E potevo trovarlo solo su Loris, capitale della Suprema Alleanza, il pianeta da cui Aton seguiva l’andamento della guerra.
L’immagine di Loris si materializzò nella mia mente, un pianeta simile alla Terra con oceani azzurri e nuvole candide. Con il pensiero raggiunsi Frede e gli altri miei compagni. E Anya, congelata nel sonno all’interno della criocapsula.
Percepivo la presenza di osservatori. I Creatori? Aton? No, non avvertivo lo scherno che il Radioso sempre mi riservava, né lo sdegnoso distacco dei suoi amici. Erano gli Antichi. Sentii il calore della loro approvazione e la forza del loro aiuto. Questa volta avevano rinunciato alla loro neutralità per aiutarmi.
— Loris —dissi senza parlare, senza emettere alcun suono. Nell’insondabile vuoto tra le varie dimensioni dello spazio-tempo, ritrovai Anya e i miei soldati, e insieme ci dirigemmo verso il pianeta Loris.
Voci intorno a me.
— Che cos’è?
— Ma come può essere?
— Sono comparsi all’improvviso! Plop ! Ed erano qui!
Aprii gli occhi, felice di essere di nuovo vivo, di esistere.
Eravamo in una grande piazza illuminata dal sole, tutti quelli sopravvissuti. Frede era ancora china sulla criocapsula, la pistola puntata contro di me. Gli altri stavano accasciati contro i fianchi curvi del sarcofago. La parte raggiunta dai laser degli Skorpis era ancora calda e fumante.
I palazzi che delimitavano la piazza, pavimentata con piastrelle colorate, erano eleganti torri di cristallo e acciaio lucente. Una fontana sprizzava acqua poco lontano dal punto in cui eravamo atterrati. E intorno a noi, uomini e donne vestiti con eleganza che ci guardavano a bocca aperta, quasi fossimo fantasmi o alieni. Il gruppo di curiosi si faceva sempre più numeroso, e si bisbigliavano frasi sommesse all’orecchio o ci indicavano col dito.
E certo non eravamo uno spettacolo rassicurante, una manciata di disperati, coperti di sangue e sudore, le uniformi sporche e lacere. Solo in diciotto eravamo scampati alla morte.
— Ma chi sono? —domandò un’anziana signora.
— Come osano mostrarsi proprio qui?
— Devono essere “soldati”.
— Soldati? Gente dell’esercito?
— Ma che ci fanno qui?
— Devono essere proprio soldati. Guardate, sono armati.
— Le armi non sono autorizzate nella capitale —ci apostrofò un uomo dall’espressione irritata. —Ho chiamato la polizia.
— Come puzzano!
— Sì, puzziamo e abbiamo un aspetto orribile! —gridai. —Abbiamo combattuto e molti di noi sono morti per salvarvi da un’invasione!
Li sentii sussultare.
— È pazzo!
— Ma guardateli! Sono pazzi, è evidente.
— Dov’è la polizia? L’ho chiamata più di un minuto fa.
Non riuscivo a credere alle mie orecchie. —Non sapete che c’è una guerra in corso, sopra le vostre teste? Non sapete che siete in guerra?
— Dev’essere uno scherzo.
— Una sperimentazione teatrale. Le nuove generazioni si divertono a choccare i più anziani.
Mi si avvicinò una donna dai capelli grigi. Mi arrivava appena alla spalla. —È inutile che cerchi di spaventarci. La guerra viene combattuta a migliaia di anni luce da qui.
Scossi la testa, diviso tra lo sgomento e il disgusto, poi le voltai le spalle e tornai dai miei compagni.
Che non erano meno sorpresi dei civili. Frede abbassò la pistola, si appoggiò con le spalle alla criocapsula e scivolò sulla schiena fino a ritrovarsi seduta per terra. Gli altri si distesero sulle piastrelle colorate.
— Questa è Loris? —domandò Frede.
Annuii. —La capitale della Suprema Alleanza.
Si accostò un uomo. —Non potete stare qui. Questa è una pubblica piazza, non un campo militare.
Dovevo restare calmo. —Dove ci suggerisce di andare, allora?
— Come posso saperlo io? Ma… Ah, ecco che arriva la polizia, finalmente!
La folla si aprì per lasciar passare una coppia di lucidi robot che, grazie ai volazaini, si muoveva a pochi centimetri da terra. Privi di gambe, avevano sei braccia, corpo cilindrico e testa conica munita di sensori e microfoni.
— Identificatevi, prego —disse quello alla mia sinistra.
— Siamo i sopravvissuti dell’equipaggio dell’astronave Apollo —risposi. —Siamo scampati alla battaglia…
— Un momento, prego. —Il robot alzò una mano dalle dita simili ad artigli. —Dai rapporti risulta che l’Apollo è in missione nel sistema di Jilbert. Identificatevi, prego.
— Non siamo mai arrivati al sistema di Jilbert, —spiegai, cominciando ad avvertire un certo disagio. —Durante il viaggio siamo rimasti coinvolti in una terribile battaglia…
— Non c’è nessuna battaglia in corso.
— In orbita —puntualizzai.
Sentii levarsi parecchi mormoni. Qualcuno dei presenti si era mai preso la briga di guardare il cielo della sera? Quando esplodevano, le navi sembravano lampi di luce tra le stelle.
— Seguiteci, prego —disse il robot.
— Dove?
— Dalle autorità superiori.
“Ma certo” pensai. Indicai la criocapsula. —Non si può lasciarla qui. Dovrebbe essere portata in un ospedale oppure…
— L’oggetto sarà preso in custodia e trasportato in una struttura idonea.
— Noi accompagniamo la capsula.
— Voi ci seguirete —replicò il robot. —L’oggetto verrà preso da altri e portato nel luogo idoneo.
Appoggiai la mano sul calcio della pistola. Frede e gli altri balzarono in piedi, pronti ad afferrare le loro armi. La folla ondeggiò e cominciò a indietreggiare.
— Abbiamo l’ordine di sorvegliare la capsula —mentii. —L’abbiamo trasportata per molti anni luce e abbiamo combattuto duramente perché arrivasse intatta a Loris. Non la lasceremo su una piazza alla mercé di chiunque.
Il robot stava emettendo un leggero ronzio. Notai che il suo compagno si era spostato leggermente alla mia destra, probabilmente con l’intenzione di farmi oggetto di un fuoco incrociato se la situazione fosse precipitata. Jerron, la camicia strappata sotto cui si intravedeva la pelle bruciacchiata, si fece avanti e, lo sfiorò con la canna della pistola. Il robot indietreggiò, emettendo un forte sibilo.
— È in arrivo un’equipe medica che si prenderà cura della capsula —annunciò il primo robot. —Sarà fatto tutto il necessario.
— Bene —approvai. —Aspetteremo il suo arrivo, poi verremo con voi.
Pochi minuti dopo, tre aeromobili planarono sulla piazza, per atterrare a pochi metri da noi. Ne scesero due squadre di umani, una costituita da medici in camice bianco; gli altri, in uniformi blu, erano armati di pistole e mitragliette.
— Sono il capitano Perry, della polizia della capitale —si presentò uno di questi. Alto più o meno come me, aveva spalle larghe e robuste. I capelli neri e ricci gli sfioravano il collo. Il volto era squadrato, dominato da un naso da pugile.
— Io sono Orion, capitano dell’Apollo. Abbiamo portato questa criocapsula da Prime, la capitale dell’Egemonia. Contiene il corpo di uno dei capi dell’Egemonia, venuto per discutere la pace.
— Perché l’intera flotta degli Skorpis sta cercando di annientare le nostre difese? —domandò Perry, quasi ringhiando.
Ricorsi alla sempre valida giustificazione del soldato. —Sto solo eseguendo gli ordini, capitano. —Era una menzogna, ma avrebbe funzionato. Almeno per il momento.
L’uomo mi squadrò da cima a fondo, prima di rispondere: —D’accordo. Porteremo la capsula nel nostro centro clinico, ma prima dovete consegnarmi le armi.
Scossi la testa. —Siamo soldati, capitano. Consegneremo le armi soltanto alle autorità militari. A nessun altro.
— Su questo pianeta, la polizia ha l’autorità di disarmare chiunque circoli con un’arma.
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