunse il suo posto, il capobanda aveva già iniziato a battere la bacchetta.

La stazione di polizia era deserta, a eccezione dell’appuntato e del fattorino e di Thomas Verona, che si trovava al secondo piano in un ufficio che dava sulla via principale. Il suo turno finiva a mezzanotte, ma si sentiva come se le tre fossero già passate da un pezzo — aveva gli occhi annebbiati, le mani tremanti e ogni volta che cercava di concentrarsi su qualcosa per più di qualche minuto, tutto cominciava a girargli attorno tanto vorticosamente da costringerlo a chiudere forte gli occhi per non perdere l’equilibrio.

Si massaggiò la guancia mentre guardava fuori dalla finestra. I pedoni erano pochi e le macchine che si fermavano al semaforo all’angolo erano per la maggior parte di cittadini circostanti; passavano solo per tornare a casa. Cominciò a grattarsi l’altra guancia, mentre immaginava di assistere al concerto. Susan era presente, sedeva con i Quintero e si augurava di poterli raggiungere. Ma non ci sarebbe riuscito. Era la sera di Luis, non la sua — era stato Luis a trovare il ragazzo e a prendersi cura di lui in attesa dell’ambulanza, era stato Luis che era riuscito a chiarire l’incidente tra un autobus e una macchina che aveva oltrepassato la divisione del viale.

Luis Quintero meritava tutta l’attenzione possibile; d’altra parte, qualcuno doveva restare alla centrale quando mancava qualche collega.

Però sarebbe stato carino poter essere seduto accanto a Susan e tenerla per mano. Sarebbe stato molto meglio che stare seduto in quell’ufficio.

«Merda», mormorò e si allontanò dalla finestra. Appoggiò i palmi delle mani sulla scrivania e fissò la pila di cartellette che aveva di fronte. I risultati degli esami sulle ferite di Falwick. I risultati degli esami su Amanda Adler e sulle altre vittime dello Squartatore. I risultati degli esami del sangue trovato sui vestiti e sulle mani di Boyd. Il rapporto dell’autopsia. Le sfiorò con un dito e tremò. Burocraticamente, si trattava solo di indizi preliminari, ma, per lui, erano certamente sufficienti per chiudere tutto, archiviare e passare a qualcos’altro.

Ma non ci riusciva.

Continuava a ripensare all’esile figura del ragazzo disteso sul letto d’ospedale, che comunicava paura solo con lo sguardo e nel modo di parlare, e che evitava di rispondere veramente alle domande che gli ponevano. C’era qualcosa che non andava. Quel comportamento lasciava pensare che il ragazzo volesse nascondere qualche cosa, per coprire una banda che aveva appena fatto a pezzettini un sergente in pensione. Lui l’aveva sospettato fino a quando erano arrivati i primi risultati e aveva capito di aver sbagliato, un’altra ipotesi campata per aria.

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