Una goccia gelata gli cadde sulla nuca.
Girò il capo e diede un’occhiata al poster.
Il cavallo era sparito.
Quando tornò a guardare il giardino, anche l’ombra era sparita.
Improvvisamente, piangendo senza ragione, si allontanò dalla finestra, dal poster e si lasciò cadere sul letto. Cercò di deglutire ma non ci riuscì; cercò di chiamare aiuto, ma non ci riuscì; cercò di convincere se stesso che non era pazzo, non veramente, ma il poster non cambiava e in genere non c’erano fantasmi scuri che se ne andavano in giro nel suo giardino di notte.
«Aiuto», sussurrò. «Qualcuno mi aiuti.»
Erano tutti della stessa razza.
Aspettò che fossero passate le undici, per essere sicuro che le assi dell’ingresso non lo tradissero. Poi indossò i suoi jeans neri e scese lentamente le scale, prese una torcia dall’armadio a muro e uscì dalla porta sul retro.
Sulla notte era sceso il freddo invernale e il fiato usciva grigiastro dalle sue labbra, per poi spandersi davanti agli occhi. Rimase con la mano sulla maniglia di metallo fino a quando riuscì a mettere a fuoco nell’oscurità, poi si mosse guardingo verso il centro del cortile, con il fascio di luce bianca che rischiarava l’erba. Si mise a cercare eventuali avvallamenti, terra smossa, qualcosa perso da chiunque fosse stato lì prima, da chiunque lo avesse osservato attraverso la finestra. Fece per due volte il giro del cortile, ma non trovò niente, poi ripeté la stessa operazione altre due volte, prima di decidersi a provare sul davanti, dove la luce della luna e dei lampioni lo avrebbero aiutato.
Ritornare in casa era assolutamente impensabile.
Voleva disperatamente convincere se stesso che non stava diventando pazzo. Voleva trovare una prova tangibile che dimostrasse l’esistenza di un ladruncolo — forse si trattava di Brian e Tar che gli giocavano un altro scherzo per far ricadere la colpa su di lui — qualcosa da mostrare ai suoi genitori per provare che non era impazzito, neanche qualora avesse raccontato loro del poster. Perché avrebbe dovuto farlo. Se non lo avesse fatto, e in fretta per giunta, uno di loro se ne sarebbe accorto e avrebbe pensato che lui aveva fatto qualcosa, e sarebbe stato troppo tardi per protestare.
La strada era deserta e tranquilla; mentre guardava, parecchie luci lungo la strada furono spente e le case piombarono nell’oscurità.
Erano tutti della stessa razza.
Tirò su la cerniera della giacca e si sedette sotto il portico, con la torcia sul gradino più in basso. L’umidità si infiltrava attraverso i jeans fino al sedere; si mosse un poco, poi si alzò e si incamminò lungo il marciapiede.
È da pazzi, pensò, e fece una smorfia a quella parola. Certo che lo è, stupido, perché tu sei pazzo. Il poster, l’ombra, e l’idea che lui fosse legato a un barbone assassino. Tre strikes. Terzo fuori. Il buonsenso se ne va e la partita è finita.
A meno che non fosse vero.
A meno che lui e lo Squartatore non fossero più vicini di quanto lui stesso potesse immaginare, e che, in qualche modo, il suo subconscio non si fosse sintonizzato con questa idea. In tal caso, però, doveva trovare quell’uomo, scoprire dove si nascondeva durante la notte e chiamare la polizia. Diventare un eroe, esattamente come aveva previsto, e poi sfidare suo padre a castigarlo di nuovo, a dubitare di lui e a guardarlo con quei suoi occhi pietosi. Sfidarlo a gridare perché era uscito di casa senza permesso.
Pazzo.
Si affrettò verso il parco.
Pazzo.
Fece scivolare le mani nelle tasche dei pantaloni, tenendo fuori i pollici, e cercò di non pestare troppo con i talloni. Doveva apparire naturale, era uscito solo per una passeggiatina notturna; questo nel caso venisse fermato da una macchina di pattuglia alla quale avrebbe dovuto spiegare che cosa stava facendo per la strada a quell’ora, con un pazzo in libertà. Non glielo avrebbe certo potuto dire. Non avrebbe potuto dire che conosceva lo Squartatore, perché non gli avrebbero creduto. Doveva trovarlo e scoprire dove si nascondeva, e solo allora avrebbe potuto chiamare i rinforzi.
Quasi all’angolo, una macchina sterzò fin sul marciapiede e la porta del passeggero si aprì. Rallentò e guardò all’interno: trattenne il fiato quando vide Tar.
«Ehi, Paperino, la tua mammina sa che sei fuori?»
«Piantala», disse in tono cupo.
«Oh, povero Paperino. Ehi, Brian, Paperino ha detto di piantarla.»
Pratt si sporse dal finestrino e fece una smorfia. «Okay, signor Paperino. Ai tuoi ordini.»
Don lo guardò con aria minacciosa e continuò a camminare, mentre la macchina lo seguiva lentamente.
«Ehi, Boyd», bisbigliò Tar, «sono contento di vedere che hai ritrovato la tua giacca. Sembra nuova. Come hai fatto a togliere la merda?»
Don si fermò e si girò, ma Brian partì, mentre la sua risata e quella di Tar riempivano la notte.
Avrebbe voluto dargli un pugno, ma non sarebbe servito a niente e si sarebbe soltanto trovato in mezzo a una rissa. Ma erano stati loro, e lui sospirò, perché suo padre non ci avrebbe mai creduto.
All’angolo si fermò di nuovo, aspettando nell’oscurità che passasse un autobus, e nel frattempo considerò la possibilità di tornare indietro, a casa di Tracey. L’avrebbe trovata già a letto, ma un sassolino scagliato contro la finestra forse l’avrebbe fatta uscire prima che si svegliasse suo padre. Le avrebbe parlato. Glielo avrebbe detto. Avrebbe…
«Merda», mormorò, e attraversò di corsa la strada, raggiungendo il muro del parco a tutta velocità e scavalcandolo senza un attimo di esitazione.
Passò un minuto, poi altri cinque, prima che si rialzasse e si incamminasse lungo il vialetto centrale. Il parco era tutto per lui, sapeva benissimo che non c’era assolutamente nessuno nelle vicinanze, nessuno che lo potesse udire, o che gli potesse chiedere qualcosa, o che lo riportasse a casa.
Era solo.
Ma mentre si avvicinava al laghetto circondato dalla luce, si rese conto che non era così.
C’era qualcosa lì attorno, nell’oscurità.
Qualcosa di familiare.
Rallentò il passo; si fermò; si spostò di lato poco prima che terminassero gli alberi, e guardò fisso verso la luce.
Laggiù, pensò, allungando il collo. Era laggiù, sull’altro lato, immobile, si limitava a guardare; quando allungò il braccio dietro di sé, si rese conto, bestemmiando in silenzio, che aveva dimenticato la torcia — non aveva niente che potesse essere utilizzato come arma.
Brian e Tar; dovevano essere loro, ritornati per assicurarsi che avesse capito la lezione. Per spaventarlo. E quando fosse arrivata la polizia, li avrebbe trovati profondamente addormentati nel loro letto, e lui avrebbe dovuto spiegare che cosa stava facendo nel parco.
Fece qualche passo indietro.
Con una mano si strofinò la bocca.
Pazzo; ammesso che non fosse pazzo prima, ora lo era sicuramente per il solo fatto di pensare una cosa del genere. Il poster aveva sicuramente una spiegazione, e le ombre erano dovute ai suoi nervi, a causa di Pratt e del suo odio, ma questa era pura follia.
Cercò freneticamente un arbusto e trovò un ramo secco lungo poco più di un metro. Lo afferrò, lo batté contro il palmo della mano, pregando il cielo di non essere costretto a usarlo, anche se non sapeva bene contro chi o che cosa avrebbe potuto farlo.
Poi una voce dietro di lui disse: «Ragazzino fottuto» e una mano gli afferrò la gola.
Don urlò senza emettere alcun suono, mentre la sua mano si contorceva e il bastone gli cadeva, prima ancora di riuscire a fare un qualsiasi movimento, un braccio lo afferrò immobilizzandolo. Brian, urlò in silenzio; Tar, per l’amor del cielo, mettete giù le mani! Ma la sua testa fu spinta all’indietro e quando alzò lo sguardo vide la manica di tweed, il sangue secco, e capì.
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