Richard fece un respiro profondo e mise il piede sulla sporgenza di legno. Poi, pur sapendo che era una pessima idea, guardò giù. Non c’era nient’altro che un asse a dividerlo dal piano roccioso, centinaia di metri più sotto.
Tra la sporgenza su cui si trovavano e la cima della strada di pietra, a una distanza di circa tre metri, c’era una lunga passerella di legno.
«E immagino» disse, con molta meno noncuranza di quanto credeva, «che non sarebbe un buon momento per far presente che sono una vera nullità quando si tratta di altezze.»
«È sicuro» disse Lamia. «O almeno lo era l’ultima volta che sono stata qui. Guarda.»
Attraversò la passerella, un fruscio di velluto nero. Avrebbe potuto portare in equilibrio sulla testa una decina di libri senza farne cadere neppure uno. Arrivata al sentiero di pietra si fermò, si voltò e sorrise con aria incoraggiante.
Hunter la segui al di là della passerella, si girò e rimase sul ciglio accanto a lei, in attesa.
«Visto?» disse Porta. Allungò una mano e strinse il braccio di Richard. «È a posto.»
Richard annui, e deglutì. A posto.
Porta attraversò. Non sembrava divertirsi, ma attraversò comunque.
Le tre donne stavano aspettando Richard, che era rimasto indietro. Si accorse che non sembrava avere fatto neppure un passo sulla passerella di legno, nonostante avesse ripetutamente ordinato alle proprie gambe di camminare.
Molto sopra di loro venne premuto un pulsante.
Richard udi il tunk e la lontana messa in moto di un vecchio motore elettrico. La porta dell’ascensore si chiuse di botto, lasciandolo in precario equilibrio sulla stretta piattaforma di legno, non più ampia della passerella stessa.
«Richard!» gridò Porta. «Muoviti!»
L’ascensore cominciò a salire. Richard passò dalla piattaforma tremolante alla passerella di legno, senti le gambe diventargli di gelatina e si mise carponi, cercando di tenere duro per salvarsi la pelle.
C’era una minuscola parte razionale del suo cervello che si interessava all’ascensore: chi l’aveva chiamato, e perché? Il resto della mente, tuttavia, era impegnato a dire a tutti e quattro i suoi arti di tenersi rigorosamente aggrappati alla passerella, e a gridare, con quanta voce mentale aveva, «Non voglio morire!» Richard chiuse gli occhi stretti stretti, certo che se li avesse aperti e avesse visto il muro di roccia sotto di lui avrebbe sicuramente lasciato la presa per precipitare, precipitare, precipitare…
«Non ho paura di cadere» si disse. «Quello di cui ho paura è il momento in cui smetti di cadere e cominci a essere morto.» Ma sapeva di mentire a se stesso. Era la caduta che temeva — il pensiero di agitarsi e ruzzolare impotente nell’aria, sapendo di non poter fare nulla, che nessun miracolo ti può salvare…
Lentamente si rese conto che qualcuno gli stava parlando.
«Arrampicati semplicemente lungo la passerella, Richard.»
«Io… non ce la faccio» sussurrò.
«Hai passato di molto peggio per ottenere la chiave, Richard» disse una voce. Era Porta che parlava.
«Non sono per niente bravo con l’altezza» disse ostinatamente, il viso premuto con forza contro le assi di legno. Quindi, «Voglio andare a casa.»
Sentiva il legno contro il viso.
Poi la passerella cominciò a vibrare.
La voce di Hunter disse, «In realtà non so che peso possa reggere quell’asse. Voi due fate da contrappeso qui.»
La passerella vibrava come se qualcuno la stesse percorrendo, muovendosi verso di lui. L’afferrò ancora più saldamente, sempre a occhi chiusi. Quindi Hunter, suadente, calma, gli disse all’orecchio, «Richard?»
«Mmm.»
«Avanza lentamente, Richard. Un pezzetto alla volta. Vieni…» Le dita di zucchero caramellato gli accarezzarono la mano dalle nocche bianche che stringeva l’asse di legno. «Vieni.»
Fece un respiro profondo e avanzò di qualche centimetro. E si bloccò di nuovo.
«Stai andando ottimamente» disse Hunter. «Va bene cosi. Vieni.»
E centimetro dopo centimetro, strisciando e trascinando, con la sua voce portò Richard lungo la passerella, quindi, alla fine della passerella, lo sollevò semplicemente di peso prendendolo sotto le ascelle e lo posò sulla terra ferma.
«Grazie» le disse. Non riusciva a pensare a nient’altro da dire a Hunter che avesse un valore tale da compensare quanto aveva appena fatto per lui. Lo ripeté. «Grazie.» Poi, rivolto a tutte e tre, aggiunse, «Mi dispiace.»
Porta lo guardò. «Va tutto bene» disse. «Sei in salvo adesso.»
Richard guardò la sinuosa strada a spirale sotto il mondo, che scendeva, scendeva; poi guardò Hunter, Porta e Lamia, e scoppiò a ridere fino alle lacrime.
Alla fine Porta gli domandò, «Cosa c’è di tanto divertente?»
«’In salvo’!» disse lui.
Porta lo fissò, poi anche lei sorrise.
«Allora, adesso dove andiamo?» chiese Richard.
«Giù» rispose Lamia.
Cominciarono a discendere Down Street. Hunter era alla testa del gruppo, con accanto Porta. Richard, che camminava vicino a Lamia, ne respirava il profumo di mughetto e caprifoglio e ne apprezzava la compagnia.
«Sono davvero contento che tu sia venuta con noi» le disse. «Dato che sei una guida. Spero che non ti porti sfortuna.»
Lei lo fissò con gli occhi color digitale. «Perché dovrebbe portarmi sfortuna?»
«Sai chi sono i parla-coi-ratti?»
«Certo.»
«C’era una ragazza parla-coi-ratti di nome Anestesia. Lei… be’, siamo diventati un po’ amici e lei mi stava guidando in un posto. Ma poi è stata portata via. Sul Ponte della Notte. Continuo a chiedermi cosa può esserle successo.»
Gli sorrise con aria comprensiva. «Anche tra la mia gente circolano storie simili. Alcune potrebbero pure essere vere.»
«Me le devi raccontare» disse. Faceva freddo. Nell’aria gelida il suo respiro diventava fumo.
«Un giorno o l’altro» disse Lamia, il cui respiro non si trasformava in vapore. «È molto gentile da parte vostra farmi venire con voi.»
«È il minimo che possiamo fare.»
Davanti a loro Porta e Hunter svoltarono seguendo una curva e le persero di vista.
«Guarda,» disse Richard «ci stando distanziando. È meglio che ci affrettiamo.»
«Lasciamole andare» disse dolcemente Lamia. «Poi le raggiungiamo.»
Richard provava la strana sensazione di quando, da adolescenti, si va al cinema con una ragazza. O meglio, era come quando si torna a casa dopo, e si indugia dietro a un cartellone pubblicitario o accanto a un muro per carpire un bacio, un frettoloso annaspare di pelle e un groviglio di lingue, per poi mettersi a correre per raggiungere i tuoi compagni e le sue amiche.
Lamia gli fece scorrere un dito gelido lungo la guancia.
«Sei cosi caldo» gli disse con ammirazione. «Deve essere meraviglioso avere tanto calore.»
Richard tentò di apparire modesto. «In realtà, non è una cosa a cui penso molto» ammise.
Sopra di loro, lontano, udi il suono metallico della porta dell’ascensore che sbatteva.
Lamia lo guardava, con aria dolce e supplichevole. «Mi daresti un po’ del tuo calore, Richard?» chiese. «Sono cosi fredda.»
Richard era in dubbio se baciarla oppure no. «Cosa? Io…»
Lei pareva delusa. «Non ti piaccio?» domandò. Lui sperava follemente di non avere urtato i suoi sentimenti.
«Certo che mi piaci» si senti dire. «Sei molto carina.»
«E tu non lo stai usando tutto, il tuo calore, vero?» sottolineò, in modo assolutamente ragionevole.
«Suppongo di no…»
«E hai detto che mi avresti pagata per farvi da guida. E questo è quello che voglio come compenso. Calore. Posso averne un po’?»
Tutto quello che voleva. Tutto. Il caprifoglio e il mughetto lo avvolsero, e i suoi occhi non videro altro che una pelle pallida e scure labbra color prugna, e capelli color dell’ebano. Annuì.
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