Neil Gaiman - Nessun dove

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Sotto le vie di Londra c’è un mondo che la maggior parte delle persone non riesce neppure a immaginare. Una città di mostri e di santi, di assassini e di angeli, cavalieri in armatura e pallide ragazze in velluto nero: questa è la Londra di chi è precipitato tra le fenditure. Richard Mayhew è un giovane uomo d’affari che sta per scoprire l’altra città: un singolo atto di generosità lo catapulta fuori dalla sua tranquilla e prevedibile esistenza e lo fa entrare in un mondo che è al tempo stesso stranamente familiare e incredibilmente bizzarro. C’è una ragazza di nome Porta e delle persone che vogliono ucciderla. C’è un angelo che si chiama Islington che vive in un salone illuminato dalle candele, e Old Bailey, che abita sui tetti. Ci sono ratti intelligenti e il signor Parla-coi-Ratti, e un Conte che tiene il proprio seguito sulla carrozza di un treno della metropolitana. Un ponte nella notte sta a guardia della perigliosa via verso Knightsbridge, dove vivono le persone delle fogne, la Bestia nel labirinto, e si scoprono pericoli e piaceri che superano la più fervida immaginazione. E Richard, che vorrebbe solo tornarsene a casa, troverà ad attenderlo uno strano destino. Laggiù, sotto le strade della sua città, in quel luogo chiamato Nessun.

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Heaven…
I’m in Heaven…
I’m in Heaven…
I’m in Heaven…

Quindi sorrise, dolcemente e teneramente, e il sorriso dell’Angelo Islington era una cosa terribile a vedersi.

Pronunciò le parole, ripetendole tra sé e sé, le sillabe sospese nell’aria dell’oscurità della sua stanza illuminata dalle candele.

« I’m in Heaven, sono in Paradiso» disse.

Richard stava aggiungendo un’altra annotazione al suo diario mentale. Caro Diario, pensava. Oggi sono sopravvissuto alla passeggiata sulla passerella, al bacio della morte e a una lezione sui calci.

Proprio in questo momento sto attraversando un labirinto con un pazzo bastardo che è risuscitato dalla morte e una guardia del corpo che si è rivelata essere una… qualunque cosa sia l’opposto di una guardia del corpo. Sono in acque talmente profonde per le mie possibilità che…

Gli sfuggi la metafora.

Stavano procedendo a fatica per uno stretto passaggio di terra bagnata e paludosa in mezzo a scuri muri di pietra.

Il Marchese portava sia il lasciapassare sia la balestra, e camminava tre metri dietro a Hunter.

Richard teneva la lancia e una torcia gialla che illuminava i muri e il fango. Camminava davanti a Hunter, ma a debita distanza. La palude puzzava, e grosse zanzare avevano cominciato a mordere Richard sulle braccia, sulle gambe e sul viso. Fino a quel momento né Hunter né il Marchese avevano minimamente menzionato le zanzare. Richard cominciava a sospettare che si fossero persi.

E il suo umore non veniva per nulla risollevato dal fatto che qui e là nella palude ci fossero dei morti: corpi coriacei ben conservati, ossa di scheletri e pallidi cadaveri. Si chiedeva da quanto fossero li, e se fossero stati uccisi dalla Bestia o dalle zanzare.

Lasciò passare altri cinque minuti e nove punture di zanzara, poi gridò, «Credo che ci siamo persi. Da qui siamo già passati.»

Il Marchese alzò il talismano. «No. Va tutto bene» disse. «Il pegno ci sta portando dritti alla meta. Cosetta intelligente.»

«Già» disse Richard ben poco impressionato. «Molto intelligente.»

Fu allora che il Marchese mise il piede nudo sulla gabbia toracica frantumata di un cadavere semi sepolto, che gli perforò il calcagno e lo fece inciampare. La statuina nera volò in aria e con un gran tonfo cadde nella palude. Il Marchese si rialzò e puntò la balestra alla schiena di Hunter. Al tallone destro provava una dolorosa sensazione di calore: si augurava di non essersi procurato un taglio profondo. Aveva già troppo poco sangue per potersi permettere di perderne altro.

«Richard!» gridò. «Mi è caduta. Puoi tornare qui?»

Richard tornò sui suoi passi, tenendo alta la torcia, sperando di scorgere il luccichio della fiamma sull’ossidiana ma non vedendo altro che fango bagnato.

«Scendi a vedere» disse il Marchese.

Richard emise un gemito.

«Hai sognato la Bestia, Richard» disse il Marchese. «Vuoi davvero incontrarla?»

Richard non dovette pensarci a lungo, quindi appoggiò la lancia di bronzo, infilò la torcia nel fango in modo che potesse rimanere dritta e illuminare la superficie della palude di una discontinua luce ambrata, poi si mise carponi nel pantano a cercare la statuetta.

Faceva scorrere le mani in superficie, sperando di non incontrare facce o mani morte.

«E impossibile. Potrebbe essere ovunque.»

«Continua a cercare» disse il Marchese.

«L’ho vista!» urlò Richard.

Si dibatté nel fango in direzione della statuina. La piccola bestia lucida si trovava in una pozza di acqua scura. Forse il fango era stato disturbato dall’approssimarsi di Richard; più probabilmente, secondo i suoi forti sospetti, si trattava solo della semplice predisposizione sanguinaria del mondo fisico. In ogni modo, era a poco più di un metro di distanza dalla statuetta quando la palude fece un rumore che pareva un gigantesco brontolio di stomaco, e un’enorme bolla di gas sali in superficie, scoppiando maleficamente e oscenamente accanto al talismano, che scomparve sottacqua.

Richard raggiunse il punto dove era affondato il pegno e infilò le braccia nel fango cercando di ritrovarlo. Tutto inutile. Era sparito.

«E adesso cosa facciamo?» domandò Richard.

Il Marchese sospirò. «Torna qui, e vedremo di inventarci qualcosa.»

Con tono pacato Richard disse, «Troppo tardi.»

Arrivava verso di loro cosi lentamente, cosi pesantemente. Questo fu il suo primo pensiero. Poi si accorse di quanto terreno riusciva a coprire, e comprese l’entità del suo errore nel considerarla lenta. A una decina di metri da loro la Bestia rallentò e si fermò. I suoi fianchi fumavano. Muggi, in segno di trionfo e di sfida.

Sui fianchi e sulla schiena erano conficcate lance spezzate, spade in frantumi e coltelli arrugginiti.

La gialla luce della torcia faceva scintillare gli occhi rossi, le zanne e le corna.

Abbassò la testa massiccia. Una specie di cinghiale? pensò Richard, poi si rese conto che era una sciocchezza: nessun cinghiale potrebbe essere cosi enorme. Aveva le dimensioni di un toro, di un elefante, di un sogno. Li fissava, fermandosi per un centinaio di anni, che si manifestarono in una decina di battiti del cuore.

Hunter si inginocchiò e sollevò la lancia dalla palude, dalla Fleet Marsh. Con una voce che era gioia allo stato puro, disse, «Si! Finalmente!»

Aveva dimenticato tutto e tutti; dimenticato Richard in mezzo al fango, e il Marchese con la sua stupida balestra, e il mondo. Era estasiata e rapita, in un luogo perfetto, il mondo per cui viveva. Il suo mondo conteneva due cose: Hunter e la Bestia.

Anche la Bestia lo sapeva. Era l’incontro perfetto, il cacciatore e il cacciato. E chi fosse chi, cosa fosse cosa, solo il tempo avrebbe potuto dirlo; il tempo e la danza.

La Bestia caricò.

Hunter attese di poter vedere la saliva uscirle dalla bocca, e mentre andava verso di lei la colpi, dal basso verso l’alto, con la lancia; ma sentendo come entrava la lancia, capì di avere tardato una frazione di secondo di troppo, e la lancia le scivolò dalle mani intorpidite. Una zanna più affilata della più affilata lama di rasoio le penetrò il fianco.

Cadendo sotto la bestia, ne senti gli zoccoli che le frantumavano il braccio, l’anca e le costole. Ed ecco, se ne era andata, svanita di nuovo nell’oscurità, e la danza si era conclusa.

Mister Croup si sentiva più sollevato di quanto avrebbe mai ammesso mentre si trovavano nel labirinto. Ma lui e mister Vandemar l’avevano attraversato indenni, e lo stesso sì poteva dire della loro preda.

Di fronte avevano una parete di roccia, con una porta di quercia e uno specchio ovale incastonato nella porta.

Mister Croup toccò lo specchio con una mano lurida.

Al tocco la superficie dello specchio si appannò. L’Angelo Islington guardò fuori.

Mister Croup si schiari la voce. «Buon giorno, signore. Siamo noi, e abbiamo la giovane signora che ci avete mandato a prendere.»

«E la chiave?» La dolce voce dell’angelo sembrava provenire da tutto intorno a loro.

«Pende dal suo collo di cigno» disse mister Croup, soddisfatto.

«Entrate» disse l’angelo.

Allora la porta si spalancò e entrarono.

Era successo tutto cosi in fretta. La Bestia era uscita dall’oscurità, Hunter aveva afferrato la lancia, poi la Bestia l’aveva caricata ed era tornata a scomparire nel buio.

Richard si sforzò di sentire la Bestia. Non riusciva a sentire nulla tranne, chissà dove, il lento plip, plip dell’acqua e l’acuto gemito delle zanzare.

Hunter giaceva sulla schiena. Un braccio era piegato a formare un angolo improbabile. Strisciò verso di lei attraverso il pantano.

«Hunter?» bisbigliò. «Mi senti?»

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