Old Bailey annui vigorosamente tra sé. Assicurò un pezzo di fune al telaio della carrozzina e si arrampicò sul muro; poi, brontolando e imprecando al cielo, sollevò il Marchese fino in cima.
Slegò il corpo dal telaio della carrozzina e lo sdraiò gentilmente sulla schiena, le braccia lungo i fianchi. Alcune delle ferite grondavano ancora. Era proprio molto morto.
«Stupido briccone» sussurrò Old Bailey. «Perché diavolo hai voluto farti ammazzare, eh?»
Nella fredda notte la luna era luminosa, piccola e alta, e le costellazioni autunnali punteggiavano il ciclo nero e blu come polvere di diamanti frantumati.
Un usignolo svolazzò sul muro, esaminò il cadavere del Marchese de Carabas e cinguettò dolcemente.
«Fatti i becchi tuoi» disse in modo sgarbato Old Bailey. «E comunque nemmeno voi uccelli profumate come dannate rose.»
Gli cinguettò melodiose oscenità da usignolo e se ne volò via nella notte.
Old Bailey mise la mano in tasca e estrasse il ratto nero, che ne aveva approfittato per farsi una dormita. Si guardò intorno insonnolito, poi sbadigliò, mostrando una vasta distesa di lingua di ratto. «Personalmente» confessò Old Bailey al ratto nero «sarei felicissimo di non annusare mai più niente.»
Lo posò sulle pietre delle mura di Londra e il ratto gli squitti qualcosa. Old Bailey sospirò. Con molta attenzione si tolse di tasca la scatola d’argento e, da una tasca interna, recuperò il forchettone da barbecue.
Piazzò la scatola d’argento sul petto di de Carabas.
Poi, nervosamente, allungò il forchettone e con esso ne sollevò il coperchio. Dentro c’era un uovo di anatra, che alla luce della luna appariva di un pallido verde-azzurro. Old Bailey alzò il forchettone, strizzò gli occhi e fracassò l’uovo.
Ci fu un «pop» e un’implosione.
Per un attimo l’immobilità fu totale, poi iniziò il vento. Non aveva direzione, ma sembrava provenire da ogni dove, un’improvvisa e vorticosa burrasca. Foglie secche, pagine di giornale, tutti i detriti della città vennero sollevati da terra e trasportati nell’aria.
Il vento lambiva la superficie del Tamigi e portava in aria l’acqua gelida, creando uno spruzzo sottile e dinamico.
Era un vento pazzo, un vento pericoloso e folle. I proprietari dei banchi sul ponte della Belfast lo maledirono e afferrarono le loro cose per impedire che volassero via.
Poi, quando pareva che il vento dovesse diventare cosi forte da soffiare via il mondo e le stelle e da mandare le persone a ruzzolare nell’aria come tante foglie secche autunnali…
Proprio allora…
… Si fermò. E le foglie, la carta, le buste di plastica della spesa precipitarono sulla terra, sulla strada e sull’acqua.
In alto, sui resti delle mura di Londra, il silenzio che aveva fatto seguito al vento era, a suo modo, fragoroso quanto il vento stesso.
Fu rotto da un colpo di tosse; una tosse orribile e bagnata.
A ciò segui il rumore di qualcuno che si gira in modo goffo, poi quello di qualcuno che dà terribilmente e oscenamente di stomaco.
Il Marchese de Carabas vomitava acqua di fogna su una parete delle mura di Londra, macchiando le pietre grige di schifezza marrone. Ci volle parecchio tempo per liberare il suo corpo dall’acqua.
Quindi disse, con una voce che era poco più di uno stridulo sussurro, «Credo mi abbiano tagliato la gola. Hai niente con cui bendarla?»
Old Bailey si frugò nelle tasche e tirò fuori un sudicio pezzo di stoffa. Lo diede al Marchese, che se lo avvolse intorno alla gola, girandolo diverse volte per poi legarlo stretto. Old Bailey si trovò a ricordare, in modo incongruo, gli avvolgenti colli alti alla Beau Brummel dei dandy della Reggenza.
«Niente da bere?» gracchiò il Marchese.
Old Bailey fece apparire la fiaschetta, svitò il tappo e gliela passò, e lui ne tracannò una sorsata, poi trasalì per il dolore e tossì debolmente.
Il ratto nero, che aveva osservato il tutto con interesse, cominciò a scendere dal frammento di muro. L’avrebbe riferito ai Dorati: ogni favore era stato contraccambiato, ogni debito ripagato.
Il Marchese restituì la fiaschetta a Old Bailey, che la rimise via. «Come ti senti?» chiese.
«Mi sono sentito meglio.»
Il Marchese si mise a sedere, tremando. Gli colava il naso, e gli occhi sbattevano in continuazione. Fissava il mondo come se lo vedesse per la prima volta.
«Perché sei dovuto andare a farti ammazzare, ecco, è questo che vorrei sapere» chiese Old Bailey.
«Informazioni» bisbigliò il Marchese. «La gente ti racconta molto di più sapendo che dopo poco sarai morto. E continua a parlare in tua presenza, quando lo sei.»
«Allora hai scoperto quello che volevi sapere?»
Il Marchese si tastò le ferite sulle braccia e sulle gambe. «Oh, si. Quasi tutto. Adesso ho ben più che una vaga idea riguardo a ciò di cui veramente si tratta.» Quindi chiuse di nuovo gli occhi e si avvolse le braccia intorno al corpo, oscillando, lentamente, avanti e indietro.
«Allora, com’è?» domandò Old Bailey. «Essere morto…»
Il Marchese sospirò. Poi sorrise, debolmente, e con un lampo del suo vecchio io replicò, «Vivi abbastanza a lungo, Old Bailey, e lo scoprirai da solo!»
Old Bailey pareva deluso. «Bastardo. Dopo tutto quello che ho fatto per farti tornare da quella spaventosa meta da cui non c’è ritorno. Be’, da cui di solito non c’è ritorno.»
Il Marchese de Carabas alzò lo sguardo verso di lui. Alla luce della luna, i suoi occhi erano bianchi. E sussurrò, «Com’è essere morto? È molto freddo, amico mio. Molto buio e molto freddo.»
Porta teneva in mano una catena. Vi era appesa la chiave, rossa e arancione alla luce del braciere di Fabbroferraio. Sorrise.
«Ottimo lavoro, Fabbroferraio.»
«Grazie, signora.»
Si mise la catena al collo e nascose la chiave sotto i molti strati di abiti. «Cosa vorresti in cambio?»
Il fabbro pareva in imbarazzo. «Non voglio certo approfittare della tua natura cortese…» bofonchiò.
Porta fece la faccia che significa «coraggio, continua.» Lui si chinò e da sotto una pila di attrezzi trasse una scatola nera. Era fatta di legno, con intarsi di vetro e rame, e aveva le dimensioni di un buon dizionario. La girò e rigirò tra le mani. «È una scatola-rompicapo» spiegò. «L’ho avuta in cambio di alcuni lavoretti che ho eseguito una manciata di anni fa. Non riesco ad aprirla, anche se ci ho provato tantissime volte.»
«Passamela.»
Porta prese la scatola e fece scorrere le dita sulla superficie. «Non mi sorprende che tu non sia riuscito ad aprirla. Il meccanismo è inceppato. Si è fuso, bloccandosi.»
Fabbroferraio sembrava triste. «Allora non scoprirò mai cosa c’è dentro.»
Porta assunse un’espressione divertita. Con le dita esplorò la superficie della scatola. Da un lato usci una bacchetta, che lei spinse di nuovo in dentro per metà, poi girò. Dall’interno si udi un clunk e sul lato si apri uno sportellino.
«Ecco» disse Porta.
«Mia signora» disse Fabbroferraio. Le prese la scatola e spalancò lo sportellino. All’interno c’era un cassetto, e lo apri.
Il piccolo rospo nel cassetto gracidò e si guardò intorno senza alcuna curiosità. Fabbroferraio fece la faccia lunga. «Speravo ci fossero perle e diamanti» disse.
Porta allungò la mano e accarezzò la testa del rospo.
«Ha dei begli occhi» disse. «Tienilo, Fabbroferraio. Ti porterà fortuna. E grazie ancora. So di poter contare sulla tua discrezione.»
«Puoi contare su di me, signora» disse in tutta sincerità Fabbroferraio.
Sedevano insieme in cima alle mura di Londra, senza parlare. Lentamente Old Bailey fece scendere le ruote della carrozzina sul terreno sottostante.
«Dov’è il mercato?» domandò il Marchese.
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