Charles Grant - La carezza della paura

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La carezza della paura: краткое содержание, описание и аннотация

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Quale sarà la prossima vittima dello squartatore, il mostro del New Jersey? Il timido Donald Boyd, capace di parlare solo con creature immaginarie di sua invenzione, assalito dal mostro, viene salvato da uno stallone nero che da allora lo difenderà sempre, apparendo dal nulla. Per Donald è la lotta contro una nuova inspiegabile ossessione.

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Ci vediamo lunedì, si era limitata a dire.

Nonostante il bacio, le sue intenzioni erano state chiare: Non telefonarmi, ti chiamo io, e non stare con il fiato sospeso.

«Merda», disse. «Merda, amico, hai rovinato tutto.»

Si diede del cretino per tutta la strada e non si accorse nemmeno dei suoi genitori che stavano ancora in salotto, a osservarlo, mentre si richiudeva violentemente la porta alle spalle.

«Ciao», li salutò infine, trattenendosi dal precipitarsi in camera. C’era qualcosa che non andava. Sua madre non osava guardarlo e suo padre tamburellava le dita sul ginocchio. «Che cosa succede? È andata bene la riunione?»

«La riunione è andata benissimo», rispose Norman. «Finché ho scambiato qualche parola con il signor Falcone.»

Chiuse gli occhi lentamente, poi li riaprì di scatto. «Aspetta un minuto», disse, e corse in stanza prima che riuscissero a fermarlo. Prese il quaderno e lo sfogliò finché non trovò il foglio del compito in classe, si precipitò da basso e tornò ad affrontare suo padre, lisciando il compito sul petto per togliere le pieghe che si erano formate.

«Don…»

«Aspetta», disse, e glielo porse. «Guardalo, papà. Dacci un’occhiata.»

«Donald», iniziò a dire Joyce, ma si fermò non appena si accorse dello sguardo del figlio che implorava pazienza.

Norman guardò il compito e lo lesse, muovendo impercettibilmente le labbra. Una volta finito lo passò a Joyce, sospirando prima di tornare a sedersi.

«Be’?»

«Don.» Norman chiuse gli occhi e spinse in fuori il labbro inferiore; stava cercando le parole più giuste.

«Sembra un po’ difficile, se devo essere onesto.»

«Difficile?» ripeté lui, cercando di controllare il tono di voce prima che si facesse troppo acuto. «Difficile? È molto più che difficile, è impossibile, papà! Mi ha persino tolto dei punti che non avrebbe mai tolto ad altri. L’ha corretto prima degli altri di proposito, l’ha fatto deliberatamente. Prima del compito mi ha … mi ha detto che avrei avuto bisogno di tutta la fortuna possibile. Ha detto così, papà, lo giuro su Dio.»

Norman lasciò cadere il compito sulle gambe e si appoggiò la guancia sulle mani, fissando il fuoco.

«Non posso crederlo, Don.»

«Papà…»

«Maledizione, stammi ad ascoltare e smettila di interrompermi, figliolo. Anche se ultimamente ci sono state delle discussioni tra noi due, continuo a credere che quell’uomo sia un professionista e sarà meglio che anche tu cominci a pensarla in questo modo. Non posso credere che abbia voluto riservarti un trattamento diverso dagli altri di proposito. Sarebbe troppo ovvio, non capisci? Cristo, non dovrei fare altro che paragonare il tuo compito con uno qualsiasi della stessa classe e mi accorgerei subito se ce l’avesse con te.»

«Ma è così! Aspetta lunedì, posso portarti un centinaio…»

«No», disse Norman con violenza, ma senza alzare il tono di voce. «Non lo farò. È un ottimo insegnante, Don, e non voglio offenderlo in questo modo.»

«Sei fissato», fece eco sua madre.

Si sentiva confuso, incapace di esprimersi, di parlare.

«Donald», interloquì lei, ormai prossima alle lacrime, «se hai intenzione di andare al college, non puoi permetterti di prendere dei voti così bassi. Non più. Sono importanti queste cose per i college; vengono a controllare se il motivo per cui ti si è abbassata la media è che ormai la scuola sta finendo. È ovvio che sei distratto da … un numero indefinito di cose, perciò, Donald, resterai in casa finché non dimostrerai di poter fare di meglio.»

Le lacrime cominciarono a scorrergli dagli occhi e si sentì come il protagonista di un sogno in cui si era perso e non sapeva più come ritrovare la strada per tornare a letto, a casa. Nelle orecchie sentiva un boato e dalla gola non passava più aria. Ingoiò la saliva, nella speranza di ritrovare la voce, combattendo per non infrangere le regole davanti a suo padre; guardò Norman che stava ancora fissando il fuoco.

Aveva mal di testa e sapeva che il cranio gli si sarebbe spaccato in due se non fosse tornato immediatamente in camera sua.

Tese la mano e Norman gli ridiede il compito.

Guardò senza espressione sua madre e si voltò.

Nell’ingresso, vide fluttuare ombre rossastre.

Si muovevano alle sue spalle, mettendolo a disagio; lo avevano punito, ma non era giusto, anche se loro pensavano proprio il contrario.

Se ne andò. Lentamente. Così lentamente da farsi venire i crampi al polpaccio sinistro. Dovette aggrapparsi alla ringhiera per evitare di precipitarsi di sopra come un pazzo.

Il boato stava crescendo, sembrava una bufera invernale intrappolata in una conchiglia.

Il rosso oscillava, nonostante si sforzasse di tenere presente le Regole.

Poi aprì la porta e per poco non si mise a urlare.

Sugli scaffali c’erano soltanto i libri, la scrivania era stata ripulita, a eccezione di una penna che era stata sistemata con cura nel centro, e i poster erano spariti dalle pareti.

Era solo.

Si chiuse la porta alle spalle e si incamminò verso il letto, si sedette sull’orlo e fissò il vuoto.

Erano spariti, i suoi amici erano spariti e lui era rimasto solo.

Il rosso divenne più scuro e poi sbiadì.

«Donald», mormorò dopo cinque minuti. «Mi chiamo Donald, maledizione. Maledizione, Sam è morto.»

6

La sfida: fu terribile.

Lo fu ancora di più per la forza implicita, perché lui sapeva che c’era e non sapeva esattamente cosa farsene e come utilizzarla. Sapeva soltanto che non avrebbe sopportato ancora per molto quella prigionia, il puzzo di rovina e di tradimento che riempiva gli scaffali vuoti e che ormai entrava anche nei suoi sogni. Una volta la sua stanza era un’oasi, il posto dove riusciva a studiare, leggere, sognare il suo futuro come desiderava che fosse. Ormai era stata devastata. Corrotta. Sua madre era entrata senza il suo permesso e, sempre senza il suo permesso, gli aveva tolto tutto ciò che riusciva a dargli un po’ di pace.

Aspettò, quindi, che uscissero di casa a metà pomeriggio di domenica per andare a un’altra riunione di un altro comitato che si occupava dei festeggiamenti per il compleanno di una cittadina divisa in due, che non interessava a nessuno fuorché a coloro che volevano vedersi fotografati sul giornale; se n’erano andati senza dirgli una parola, dal momento che ancora si trovava tra le rovine della sua stanza, sicuri di ritrovarlo nella stessa posizione quando fossero rientrati. Li sentì uscire dall’ingresso principale, mentre sua madre rideva del brontolio benevolo di suo padre che si lamentava di non poter vedere la partita a causa della riunione. Ci fu una risposta, Norman scoppiò in una fragorosa risata e la porta venne richiusa con forza.

In quel silenzio improvviso, non riuscì più a sopportare la situazione. Prese il giaccone e se ne andò, maledicendoli e facendo un tale sforzo per evitare di mettersi a piangere da farsi venire il singhiozzo. Una piccola parte di lui continuava a credere che non erano cattivi, che pensavano davvero di aver fatto la cosa più giusta, perché lo amavano e perché non volevano farlo soffrire. Ma che cosa diavolo ne sapevano loro della sofferenza? Che cosa diavolo ne sapevano loro di com’era stato difficile memorizzare tutte le regole e fare del proprio meglio per cercare di seguirle, solo per avere sempre qualcuno alle spalle pronto a cambiare una parola ogni tanto, una regola o il modo di vedere le cose?

Che cosa diavolo ne potevano sapere loro di quello che provava dentro?

Sono stato giovane anch’io, gli aveva detto suo padre più di una volta, anche se fai fatica a crederlo; ma se solo si fosse reso conto di quello che aveva fatto assecondando Joyce e permettendole di strappare via dalla stanza tutti i suoi beniamini, l’unica cosa ohe sentiva di possedere, senza nemmeno avere la fottuta decenza di informarlo prima che entrasse in camera e si accorgesse del vandalismo! A che cosa diavolo stava pensando quando era andato a dire a Brian e a Tar del sospetto che Don nutriva nei loro confronti a proposito di quella fialetta? Cristo, non aveva gli occhi? Non vedeva quello che stava succedendo?

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