«Non avrai mai mio figlio, mostro! Mai!».
V. trattenne il fiato. Prima che si potesse riprendere, il lupo più vicino, sobbalzando e cedendo all’istinto, aveva affondato i denti nella morbida coperta da bambino e la scuoteva come se torcesse il collo di un coniglio. L’azione rivelò che la coperta era vuota e la creatura, annusando perplessa, si sedette sulle zampe posteriori con la coperta tra quelle anteriori.
V. tornò a fissarci, con il viso che riluceva nella luce lunare come brace incandescente, gli occhi fiammanti di una furia che non poteva essere mitigata.
«Puttana! Ingannatrice!», gridò, con le labbra che si torcevano rivelando dei denti aguzzi. «Pensi di essere indispensabile? Se non sarà tuo figlio, allora sarà quello di un’altra donna… per opera di tuo marito!».
Poi la sua rabbia si spense e un crudele sorriso sensuale apparve sulle sue labbra rosse.
«Mary, graziosa Mary», l’adulò, come recitando una filastrocca, e all’improvviso salì sul predellino. «Capelli d’oro, occhi di zaffiro. Pensi di potermi ingannare, di nascondermi il tuo bambino, ma la verità è nel tuo sangue. Devo solo assaggiarlo…».
E allungò un dito verso di lei, come per accarezzare la pelle sotto il mento. Lei si ritrasse, ricadendo all’indietro sul sedile.
«No!», supplicai. «Farò qualunque cosa… qualunque cosa tu chieda. Andrò a Bistritz immediatamente, ti porterò una vittima, ti aiuterò a disfartene, avrò altri figli da altre donne: qualunque cosa tu chieda. Solo, lasciala vivere!».
Mormorai quelle parole in tutta sincerità, perché non m’importava più di quello che accadeva alla mia anima eterna, purché mio figlio e mia moglie fossero salvi. Ora che sapevo che la fuga del piccolo Stefan era riuscita, ero disposto a fare qualunque cosa V. chiedesse per salvare la vita di Mary. A questo ero già preparato da quando eravamo fuggiti dal castello, ma non avevo potuto confidarlo a Mary, poiché lei non lo avrebbe mai accettato.
V. si allontanò e sorrise con piacere, ma la bocca di Mary si aprì e lei gridò:
«Arkady, non devi: la tua anima sarà perduta e non avrà mai fine! Darà la caccia a Stefan!».
E, con rapida e improvvisa sicurezza, allungò il braccio e prese la pistola di mio padre.
V. gettò indietro la testa e rise con arrogante piacere mentre allargava le braccia, offrendosi come bersaglio.
«Vai avanti, mia cara: Spara! Spara! E vediamo quanto sarà efficace».
E la mia coraggiosa moglie fece fuoco. Mary, la mia anima, la mia saggia, amata assassina.
Meno di un secondo passò prima che la pallottola rimasta mi colpisse il petto ma, in quel fuggevole istante, vidi mia moglie prendere la mira e guardarmi negli occhi. Quegli occhi contenevano un tale amore che il male intorno a noi sembrò svanire, ormai poco importante, ed io le sorrisi con adorazione e gioia estrema, poiché sapevo che la mia vita non era maledetta ma benedetta, benedetta per aver amato una persona che aveva macchiato la sua stessa anima per salvare la mia.
Non avevo potuto parlarle di porre fine al Patto al prezzo della mia vita, poiché farlo avrebbe significato commettere un suicidio e la vittoria per lo strigoi. Non avevo potuto fare altro che lasciare il diario dove lei potesse trovarlo e leggerlo e poi pregare che avesse la forza di fare quello che era necessario.
Non mi deluse.
L’impatto mi gettò all’indietro fuori della carrozza, contro i cavalli, tra i lupi. Il dolore aumentò, consumando il cuore e i polmoni come fuoco che avvampa, ma non aveva importanza, perché la mia beatitudine, il mio trionfo, erano più grandi.
Fissai il cielo di velluto grigio e vidi che le stelle erano scomparse… e seppi che non era la notte ma la dolce oscurità della morte imminente.
Il silenzio mi circondò. Il mondo si allontanava mentre, grato, ebbro, affondavo ancora nella beatitudine. Un’eternità — o forse solo un istante — passò.
La piacevole quiete fu squarciata dai nitriti dei cavalli, dal fragore degli zoccoli, dal rumore delle ruote e, tra questi, da un grido di dolore — soffocato, apparentemente distante ma, quando aprii gli occhi, vidi V. che si inginocchiava sopra di me, gemendo di terrore.
Si chinò per abbracciarmi, per raccogliermi nelle sue braccia… e premette le labbra contro il mio collo, delicatamente, teneramente come potrebbe fare un amante.
Io gemetti: cercai di lottare, ma la mia ferita mortale mi rendeva incapace anche soltanto di voltare la testa. Pregai (non con le parole, dato che ero troppo debole per supplicare con nient’altro che il cuore) che la morte mi prendesse per prima, poiché anche quando Vlad indugiava sul mio collo, la vista mi mancò e tutto divenne un nero divorante. Sentii la gioia, la vittoria nella morte, sapendo che i cavalli erano fuggiti, portando Mary con loro. Dio aveva udito la mia supplica; mio figlio e mia moglie erano salvi.
Nel mezzo dell’oscurità ci fu un dolore lieve, un pizzico, meno intenso del dolore dal fuoco che mi aveva riempito ma vivo, acuto e definito, come la luce della luna sull’acqua. Provai un impeto di angoscia, ma quell’ondata di emozione, prima di passare, divenne dolcemente sensuale. Il mio gemito di sgomento divenne di piacere, il dolore nel petto si attenuò, dimenticato, e io cedetti all’inebriante sensazione del mio sangue vitale che fluiva per incontrare il suo.
Sentii la sua profonda gratificazione e sentii i miei pensieri che veleggiavano verso di lui su quel flusso cremisi.
Il ricordo di Kohl, ogni dettaglio del suo ampio e florido viso, il suo naso rotondo, la scarsezza dei capelli biondo chiaro, lo scintillare degli occhi celesti dietro gli occhiali.
Le lacrime di Mary e le mie, mentre Kohl giurava con solennità che, se non fossimo sopravvissuti, avrebbe allevato nostro figlio come fosse il suo.
Questi ricordi svanirono, ed io non conobbi altro che il mio stesso piacere. Con un ultimo guizzo di forza, sollevai il braccio e afferrai la nuca di V., premendolo più forte contro la mia carne.
E poi il mio braccio cadde e l’oscurità scese completamente. Fu l’istante di estasi più profonda che io abbia mai conosciuto. Anche ora non posso scrivere della mia morte, non posso ricordarla, senza un brivido di piacere, senza il desiderio di ritornare ancora una volta in quel momento infinito.
Quando mi svegliai era buio, sebbene potessi vedere come fosse giorno. Ero solo, nella tomba di famiglia, nella bara aperta da cui si era alzata mia sorella.
Andai al castello, scoprendo che non avevo bisogno di viaggiare a piedi ma che potevo gettare la mia essenza nell’aria e muovermi come il vento.
V. e Zsuzsa erano partiti. Senza dubbio quel vigliacco sapeva che ora sono forte come lui e che lo distruggerò con gioia. Della mia cara Mary, non riesco a trovare alcuna traccia.
Ora vado in cerca di un mortale che mi libererà con il palo e con il coltello e metterà fine al Patto. Se solo potessi morire innocente, senza assaggiare il sangue umano, senza prendere una vita…
Ma la fame! La fame…! Non appena mi sono rialzato, ho pensato che sarei impazzito. Sono andato nella foresta e ho cercato un lupo, poi ho succhiato al suo collo come un neonato.
Non aveva un buon sapore, ma mi ha calmato un po’, permettendomi di scrivere la fine — e lo strano nuovo inizio — della mia vita. Ma non è sufficiente! Non è sufficiente…
Dio, nel Quale non avevo fede, aiutami! Non credo in Te… non ci credevo, ma se devo accettare il Male infinito che sono diventato, allora prego che esista anche l’infinito Bene e che abbia misericordia di ciò che rimane della mia anima.
Io sono il lupo. Io sono Dracul. Il sangue degli innocenti macchia le mie mani ed ora io attendo di ucciderlo…
Ho ucciso un uomo. Sono andato in cerca della mia distruzione ma la fame ha avuto il sopravvento ed ho bevuto… bevuto e l’ho trovato il nettare più divino.
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