Charles Grant - La carezza della paura

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La carezza della paura: краткое содержание, описание и аннотация

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Quale sarà la prossima vittima dello squartatore, il mostro del New Jersey? Il timido Donald Boyd, capace di parlare solo con creature immaginarie di sua invenzione, assalito dal mostro, viene salvato da uno stallone nero che da allora lo difenderà sempre, apparendo dal nulla. Per Donald è la lotta contro una nuova inspiegabile ossessione.

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C’era un maniaco che si aggirava in città ammazzando persone che lui conosceva; aveva la netta sensazione, provocata da un non so che, di aver perso ogni possibilità di avere Tracey; e c’era un pazzo, uno sconosciuto o chissà che altro, che si stava impossessando del corpo di quello che una volta era il suo migliore amico.

Subito dopo che Don si era allontanato dallo stadio, aveva risalito i gradini ed era tornato a scuola. Era rimasto per qualche minuto nello spogliatoio della squadra, sapendo che non ci sarebbe stato l’allenamento e chiedendosi dove avrebbe potuto andare. Non gli andava di tornare a casa perché suo padre era al lavoro; non poteva andare da Beacher perché non aveva soldi.

Aveva voglia di andare da Tracey. Aveva voglia di parlare con qualcuno. Aveva voglia di sentirsi dire da qualcuno — e Tracey l’avrebbe fatto, lo sapeva — che era giusto piangere quando muore un amico.

E aveva pianto.

E quando era entrato Tar Boston, aveva dovuto asciugarsi il viso togliendosi gli occhiali.

«Santo cielo», gli aveva detto Boston. «Non era mica tua sorella, no?»

Jeff si era voltato.

«Cazzo», aveva esclamato Boston, dando un calcio alla parete. «Non è giusto, vero? Non è giusto.»

Jeff aveva aspettato, non aveva sentito più nessun rumore e aveva richiuso violentemente lo sportello del suo armadietto per poi dirigersi verso la porta.

Mentre stava per impugnare la maniglia, aveva creduto di sentire qualcosa sbuffare alle sue spalle. Come un singhiozzo.

Cristo, aveva pensato, e poi si era girato.

Tar si era appoggiato alla parete e sorrideva mentre faceva il verso del pianto. «Quattrocchi», aveva detto. «Tu non sei cattivo, ma di certo non sei un uomo.»

Jeff gli si era avvicinato e Boston si era messo a ridere, alzando le mani per parare il colpo che si aspettava. Rideva così tanto da non accorgersi che Jeff stava spostando il peso sul piede sinistro e non aveva fatto in tempo a proteggersi quando Jeff gli aveva tirato un calcio nelle palle.

Era uscito sorridente dalla palestra con una musica marziale nella mente. L’avrebbe pagata. Ragazzi, certo che l’avrebbe pagata. Ma l’espressione che quel bastardo aveva in volto l’aveva ripagato per tutte le ossa che poi avrebbero potuto rompergli.

Era ripagato, davvero.

E allora perché mai non riusciva a trovare lo stesso coraggio per invitare fuori Tracey?

Al pensiero allargò un sorriso. Be’ … forse ci sarebbe riuscito. Forse ci sarebbe riuscito davvero. E poi forse sarebbe potuto andare da Don per vedere di scoprire quello che non andava nella testa del ragazzo.

Don sentì la macchina di sua madre entrare nel vialetto, la porta d’ingresso chiudersi e delle voci soffocate provenire dalla cucina. Squillò il telefono. Qualcuno andò a rispondere. Si mise sdraiato sulla schiena con le mani dietro la testa. Tirò su con il naso, rabbrividì e poi sentì dei passi fuori dalla sua porta. Qualcuno bussò dolcemente. La porta si aprì.

«Tesoro», disse Joyce, «ti senti bene?»

Era splendida con i capelli sciolti sulle spalle e una camicetta colorata sbottonata al collo.

Annuì, ma soltanto una volta.

Lei gli fece un sorriso forzato e andò a sedersi ai piedi del letto. «È dura, vero?»

Annuì di nuovo.

Lei posò una mano comprensiva sulla gamba e gliela massaggiò distrattamente, guardando gli scaffali vuoti e la scrivania ordinata. Non disse niente a proposito del poster. «Non è facile, lo so. Si conosce della gente, e poi muore … così. Non è facile, credimi.»

Sapeva che stava riferendosi a Sam ma, anche se Sam era suo fratello, era solo un bambino. Mandy non era stata una vera amica, ma aveva diciassette anni e l’aveva conosciuta meglio del suo fratellino.

Joyce si schiarì la gola e fece un sorriso triste e coraggioso che poi sparì.

Lui la osservò e gli venne un prurito alla gola. «Mamma», disse prima di riuscire a trattenersi, «c’è qualcosa che vorrei dirti. Giù alla scuola, questo pomeriggio, ho visto un…»

«Tra un minuto, per favore, tesoro», lo interruppe lei facendogli capire che non stava ascoltando. «Pochi minuti fa ha telefonato Tracey Quintero.» Lo picchiettò sul ginocchio, si alzò e si diresse verso la porta.

«Cosa?» Si alzò a sedere appoggiandosi con le mani per tenersi in equilibrio. «Tracey? E perché non me lo hai detto?»

«Be’, tesoro, è difficile da spiegare, ma lei aveva voglia di parlare con qualcuno e io credo sia meglio che lo faccia con i suoi genitori prima, non trovi anche tu?»

«Cosa?» disse, così sommessamente da non farsi sentire.

«Gli adulti hanno esperienza e, in genere, sanno che cosa si prova alla vostra età in … circostanze come questa.» Tornò a sorridere brevemente. «Io credo che il signor Quintero la possa aiutare meglio di chiunque altro.»

Lui si lasciò cadere sulla schiena. «Che cosa le hai detto?»

«Le ho detto che stavi dormendo. Che eri stato colpito da quanto era successo e che stavi dormendo.»

«Grazie», rispose piattamente.

Joyce gli fece l’occhiolino e se ne andò, chiudendosi la porta alle spalle.

La stanza si riempì di un silenzio che respirava rumorosamente coprendo il battito del suo cuore, mentre le molle del letto scricchiolavano e dal piano di sotto arrivavano voci non benvenute. E ripensando all’immagine persistente di sua madre si domandò: che cosa ne sai di quello di cui ho bisogno, eh? Che cosa diavolo puoi sapere tu di Tracey? Cristo, non sapevi nemmeno che era spagnola, santo cielo.

«Oh, Cristo», mormorò. «Oh, Cristo, oh, Cristo.»

Al diavolo tutti. Stava per dare loro la possibilità di aiutarlo a diventare un eroe e forse a salvare la vita di qualche ragazzo, ma a loro non importava. Non importava niente. Pensavano tutti che era uno stronzo che gettava la merda sulle verande della gente e che non era capace di aiutare i suoi amici a sentirsi meglio. Lo guardavano e vedevano il piccolo Sam.

Al diavolo tutti. Chiuse gli occhi e sentì ancora un peso sullo stomaco. Caldo, rosso, persistente.

Se non volevano aiutarlo, se non si fidavano di lui, allora avrebbe fatto tutto da solo. Era l’unico a conoscere l’aspetto dello Squartatore; era l’unico in grado di far rinchiudere l’assassino dietro le sbarre per il resto della sua vita; era l’unico a sapere e, per quanto lo riguardava, potevano andare tutti all’inferno. E in quel momento una vocina interiore gli chiese: come fai a essere sicuro che è lo Squartatore?

Per un istante si sentì confuso e tirò un respiro alla ricerca di una risposta.

Poi socchiuse gli occhi, tirò il fiato e smise di preoccuparsi pensando: sono tutti della stessa razza.

Perché a modo suo era vero. Quel tipo sotto le gradinate faceva parte delle sue Regole, e Don aveva ideato un nuovo insieme di Regole tutto suo. Non poteva dirle ad alta voce, ma le conosceva bene lo stesso — erano scritte in rosso, dentro di lui, e aspettavano.

Si girò su un fianco appoggiando la testa su una mano.

Guardò il poster ed emise un sospiro che si trasformò in lamento. Si alzò, attraversò la stanza e andò ad appoggiarsi alla scrivania, con lo sguardo fisso e la fronte imperlata di sudore.

Il cavallo nero era sparito.

I graffi erano svaniti, ma anche lo stallone era sparito.

Toccò il poster, sfiorò i tronchi degli alberi, i turbini della nebbia, ci passò sopra il palmo, premette la fronte contro la foto e alzò un angolo per controllare che cosa ci fosse dietro.

La strada era vuota. Era sparito.

Fece un piccolo passo all’indietro verso la porta, in preda al panico, e poi sentì un movimento all’esterno e corse verso la finestra. Il giardino era buio, contornato dalla luce della luna, e in mezzo al prato c’era un’ombra. Pensò subito che si trattasse di Chris che tornava da lui per qualche strano motivo; poi cercò di guardare meglio, premendo le mani contro il vetro, saggiandone il freddo. Non era … non era lo stesso visitatore che aveva visto una settimana prima, quello che l’aveva guardato dalla galleria dello stadio mentre correva. Informe. Nero. Intento a osservarlo come se fosse fornito di occhi perfetti.

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