«Credevo parlaste del Marchese» disse Porta.
Mister Croup si grattò la testa, con mossa teatrale. «Parlando del Marchese, mi chiedo dove sia. Sembra scomparso, vero, mister Vandemar?»
«Già, proprio scomparso, mister Croup. Davvero scomparso. »
«Al punto che d’ora in avanti dovremo chiamarlo lo scomparso Marchese de Carabas. Purtroppo è giusto un pochino…»
«Morto stecchito» concluse mister Vandemar.
Richard, che respirava affannosamente e si contorceva a terra, riuscì a inspirare abbastanza aria nei polmoni da rantolare, «Tu, puttana traditrice.»
Hunter abbassò lo sguardo. «Niente di personale» mormorò.
«La chiave che avete preso dai Frati Neri,» chiese mister Croup a Porta «chi ce l’ha?»
«Ce l’ho io» ansimò Richard. «Potete perquisirmi, se volete.» Si frugò nelle tasche — accorgendosi di qualcosa di duro e per niente familiare nella tasca posteriore, ma in quel momento non c’era il tempo di investigare — e ne tirò fuori la chiave della porta d’ingresso del suo vecchio appartamento. Si trascinò in piedi e barcollò fino a mister Croup e mister Vandemar. «Ecco.»
Mister Croup allungò una mano e gli prese la chiave di ottone. «Accidentaccio, mister Vandemar» disse, senza quasi degnarla di uno sguardo. «Mi sono lasciato completamente abbindolare da questa astuta manovra.» Passò la chiave a mister Vandemar, che la tenne tra pollice e indice e la accartocciò come fosse carta stagnola. «Imbrogliati ancora, mister Croup» disse.
«Gli faccia male, mister Vandemar» disse mister Croup.
«Con piacere, mister Croup» disse mister Vandemar, assestando a Richard un calcio sulla rotula. Richard cadde a terra in agonia, tenendosi la gamba.
Come proveniente da un luogo lontanissimo, poteva udire la voce di mister Vandemar. Sembrava stesse tenendo una conferenza. «La gente pensa che sia la forza a fare male» diceva la voce di mister Vandemar. «Ma non è come sferri il calcio che conta. È dove. Voglio dire, questo è davvero un calcetto gentile…»
Qualcosa sbatté contro la spalla sinistra di Richard. Il braccio era completamente intorpidito, e un fiore di dolore gli sbocciò sulla spalla. Gli sembrava che tutta la parte sinistra andasse a fuoco, e congelasse, come se qualcuno gli avesse infilato uno stimolatore elettrico nella carne e avesse dato il massimo di corrente. Si mise a piagnucolare. E mister Vandemar diceva:
«… Ma fa male quanto questo — che è molto più forte…»
Lo stivale si conficcò nel fianco di Richard come una palla di cannone. Riusciva a sentirsi urlare e singhiozzare, e avrebbe tanto desiderato sapere come fare a smettere.
«Ce l’ho io la chiave» senti dire Porta.
«Se tu avessi un coltellino svizzero» continuava mister Vandemar rivolto a Richard con tono servizievole, «potrei farti vedere come si usano tutti i pezzi. Anche l’apribottiglie, e gli attrezzi per togliere i sassi dagli zoccoli dei cavalli.»
«Lo lasci, mister Vandemar. Ci sarà tutto il tempo per i coltellini svizzeri. Allora, vediamo se ha il lasciapassare.»
Mister Croup frugò nelle tasche di Porta e prese la statuetta scolpita nell’ossidiana: la piccola Bestia.
La voce di Hunter era bassa e sonora. «E io? Dov’è il mio compenso?»
Mister Croup tirò su col naso e le lanciò la sacca per le canne da pesca. Lei l’afferrò con una mano.
«Buona caccia» disse mister Croup. Poi lui e mister Vandemar si voltarono e si incamminarono lungo la tortuosa discesa di Dawn Street, con Porta nel mezzo.
Hunter si inginocchiò e cominciò a sciogliere i lacci della borsa. Aveva gli occhi grandi e luminosi.
Richard giaceva a terra e la osservava.
«Cos’è?» chiese. «Trenta denari?»
Lei la estrasse, lentamente, dalla guaina di stoffa, accarezzandola e lisciandola con le dita. Amandola.
«Una lancia» disse.
Era fatta di un metallo color bronzo; la lama era lunga e ricurva come un kris, tagliente da un lato, seghettata dall’altro; dei volti erano stati scolpiti sull’impugnatura, che appariva verde di verderame, e decorata con strani disegni e insolite volute. Era lunga circa un metro e mezzo, dalla punta della lama alla fine dell’impugnatura. Hunter la toccava quasi con timore, come fosse la cosa più bella che avesse mai visto.
«Hai venduto Porta per una lancia» disse Richard.
Lei non rispose. Si inumidì le dita con la lingua rosea e con dolcezza le passò lungo la lama, controllando l’affilatura; sembrò soddisfatta.
«Hai intenzione di uccidermi?» chiese Richard.
Allora lei voltò la testa e lo guardò. Sembrava più viva che mai, più bella e più pericolosa. «E che razza di sfida sarebbe cacciare te, Richard Mayhew? Ho un avversario ben più grande da uccidere.»
«Quella è la tua lancia per la caccia alla Grande Bestia di Londra, vero?»
Lei guardava la lancia come mai nessuna donna aveva guardato Richard. «Dicono che nulla le possa tenere testa.»
«Ma Porta si fidava di te. Io mi fidavo di te.»
«Basta.»
Lentamente, il dolore cominciava a scemare, riducendosi a un sordo indolenzimento alla spalla, al fianco e al ginocchio. «Allora, per chi lavori? Dove la stanno portando? Chi c’è dietro tutto questo?»
«Diglielo, Hunter» stridette il Marchese de Carabas.
Teneva una balestra puntata contro Hunter, i piedi nudi ben piantati per terra, e aveva sul viso un’aria implacabile.
«Mi chiedevo se eri davvero morto come dicevano Croup e Vandemar» disse Hunter. «Mi avevi dato l’impressione di uno duro da uccidere.»
Lui piegò il capo, in un ironico inchino. «Anche tu mi dai la stessa impressione, cara signora. Ma una freccia di balestra nella gola e una caduta di un centinaio di metri potrebbero smentirmi, ti pare? Posa la lancia e fai un passo indietro.»
Appoggiò la lancia a terra, con gentilezza, con amore. Poi si alzò e si allontanò.
«Puoi anche dirglielo, Hunter» disse il Marchese. «Io lo so. Ho trovato la strada difficile. Digli chi sta dietro a tutto questo.»
«Islington» rispose lei.
Richard scosse il capo, come se stesse cercando di scacciare una mosca. «Non può essere» disse. «Cioè, ho incontrato Islington. È un angelo.» Poi, in tono quasi disperato, «Perché?»
Il Marchese non aveva staccato gli occhi da Hunter e la punta della balestra non aveva vacillato. «Vorrei saperlo. Ma Islington è in fondo a Down Street e in fondo a questa storia. E tra noi e Islington ci sono il labirinto e la Bestia. Richard, prendi la lancia. Hunter, davanti a me, per favore.»
Richard sollevò la lancia poi, goffamente, utilizzandola come punto di appoggio, si rimise in piedi. «Vuole che venga con noi anche lei?» chiese, stupito.
«Preferiresti averla alle spalle?» domandò secco il Marchese.
Richard scosse il capo.
E ricominciarono a scendere.
Camminarono in silenzio per ore, seguendo la sinuosa strada di pietra che portava in basso. Richard era ancora dolorante e zoppicava. Inoltre provava una strana agitazione fisica e mentale: dentro di lui si rincorrevano sensazioni di sconfitta e tradimento che, associate al rischio di perdere la vita a causa di Lamia, al danno inflittogli da mister Vandemar e all’esperienza sulla passerella là in alto, lo facevano sentire un vero rottame. E, tanto per peggiorare ulteriormente le cose, era assolutamente certo che tutte le sue esperienze dell’ultimo giorno sarebbero impallidite fino a diventare qualcosa di assolutamente insignificante se paragonate a quello che doveva avere passato il Marchese. Perciò, non diceva nulla.
Il Marchese stava in silenzio, dato che ogni parola che pronunciava gli faceva dolere la gola. Si accontentava di lasciarla guarire e di concentrarsi su Hunter. Sapeva che se avesse distolto l’attenzione anche per un solo istante, lei se ne sarebbe accorta e sarebbe scappata, o li avrebbe attaccati. Perciò, non diceva nulla.
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