Don rimase fermo sulla porta, esitante, con Tracey alle spalle, finché lei gli diede una spinta. Sorrise leggermente e si decise a entrare; la fece passare per prima e la seguì fino a un tavolino rosso vicino alla vetrata. Mentre le stava spostando la sedia, dal bancone si levarono dei fischi; dopo essersi seduto, udì la pernacchia di Pratt.
Don sussultò, ci fu una risata che divenne sempre più forte con l’aumentare del rossore sulle sue guance.
«Maledizione», mormorò tra i denti, mentre Tracey gli sorrideva, consigliandogli amabilmente di ignorarli e tendendogli il menu ricoperto di plastica che si trovava dietro il contenitore dei tovagliolini di carta. Respirò profondamente e annuì, poi si mise a studiare la lista della vivande, anche se, in effetti, la conosceva già a memoria.
«Ehi, Don», disse Tar Boston, girando sullo sgabello, «bel colpo, vero?»
Anche se credeva fosse andato tutto bene, non era veramente sicuro che non fosse successo niente di male, che non fosse stato sparso del sangue, che non ci fossero state delle sparatorie. Non poteva esserne sicuro perché era stato impegnato a sbirciare di sottecchi Tracey, indeciso se prenderle la mano, se circondarla con un braccio, o se darle addirittura un bacio. La conosceva da anni, ma non erano mai usciti da soli; l’aveva considerata un’amica fin dai tempi delle medie, ma quando si era sfilata la giacca e aveva visto quello che aveva sotto i vestiti, un figurino niente male, non aveva più saputo che cosa fare. Non era più Tracey, l’amica; quella era Tracey, una donna, e improvvisamente non aveva più saputo quali regole seguire.
La consapevolezza di quel cambiamento lo aveva distratto per tutta la durata del film; non aveva visto niente e sentito poco, ma sarebbe stato in grado di dire con esattezza a chiunque glielo avesse chiesto quante rughe aveva l’angolo dell’occhio destro di Tracey, per quanti centimetri si allungava il colletto bianco della camicia in direzione dell’orecchio, in che modo si intersecava il groviglio di riccioli che le ricadevano sulla nuca.
Canticchiando ironicamente la canzone della scuola, Brian scese dallo sgabello e si stirò, annunciando a tutti che era ora per i veri uomini di andare nel bar vicino per assistere allo Sporco Harry che affrontava, suo malgrado, Pratt. Ci furono dei grugniti e soltanto Tar lo seguì verso la porta, lasciandosi le ragazze alle spalle. Fleet e la sua ragazza, Amanda, si fermarono al loro tavolo chiedendo com’era stato il film.
«Noioso», rispose Tracey. Poi, in direzione di Amanda: «A meno che non ti piaccia Eastwood».
Amanda si aggrappò al braccio di Fleet e finse uno svenimento; venne però subito punita con uno scapaccione sul sedere da colui che invece doveva essere il centro dei suoi interessi.
Don scoppiò a ridere e si rilassò, domandandosi ad alta voce che cosa avrebbe mai detto l’allenatore nel vedere tre dei suoi migliori giocatori in giro a quell’ora di notte, proprio il giorno prima della partita.
«Quell’uomo», disse Fleet, «non si rende conto che un atleta carino e aggraziato come me ha bisogno di un po’ di relax e di stimoli prima di intraprendere l’attacco in trincea.» Sorrise. «Però parlo bene, eh? Mandy mi fa fare sempre le parole incrociate a letto.»
Amanda lo colpì forte sulla schiena e lui rispose con uno sguardo cattivo, poi si unì alla risata generale e si diresse alla porta. Prima che si richiudesse del tutto girò il capo e sventolò un pugno nella loro direzione.
Don gli rispose con un sorriso, dispiacendosi che Robinson se ne stesse già andando. Era stato un disastro e, per la prima volta in tanti anni, avrebbe desiderato essere circondato da altri ragazzi. Persino le loro battutine sarebbero state meglio che starsene seduto come uno stupido a giocare con la saliera, a risistemare le posate e il sottopiatto di carta e a mettere infine le mani incrociate sul tavolo come se dovesse scontare una punizione.
«Ti senti bene?» gli domandò Tracey. «Sei stato completamente zitto da quando siamo partiti di casa.»
Don chinò il capo e rispose: «Bene. Sto bene, non c’è nessun problema».
«È stato un film orrendo.»
«Già.»
«Mio padre ti ha spaventato, vero?»
Alzò lo sguardo, evitando di spostare la testa, e rimase piacevolmente sorpreso nel vederla tanto tranquilla. Comunque, non poteva negarlo: Luis Quintero lo aveva spaventato a morte, presentandosi in uniforme in mezzo al salotto per recitargli la filastrocca minacciosa: «Questa è la mia bambina e cerca di non dimenticarlo; non fare lo stupido con lei, non corromperla, non osare ripresentarti in questa casa se solo le sfiori un capello». Poi gli aveva stretto solennemente la mano ed era uscito dalla stanza, lasciandolo solo a domandarsi che cosa diavolo fosse mai potuto succedere a quell’uomo per renderlo così antipatico.
Tracey gli spiegò che si trattava dello Squartatore. Le ci era voluta un’ora per convincerlo che Don non era un assassino e che lei non avrebbe dovuto farsi monaca solo perché stava per uscire con un ragazzo.
«Fa … sempre così?» le domandò infine.
Lei sospirò e rispose: «Se è in casa quando devo uscire, sì. La mamma alza le mani come se dovesse scoppiare a piangere da un momento all’altro. Se fosse per loro, dovrei portarmi dietro mia zia Theresa come dama di compagnia, santo cielo».
Non seppe se dire che gli dispiaceva o meno, ma lei si accorse della sua comprensione e coprì la mano di lui con le sue, la strinse e poi si ritrasse lentamente.
«Bene», riprese in modo esplosivo, «di che cosa parliamo?»
Don non lo sapeva, ma di qualcosa dovettero parlare, perché il cibo arrivò e fu mangiato e lui si ritrovò a un tratto davanti alla casa di Tracey, tenendo la ragazza per mano e augurandosi di non sentirsi dire che doveva andare a trovare sua nonna anche il giorno dopo. Avevano passeggiato, da un capo all’altro della città, rìdendo davanti alle vetrine, inventandosi delle parole con le iniziali delle targhe che incontravano, scambiandosi le opinioni sugli insegnanti che avevano in comune. Lui non aveva parlato del risultato del compito di biologia. Lei aveva menzionato lo Squartatore soltanto una volta, passando davanti a un bar dove una coppia di uomini sporchi si tenevano in piedi appoggiandosi al muro e avevano fra le gambe due borse scure. Uno sonnecchiava, l’altro li osservava con intenzione, sogghignando al loro passaggio. Avevano incontrato un terzo derelitto all’angolo successivo, ma lui li aveva ignorati, troppo impegnato com’era a grattarsi la faccia pallida con le mani ruvide.
Tracey aveva supposto che chiunque di quei tre avrebbe potuto essere l’assassino, ma a lui avevano fatto un’impressione di uomini deboli; quel tipo, quel pazzo, doveva essere Maciste per fare quello che faceva alle sue vittime.
«Mio padre», aveva obiettato lei, «è più basso di te ed è capace di rompere il manico di un badile sul ginocchio, quando è arrabbiato.»
Fu in quel momento che gli porse la mano e fu in quel momento che il buonumore e la conversazione subirono un’interruzione.
«Be’», disse lei, guardando verso casa sua, separata dalle altre dal vialetto pavimentato che conduceva nel giardino sul retro.
«Già.»
Si fermò davanti a lui e guardò verso l’alto. Le ombre le scivolavano sul volto, rendendolo più morbido, più liscio, e lui non poté trattenersi dallo sfiorarle una guancia con un dito.
Dio, che pelle liscia.
«Divertiti domani», fu l’unica cosa che Don riuscì a dire.
Lei sporse le labbra. «Già, è vero. Però preferirei venire alla partita.»
Lui si strinse nelle spalle.
Lei si avvicinò, lo fissò, poi si alzò verso di lui e gli diede un bacio. «Ci vediamo lunedì.»
Ormai lei aveva già fatto i gradini e aveva oltrepassato la porta, quando gli venne in mente di contraccambiare quel bacio e si mise a camminare con le mani in tasca, passandosi la lingua sulle labbra per risentire il sapore di Tracey, per ricordarla e, infine, per rendersi conto che lei non aveva promesso di richiamarlo, né di vederlo domenica.
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