Jeanne Kalogridis - Il patto con il Vampiro

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Il patto con il Vampiro: краткое содержание, описание и аннотация

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Per questo stupefacente debutto narrativo Jeanne Kalogridis ha scelto di confrontarsi con uno dei classici più avvincenti e terrificanti della letteratura dell’orrore: Dracula di Bram Stoker. Misterioso e sensuale, questo romanzo, scritto in forma di diario, pone l’inquietante figura di Dracula al centro di un puzzle particolarmente intricato. Partendo cinquant’anni prima dell’inizio del romanzo di Stoker, il patto con il Vampiro svela infatti l’esistenza di un antico e segreto accordo nella famiglia Dracula. Arkady, pronipote del principe Vlad Tsepesh, meglio conosciuto come Dracula, vive nell’incubo di una terribile minaccia, costretto a procurare sempre nuove vittime al suo adorato prozio per salvare la vita alle persone amate. Coinvolto in un abisso di morte e di sangue, Arkady oserà ribellarsi al suo tragico destino e sfidare Dracula, per il bene della sua famiglia.

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«Non li hai uccisi», disse, con tale certezza che le credetti. «Ho sentito morire la ragazza».

«Ma ha gridato…».

«Come fanno i morti viventi, quando vengono distrutti». Provai un sollievo così profondo che gli occhi mi si riempirono di lacrime, ma mia sorella rabbrividì al pensiero mentre aggiungeva: «Hai fatto del male a qualcun altro? Hai portato qualcuno al castello, sapendo chi era Vlad e che cosa avrebbe fatto?»

«No».

Mia sorella batté le mani in un gesto infantile di contentezza.

«Allora forse non è troppo tardi! Forse non c’è ancora la necessità di renderti uno di noi! Ancora non hai commesso un peccato mortale. Ha cercato di ingannarti facendoti pensare che lo avessi già fatto, e che perciò i crimini futuri non avrebbero fatto alcuna differenza».

Scossi la testa e dissi, con un tono pieno di ironia:

«Se sia peccato o meno non farà differenza per le autorità di Vienna. Sapranno solo che ho maneggiato il palo e il coltello…».

«Kasha, io non parlo di qualcosa di così irrilevante come il jandarm a Vienna! Io parlo del Patto, del Contratto! Del tuo destino eterno!».

Per un istante, ci fissammo, ognuno rendendosi conto che l’altro non capiva.

Io parlai per primo, a voce bassa.

«So del Patto. Dunya mi parlò di quello che ha con gli abitanti del villaggio, per la loro protezione, e V. stesso mi ha spiegato l’accordo che ha con la nostra famiglia: il servizio del figlio maggiore in cambio della protezione e della ricchezza della famiglia».

«Oh, no», disse mia sorella, con un bisbiglio così stridulo che tagliò l’aria tra di noi, e penetrò nel mio cuore tanto facilmente come il pugnale di V. nella tenera pelle di un bambino. «Allora non sai niente del vero Patto… quello con il Demonio».

«La tua anima, Kasha. La tua e quella di tuo padre e di suo padre prima di lui. L’anima di ogni figlio maggiore vivente di ogni generazione di Tsepesh: quello è l’oro con cui lui compra la sua immortalità».

Zsuzsa mi parlò ancora, con una voce bassa che tremava per l’orrore mentre eravamo all’ombra del castello. Dopo che V. mi aveva scortato fino al fianco di mia moglie, era ritornato nella camera interna e si era rivolto a Zsuzsa con una furia terribile, urlando che lei lo aveva tradito.

«Mi accusò di averti stregato», disse piangendo, «di averti reso partecipe del mio patto per liberarti dal suo controllo».

«È vero», dissi. «Egli non controlla più la mia mente, dal momento che ti sei rialzata dalla tomba…».

Annuì con tristezza.

«Vlad voleva tenerti ancora prigioniero per legare a sé tuo figlio con il rito del sangue prima di restituirti la volontà. Ecco perché è stato costretto, all’ultimo momento, a sequestrare Mary: per portare te e il bambino al castello, poiché non poteva più richiamarti qui con la mente, ma io sospetto che sia stato giocato da Qualcuno più cattivo e astuto di lui.

Forse il prezzo della mia volontà non era un pagamento sufficiente per rompere il Patto e rendermi strigoi ; forse occorreva anche la tua… poiché mi ha fatto uscire dalla camera interna e la sua ira era così spaventosa che non vi sono ancora ritornata, ma sono rimasta nei pressi della porta esterna e l’ho sentito gridare a qualcuno — o a qualcosa — all’interno».

Pensai al nero altare a capo della bara di V. e rabbrividii. La mia mente ancora non ci credeva, non capiva, ma il mio cuore accettò le parole di Zsuzsa, poiché, se esiste qualcosa di tanto nefandamente malvagio come V., ci dev’essere sicuramente il Demonio.

«Zsuzsa», mormorai, mentre la mente mi si schiariva. «Mi ha chiesto di andare a Bistritz a prendere un altro visitatore…».

«Kasha, non devi andarci! Se tu consegni una vittima nelle sue mani, allora ha vinto… e la tua anima è perduta».

«Allora aiutami a ucciderlo! Ora è addormentato ed è vulnerabile».

Di colpo volse la testa verso di me e i suoi occhi lampeggiarono non d’oro ma con il rosso opaco e irato della cenere ardente.

«Non dire mai più una cosa simile! Come puoi chiedermi…».

«Ha ucciso un migliaio, un milione di volte, Zsuzsa! Tu stessa hai detto che non lo ami più».

«No», disse lentamente. «No… io non lo amo. Lo disprezzo per quello che ha fatto a te e a papà, perché mi ha ingannato. Ma sono venuta da te perché non desidero vedere che a qualcuno venga fatto del male, nemmeno a lui».

«Ma potrebbe fare del male a Mary!».

Abbassò il bel viso, dal colorito leggermente rosato, rubato alle guance di Frau Mueller, e sospirò una riluttante ammissione.

«Sì… farebbe qualunque cosa per corrompere la tua anima: ucciderebbe tua moglie, tuo figlio (purché tu viva per generarne un altro). Ma non ti farà del male, non finché tu rimarrai innocente».

Sollevai la testa, e il battito del cuore aumentò mentre una più potente rivelazione si presentava.

«E se io muoio innocente…?»

«Sarebbe distrutto».

«Zsuzsa!». Dimenticando il crocifisso, le presi la mano; lei indietreggiò con un piccolo grido di dolore. «Zsuzsa, devi promettermi, allora, che tu spiegherai ogni cosa a Mary e provvederai a che lei e il bambino stiano bene…».

Presi quindi il revolver di papà, nascosto sotto il panciotto.

Tese le mani per fermarmi, trasalendo quando le nostre carni si toccarono.

«No! Dev’essere una morte innocente, Kasha. Se muori per la tua stessa mano o con la tua complicità, la tua anima è perduta e il Patto confermato».

Mi inginocchiai davanti a lei.

«Allora uccidimi!».

Distolse il viso e fissò un momento la luce del sole che macchiava la foresta prima di bisbigliare:

«Questa vita è grottesca… ma troppo meravigliosamente strana perché io l’abbandoni, fratello. Ho dei poteri, delle capacità, la bellezza che non ho mai sognato nella mia piccola e patetica vita umana. Non chiedermi di rinunciarci così presto…».

«Zsuzsa, non capisco…».

Tirò un respiro e si voltò verso di me, con i lineamenti perfetti deturpati, contorti da un’agitazione interna.

«Se distruggi Vlad, distruggi me».

La guardai negli occhi e seppi allora che amava ancora V. tanto quanto lo odiava; che da lei non avrei avuto alcun aiuto oltre quello che mi aveva già offerto. Infatti, vidi comparire in quegli occhi il dispiacere.

Improvvisamente, aggiunse:

«Fuggi, Kasha, fuggi. Rimani vivo, per amore del bambino, e portalo lontano da qui, perché dal momento in cui sarà nato, Vlad lo legherà a sé con il rito del sangue… a meno che tu non lo impedisca».

E scomparve. Non impercettibilmente, non gradualmente, ritornando nelle ombre, ma improvvisamente come il piccolo spettro di mio fratello era svanito davanti ai miei occhi nella foresta. Un momento prima fissavo l’immagine di mia sorella radiosamente bella, quello dopo, il mattino grigio e le sagome alte e distanti degli alberi.

Non indugiai, ma ritornai all’interno del castello, trovai le erbe medicinali contro il dolore che Dunya aveva richiesto, e le consegnai nelle sue mani.

Adesso il tormento di Mary è costante; sicuramente il bambino nascerà presto. Non sopporto più di aspettare, scrivendo e ascoltando la sua sofferenza.

Devo agire.

Capitolo quattordicesimo

Il diario di Arkady Dracul

Data sconosciuta. Notte. È passata l’eternità da quando ho scritto per l’ultima volta in questo diario, ma voglio cominciare dal momento in cui ho smesso.

Le grida di Mary divennero così disperate che corsi nella stanza per darle conforto, abbandonando il diario sul tavolino accanto al letto. Quando si calmarono, non rimasi lì, ma ripresi il mio posto nel corridoio, aspettando finché fui certo che entrambe le donne fossero troppo distratte per notare che me ne ero andato, e poi scivolai silenziosamente nell’oscuro, claustrofobico corridoio, oltre l’entrata di pietra, ritornando nella camera esterna di V., dove si trovava il trono e il teatro di morte.

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