Charles Grant - La carezza della paura
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- Название:La carezza della paura
- Автор:
- Издательство:Sperling & Kupfer
- Жанр:
- Год:1988
- Город:Milano
- ISBN:88-200-0762-2
- Рейтинг книги:5 / 5. Голосов: 1
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Oh, Cristo, aveva pensato Don. Oh, Cristo.
«Be’, non ci ha fatto niente», aveva proseguito Tar, sorridendo e mostrando a Don una fila di denti macchiati di nicotina, «ma ha detto che ci terrà d’occhio, vero, Brian?»
«Esattamente.»
«State a sentire, ragazzi», aveva risposto Don, trattenendo il respiro quando si era sentito afferrare alla cintura da un dito penetrante.
«No», aveva risposto Brian. «Sta’ a sentire tu, Paperino. Sta’ attento a quello che fai perché il piccolo Tar e io non dimentichiamo tanto facilmente. E sta’ sicuro che non perdoniamo.»
Dopo un piccolo sorriso, se n’erano andati e, nell’avvicinarsi alla porta, Brian si era voltato e aveva detto: «Fa’ attenzione, Paperino. Colpirò quando meno te l’aspetti.»
Subito dopo era arrivato Falcone, tutto tremante. «Hai avuto problemi con i ragazzi, Donald?»
«No, signore.»
«Oh, bene.» E gli aveva teso il compito in classe dicendo con un sorriso: «Ecco, Boyd, è tutto tuo». Aveva dato un’occhiata al voto e si era sentito male, trattenendosi a fatica.
Poi aveva cominciato a vedere rosso.
Il rosso tanto familiare che era solito vedere quando era sul punto di perdere le staffe (controllati), quella nuvola rossa che cominciava ad avvolgerlo tutto da capo a piedi e che se n’era andata solo perché era riuscito a ricordarsi della regola (risolvila da te). Ma era stato difficile. Hedley e la signora Klass non avevano fatto altro che ricordargli per tutta la settimana le sue responsabilità, durante le ore di punizione, gli avevano rinfacciato tutti i sogni a occhi aperti che faceva e il calo della media dei voti. E poi anche questa.
Era durato solo un istante e, una volta sparito il rosso, si era appoggiato tremante al muro, dopo che Falcone se n’era andato.
Ma la cena fu carina e preferì non menzionare il compito in classe per timore di essere rimproverato per il resto della vita. E non parlò né di Brian né di Tar. Norman avrebbe detto che si era limitato soltanto a dare loro un avvertimento più che amichevole, non avrebbe mai creduto che prima o poi suo figlio avrebbe pagato a causa della boccaccia paterna.
Dopo il dessert, si fece una doccia, si lavò i capelli e quasi urlò per la difficoltà che incontrò nel trovare un paio di jeans puliti. Emise un sospiro in direzione del cavallo, pensando all’appuntamento che aveva e augurandosi di non sembrare troppo ridicolo, e toccò il naso dell’animale in segno di portafortuna. Una camicia, un pullover a V, le scarpe della domenica, poi si precipitò nell’ingresso alla ricerca del portafoglio, proprio nel momento in cui suo padre usciva dalla cucina addentando una mela.
«Esci con gli amici, eh?» chiese Norman.
«No», rispose allegramente sua madre dalla cucina. «Credo abbia un appuntamento.»
«Davvero? Non stai scherzando?»
«No», confermò sua madre. «Davvero.»
Don ebbe l’impressione di essere invisibile e si spostò per catturare l’attenzione di suo padre. «Già», disse, sperando in un’approvazione. «Andremo al cinema. Forse poi passiamo da Beacher. Non so. Lei deve essere a casa per mezzanotte.»
«Ah, Cenerentola», commentò sua madre, ridendo, e lui si chiese come mai le si fosse fatto tanto acuto il tono della voce.
«Chi è?» domandò Norman, mentre allungava un miracoloso biglietto da dieci dollari proprio nel momento in cui Don si stava girando dall’attaccapanni con in mano la giacca a vento. «Un anticipo sulla paga settimanale», gli disse, notando il suo istante di esitazione. «Diamine, perché no? È qualcuno che conosco?»
«Forse», rispose Don, indossando il giaccone e aprendo la porta. «Tracey Quintero.»
«Quintero?» Norman aggrottò le sopracciglia per un istante. «Oh! Sì, sì. La piccola italiana. È nella tua classe. È splendida.»
«Spagnola, papà. È spagnola. Suo padre è di Madrid. È un poliziotto.»
«Oh, bene.»
«Ricordagli di questa sera, Norm», gli gridò Joyce, tra lo scroscio d’acqua del rubinetto.
Don aspettò, sorridendo alla vista del padre che alzava gli occhi al soffitto. «Ti ricordi della riunione, vero?»
«Certo», sorrise. «Lo so, dovrò essere di ritorno prima di voi, la chiave è nel garage, nel caso perdessi la mia, e sarà meglio che torni prima di voi, altrimenti passerò qualche … guaio.»
Norman sorrise e gli diede una pacca sul braccio. «Cerca di fare attenzione, okay? Non fare diventare tua madre isterica solo per un ritardo.»
Joyce urlò qualcos’altro, ma venne sommerso dal rigurgito dello scarico del lavandino; Don fece un cenno con il capo a suo padre e se ne andò il più velocemente possibile. Conosceva quello sguardo — era tipico di quando Norman pensava fosse arrivato il momento di parlare da uomo a uomo, il che, generalmente, succedeva quando l’uno o l’altro aveva solo cinque minuti a disposizione. E generalmente veniva interrotto prima di proferire la frase iniziale.
Dio, c’era andato vicino, pensò; si scrollò le spalle in modo melodrammatico e fece un gesto di saluto a sua madre, che si trovava in mezzo al tinello, intenta ad asciugarsi le mani con Norman al suo fianco. Facevano sempre così, come se stesse partendo per la guerra e, a meno che non fosse rincasato prima di loro, li avrebbe ritrovati nella stessa posizione, leggermente brilli per tutto il bourbon che avevano l’abitudine di bere guardando la televisione.
In attesa del loro piccolo.
Ma quella sera, la fortuna lo aveva assistito; dovevano andare a una riunione — con gli insegnanti, i funzionari pubblici e il comitato per la Festa di Ashford — e non avrebbe dovuto sorbirsi quella scenetta.
Sbrigati, si disse. Non era il momento di pensare a loro quando doveva preoccuparsi di se stesso — per quello che doveva dire, per come dirlo, per come fare impressione su Tracey senza incespicare con la lingua. Non aveva mai dato appuntamenti tanto seri; si trattava sempre di riunioni con amici al Beacher’s Diner, vicino al teatro. Forse, una volta, era stato un locale raffinato, ma ormai era solo un ristorante con il solito bancone all’entrata. Durante i giorni feriali chiudeva alle nove, nei fine settimana sfamava la folla che usciva dal cinema.
Il problema era che, quando si trovava da solo con una ragazza, non riusciva a mettere insieme più di una dozzina di parole in modo coerente, dal momento in cui andava a prenderla fino a quando doveva riaccompagnarla a casa.
Controllò l’orologio alla luce di un lampione e iniziò a camminare di buon passo. Tracey abitava sette quartieri più a sud e due più a est e lui non voleva arrivare in ritardo. Sperava solo che quella sera suo padre fosse di turno; quell’uomo lo spaventava a morte. Era basso, tarchiato come un barile di cemento e, se mai gli era capitato di scambiare qualche parola di cortesia con qualcuno al di sotto dei quarant’anni, Don ancora non l’aveva sentito.
Ti prego, Dio, supplicò mentre svoltava nella via, ti prego, fa’ che il sergente Quintero non sia in casa.
E mentre si avviava alla porta, controllò di avere le unghie pulite.
«Giuro su Dio», disse Brian, con la voce che superava il brusio degli altri seduti con lui al bancone. «Davvero, erano proprio qui fuori.» Allargò le braccia, spingendo indietro le mani e flettendo le dita. «Sono venuti a rompere proprio qui, santo cielo.»
Ci fu qualche risatina, qualche grugnito e Joe Beacher, con il grembiulone tutto macchiato e il cappello da chef ammosciato, lo fissò minaccioso finché Pratt si decise a chiedere scusa per il linguaggio.
La parte davanti del ristorante era occupata da un lungo bancone con diciotto sgabelli e cinque jukebox e, vicino alla vetrata, erano collocati nove tavolini; c’era una sola cameriera, coadiuvata dallo stesso Joe Beacher che preferiva starsene in quella parte del locale con il suo grembiulone piuttosto che nella più elegante sala sul retro, in giacca e cravatta. L’arredo era in formica e alluminio; sulla parete accanto all’ingresso c’era un orologio rotondo e, sopra, una serie di cartelloni che annunciavano gli avvenimenti cittadini, le vendite di beneficenza e il programma del Piccolo Teatro di Ashford. Di fronte al registratore di cassa c’era un piccolo passaggio che portava direttamente alla sala da pranzo sul retro, dove le pareti erano ricoperte di legno e di acquarelli, raffiguranti le quattro stagioni. Qui, i tavoli erano più spaziosi e le cartelle del menu erano in cuoio rosso; qui, i camerieri erano tre, coadiuvati dal cognato di Joe, vestito di nero, che elargiva gentilezze a tutti e un pizzico di classe. In quel momento la sala era piena di famigliole e signorotti che si affrettavano a finire il pranzo per essere puntuali allo spettacolo delle nove e un quarto; e, nonostante le apparenze da Dottor Jekyll e Mister Hyde, il cibo era il migliore della città.
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