Mentre traslavo i miei soldati, li vestii con uniformi blu e oro e a ognuno diedi una pistola infilata in una fondina di pelle bianca. I capi della Suprema Alleanza e dell’Egemonia erano vestiti come quando li avevo sorpresi: alcuni in abiti da passeggio, altri con la sola biancheria. Non tutti erano umani, naturalmente. All’incontro parteciparono anche rettili Tsihn, generali degli Skorpis, e diverse altre razze aliene, compresa una rappresentanza di Aracnidi.
Collocai un grande tavolo da riunioni in una radura vicina e i grandi vi presero posto: da una parte i membri della Suprema Alleanza, dall’altra quelli dell’Egemonia. Ai piedi del tavolo, sistemai una rete alta dieci metri per gli Aracnidi. Sul tavolo deposi blocchi per appunti per gli Skorpis e nebulizzatori per le specie anfibie.
All’inizio, regnò un comprensibile trambusto. Umani e alieni sbraitavano, stridevano, ruggivano e si bombardavano di domande. Ignorato da tutti, io stavo in piedi al capo del tavolo con indosso un’uniforme rosso sangue e le braccia incrociate sul petto. E i miei soldati non erano meno confusi e sorpresi degli altri.
Lasciai i politici alle loro beghe e chiamai Frede accanto a me.
— Che cosa significa tutto questo? —quasi mi aggredì. Aveva il fiato corto e un’espressione choccata sul viso. —Come hai fatto…
— Te lo spiegherò più tardi —la interruppi. —Ora voglio che tu e gli altri facciate da guardie d’onore. Assicuratevi che nessuno lasci il tavolo.
Mi guardò sbattendo le palpebre, e nei suoi occhi lessi migliaia di domande. Ma si voltò senza dire una parola e andò a impartire le necessarie istruzioni agli altri.
Estrassi la pistola dalla fondina di pelle rossa e diressi un raggio verso il tavolo che sfrigolò minacciosamente. Ogni voce si spense e sul tavolo cadde il silenzio più assoluto.
Sorrisi mentre rimettevo via la pistola. —Probabilmente vi starete chiedendo perché vi ho convocato qui questa mattina —esordii.
— Chi sei?
— Dove siamo?
Alzai la mano per indurii al silenzio. —Siamo sulla Terra, in un’era anteriore di dodici millenni alla vostra era.
— Sciocchezze!
— È una menzogna! Non è possibile viaggiare nel tempo. I nostri scienziati hanno tentato di…
— Silenzio! —intimai.
Ammutolirono.
— Siete padroni di non credere a nulla di quanto sto per dire —proseguii. —Non ha importanza. Ciò che invece importa è che resterete seduti a questo tavolo fino a quando non avrete stipulato un trattato di pace.
Li vidi irrigidirsi.
— Che ci vogliano giorni o anni, mi è indifferente. Nessuno lascerà questo tempo e questo luogo fino a che non avrete accettato di porre fine alla guerra. Solo allora sarete ricondotti nei luoghi e nelle epoche da cui siete stati prelevati.
— E se ci rifiutassimo? —saltò su il più grande dei Tsihn presenti, un autentico drago dalle scaglie multicolori.
— Vi ucciderò, uno alla volta, finché non vi deciderete ad avviare una discussione proficua.
Metà dei presenti balzò in piedi.
— Come osi? —sbraitò qualcuno.
E: —Non hai il diritto…!
Poi si accorsero dei soldati alle loro spalle, videro le pistole appese ai cinturoni. I loro volti giovani e sorridenti, ma segnati dalla guerra.
— Troverete un accordo, o morirete —ribadii in tono grave. —Voi che mandate i vostri soldati a morire in battaglia, guardate la morte in faccia ora!
— Chi ucciderebbe dei civili disarmati?
— Chi ha ucciso gli abitanti di Yellowflower? —rilanciai. —Chi ha annientato le colonie dell’Egemonia? Chi ha dato gli ordini?
Ricaddero sulle sedie.
— Ascoltatemi bene —ripresi. —Se la guerra continua, presto una delle due fazioni userà il distruttore di stelle. E allora le razze più antiche della galassia annienteranno voi, senza pietà e senza rimorsi. Sarete schiacciati come vermi.
Vollero ribattere, ma io ribadii con forza la determinazione degli Antichi. —Armi tanto potenti da distruggere le stelle possono provocare reazioni a catena in grado di distruggere l’intera galassia. E questo non può essere consentito.
— Chi sei tu, per proferire simili minacce?
Sorrisi gelidamente. —In un certo senso, sono l’ambasciatore degli Antichi e di altre antiche razze abitatrici della galassia. Razze che non hanno voluto stabilire rapporti con noi perché siamo troppo giovani e ignoranti per suscitare il loro interesse. Ma ora che ci apprestiamo a mettere a repentaglio la vita della galassia non hanno scelta: devono prendere atto del nostro operato e agire di conseguenza.
Non volevano credermi, ma dopo ore e ore di discussione cominciarono ad accettare ciò che avevo detto. Il sole sparì dietro la fitta vegetazione e scese la sera. Non permisi a nessuno di lasciare il tavolo, ma provvidi a proteggerli e tenerli caldi con una bolla di energia. Permisi loro di mangiare e anche di allontanarsi brevemente, sapendo che la fuga era impossibile.
— Nessuno farà ritorno nel proprio tempo fino a quando non avrete raggiunto un accordo —ripetei ancora una volta.
Passarono i giorni. I presenti si scambiavano accuse reciproche, discutevano animatamente, urlavano. E io non mi stancavo di rammentare loro che, se non si fossero messi seriamente al lavoro, avrei cominciato a sparare. E puntavo la pistola contro il più rumoroso di quei chiacchieroni.
— Tu sarai il primo —lo minacciavo.
E quello deglutiva e sgranava gli occhi, ma smetteva di insultare e di gridare.
Era come una gigantesca seduta di terapia di gruppo. Ci volle tempo perché prendessero coscienza dei propri risentimenti, delle proprie paure. All’inizio, si incolpavano a vicenda di ogni sorta di violenze e atrocità, ma a poco a poco, sapendo che non c’erano alternative e che rischiavano di perire, cominciarono a esaminare i motivi occulti della guerra.
Ma io sapevo che la causa autentica erano le manipolazioni dei Creatori. Qualunque cosa umani e alieni avessero deciso, i Creatori avrebbero potuto ribaltare tutto con un semplice schiocco di dita. Capii che, dopo i politici, avrei dovuto affrontare i Creatori. Capeggiati da Aton, il Radioso.
Fui sorpreso che non si fosse presentato, magari indirettamente sotto le sembianze di un politico. Probabilmente era più che soddisfatto di vedermi faticare per un accordo di pace, per poi mandarlo in fumo prima che si potesse applicarlo. Giocare con gli umani lo divertiva. Ci lusingava e poi ci umiliava quando ci vedeva tendere verso la grandezza. “Come farfalle tra le mani di un ragazzino” pensai. Solo che questa farfalla non aveva alcuna intenzione di permettere a un dio folle di strapparle le ali. Soprattutto ora che aveva imparato a volare.
Ci vollero settimane. Per l’esattezza, sette settimane e due giorni. Almeno cento volte fui preso dal timore di dover uccidere qualcuno. Almeno mille volte, i politici si scontrarono con violenza, gridandosi accuse e minacce, per poi sfogare su di me la loro furia e spergiurando che mi avrebbero ucciso non appena fossero tornati nel loro mondo.
Ogni volta, ero costretto a ripetere che nessuno avrebbe lasciato il tavolo prima che fosse stato siglato un accordo di pace, un accordo che ponesse definitivamente fine a quell’assurda carneficina. E, ogni volta, ero costretto a ricordargli che, se ciò non fosse avvenuto, loro stessi sarebbero diventati vittime della guerra.
Una dozzina di volte sembrarono arrivare vicino a un’intesa, poi qualche sciocca obiezione rimetteva tutto in discussione.
Ma pur lentamente e con riluttanza, proseguirono verso la meta. Non usai la forza, solo la minaccia di ucciderli, e tanto bastava a farli tornare al lavoro. Permettevo loro di dormire, anche se questo rappresentava un problema, dato che umani e Tsihn avevano ritmi biologici diversi dagli Skorpis. Gli Aracnidi, da parte loro, non sembravano aver bisogno di sonno.
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