— Tu credi di aver imparato molto, Orion —mi schernì Aton. —Quanto poco sai, invece!
Agitò una mano e il cielo si rischiarò all’istante. Gli altri Creatori giacevano a terra, i corpi inerti e coperti di stracci nel mezzo delle rovine della città.
Fu allora che le riconobbi.
— Lunga! —dissi con voce strozzata. Al di là dei resti dei templi e dei mozziconi di colonne, vidi la spiaggia su cui era sorta la base Skorpis.
— Non Lunga —mi corresse il Radioso. —Ho saputo ingannarti bene, Orion.
Tutto stava diventando chiaro. —La Terra, questa è la Terra! Non è mai stata Lunga; sempre e soltanto la Terra.
— In un lontano futuro. Tanto lontano che la Luna è uscita dalla sua orbita al punto che neppure la riconosceresti, se non fossi io a indicartela.
— Gli Antichi vengono dalla Terra, dunque!
— Ne dubito. Forse da Nettuno, originariamente, ma certo non dalla Terra. A quanto pare, però, alcuni di loro hanno colonizzato gli oceani terrestri, millenni fa.
— Chi ha distrutto la vostra città?
— Noi stessi —rispose con un sorriso di scherno. —Un’altra delle nostre piccole dispute famigliari. Ma non fa differenza. La ricostruiremo quando saremo pronti.
— E gli altri Creatori? Li hai uccisi tutti?
— Non sono morti, Orion. Ho semplicemente dimostrato a loro e a te che sono il più potente di tutti. Se non si inchinano alla mia volontà, li priverò della vita.
— È quello che hai fatto con Anya.
Il suo volto si rabbuiò. —Mi è sfuggita. Non so come, ma mi è sfuggita. Sospetto che sia tu il responsabile, Orion. In un’altra era, in un altro spazio, l’hai tratta in salvo.
Il cuore mi si riempì di gioia, non solo perché avevo salvato Anya, ma perché avevo indirettamente umiliato Aton.
— Ma sono disposto a dimenticare questo piccolo incidente —riprese il Radioso. —Sto per porre fine alla tua esistenza, Orion. Sei sopravvissuto alla tua utilità.
— E gli Antichi? —lo sfidai.
Lui sollevò un sopracciglio. —Ah, già, gli Antichi.
— Hai bisogno di loro, no?
— È un bisogno meno grande di quello di liberarmi di te —ribatté. —Ti ho creato perché fossi il mio cacciatore ed eseguissi i miei ordini, ma hai finito per darmi più grattacapi che vantaggi.
— Preferiresti far sprofondare l’universo nel caos piuttosto che permettere ad Anya di sfidarti —gli dissi.
Il sorriso ricomparve sulle sue labbra. —È meglio regnare all’inferno, Orion, che servire in paradiso.
Un tempo avevo desiderato morire, essere liberato dalla sofferenza e dal dolore. Ma ora volevo vivere, trovare Anya e riportarla in vita, raggiungere gli Antichi e chiedere il loro aiuto per salvare il continuum dalla completa distruzione, impedire ad Aton di realizzare i suoi sogni di megalomania.
— Gotterdammerung — dissi.
— Sì, il crepuscolo degli dei —mi fece eco lui. —La caduta di ogni cosa. Io sarò il Supremo alla fine.
— Mai! —proruppi, e fui lontano dalle rovine della città dei Creatori, lontano dalla Terra, dalle profondità dello spazio interstellare.
Mi sentivo come morto, ma sapevo che avrei vissuto ancora per cercare Anya, per combattere contro il Radioso, per trovare il mio posto nel continuum.
Era un mondo arido, dai toni bruni, ma non privo di una sua bellezza.
Stavo in piedi sulla cima di una collina polverosa, dai fianchi percorsi da solchi profondi, che dominava una vallata deserta. Milioni di anni prima, quello era stato il fondo del mare, ma ora il bacino d’acqua più vicino distava migliaia di chilometri. Eppure, c’era vita: cactus e secchi cespugli marrone, lucertole velenose e minuscoli roditori con grandi occhi rotondi e code sottili e glabre. Gli uccelli cinguettavano fra i rami degli alberi quasi scheletrici. Gli insetti ronzavano nell’aria torrida.
C’era una grande macchia di verde nella vallata, alla periferia di un villaggio. Un grappolo di case fatte di mattoni e fango asciugato al sole con i tetti di rami intrecciati. Uomini e donne lavoravano nei campi vicini.
A prima vista, non notai alcun macchinario, nessun segno che indicasse un grado di evoluzione superiore a quello dell’Età della Pietra. Poi, però, vidi dei pannelli solari sul tetto di un edificio più grande. E uno scudo geodetico, piccolo ma sufficiente a contenere un’antenna per le comunicazioni.
Non c’erano strade, solo sentieri che costeggiavano i campi coltivati.
Non avevo con me che una vecchia uniforme e un antico pugnale legato intorno alla coscia. Con un sorriso soddisfatto, discesi il viottolo, diretto al villaggio.
Arrivai che il sole sfiorava l’orizzonte a ovest; i contadini tornavano dai campi.
Furono sorpresi di vedere un estraneo.
— Chi sei? —mi domandò la giovane donna che apriva il piccolo corteo. Vent’anni circa, capelli color sabbia, occhi blu cielo e una spruzzata di lentiggini sul naso.
— Mi chiamo Orion.
— Di dove sei? E come sei arrivato qui?
Feci un gesto vago verso la collina. —Ho camminato a lungo. Sono lieto di aver trovato il vostro villaggio.
La ragazza mi guardò con sospetto e curiosità insieme.
— Hai detto di chiamarti Orion?
— Questo nome ti dice qualcosa? —le chiesi.
Scosse il capo, incerta. Intanto, gli altri si erano radunati intorno a noi. Ne scrutai i volti familiari. Erano stati clonati da Frede, Magro, Jerron. Notai che la donna più anziana era incinta.
— Qui non viene quasi mai nessuno —mi spiegò la figlia di Frede. —Solo gli ispettori della Suprema Alleanza, una volta l’anno.
— Come si chiama questo pianeta?
— Il suo nome ufficiale è Krakon IV —rispose uno dei ragazzini.
— Sì, lo so. Ma voi, come lo chiamate?
Si scambiarono un’occhiata. —Soltanto Casa.
Sorrisi. Casa. Le loro facce erano stanche e rigate di sudore, ma avevano un aspetto sano e un’espressione felice. I loro genitori avevano trovato una Casa per loro stessi, lontano dalla guerra che avevano conosciuto e combattuto tempo prima.
— Vieni al villaggio con noi —mi invitò la figlia di Frede. —Mia madre e gli altri vorranno vederti.
Sani, felici e per nulla intimoriti da un estraneo. L’intero villaggio si riversò all’aperto per vedere il nuovo arrivato: adulti dai capelli striati d’argento, giovani donne con in braccio gli ultimi nati, bambini vivaci e chiassosi.
Frede sgranò gli occhi nel riconoscermi. Mi corse incontro a braccia aperte e mi strinse forte.
— Orion! —gridò. —Orion!
Riusciva ancora a mettermi in imbarazzo. Con garbo, mi liberai dalla sua stretta, mentre gli altri ci osservavano sorridendo.
— Perché sei qui? —mi domandò, improvvisamente allarmata. I suoi occhi erano sempre luminosi e vigili, nonostante tra i suoi capelli brillasse qualche filo d’argento.
— Volevo vedere come ve la cavate. Tutto qui.
Fui ricompensato da un sospiro di sollievo. Quella sera, ci fu una grande festa. L’aspetto primitivo del villaggio, avevo constatato, era il risultato di una scelta deliberata. I suoi abitanti avevano deciso di vivere in armonia con l’ambiente. Ricavavano l’energia dal sole, producevano particolari batteri per fissare l’azoto necessario ai raccolti e per tenere lontani gli insetti e avevano persino una pompa a energia atomica per l’acqua destinata all’irrigazione.
— Forse, un giorno costruiremo anche un aeromobile —mi disse Frede mentre eravamo a tavola. —Ma per il momento possiamo andare a piedi.
— Mi sembri soddisfatta.
Mi indicò una ragazza con una creaturina in grembo. —Quella bambina è mia nipote, Orion. La nostra seconda generazione procrea naturalmente.
Jerron era morto, mi disse. Di un attacco di cuore. —Magro è il nostro medico, ora. Dispone di tutte le apparecchiature più sofisticate, ma non sono state sufficienti per il povero cuore di Jerron. Lo abbiamo sepolto tra i campi. È stato il nostro primo morto.
Читать дальше