George Martin - Tempesta di spade. I fiume della guerra. I portale delle tenebre.
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- Название:Tempesta di spade. I fiume della guerra. I portale delle tenebre.
- Автор:
- Издательство:Mondadori
- Жанр:
- Год:2002
- Город:Milano
- ISBN:88-04-50359-9
- Рейтинг книги:3 / 5. Голосов: 1
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«Sì» singhiozzò Sansa.
«Non la voglio più qui:» Lacrime scintillavano negli occhi di Lysa. «Perché l’hai portata nella Valle, Petyr? Questo non è il suo posto.»
«Vorrà dire che la manderemo via. Ad Approdo del Re, se lo desideri.» Ditocorto fece un passo verso di loro. «Adesso lasciala andare. Lascia che si allontani da quella porta.»
« No! » Lysa diede un altro strattone alla testa di Sansa. La neve continuava a vorticare su di loro, flagellando le loro sottane facendole schioccare come vessilli. «Tu non puoi desiderarla, Petyr. Non puoi! È solo una stupida ragazzina. Non potrà mai amarti come ti amo io, Petyr! Come ti ho sempre amato. E te ne ho data prova, non è vero? Non è vero ?» Le lacrime rigavano il suo volto grassoccio e congestionato. «Io ti ho fatto dono della mia verginità. Ti avrei anche dato un figlio. Ma loro lo hanno avvelenato con il tansy , il tè della luna… Sì, gelsomino, menta e legno dei vermi, un cucchiaio di miele e una goccia di ombra della sera. Non sono stata io, non potevo saperlo, ho solo bevuto quello che il lord mio padre mi diede…»
«Tutto questo ormai è passato, Lysa. Lord Hoster Tully è morto. Anche il suo vecchio maestro è morto.» Ditocorto si avvicinò un po’ di più. «Hai di nuovo bevuto troppo vino? Sai che non dovresti dire certe cose. Noi… non vogliamo che Alayne sappia più del necessario, vero? E nemmeno Marillion.»
Lady Lysa ignorò queste parole. «Cat non ti ha mai dato niente. Sono stata io a farti avere il tuo primo incarico, sono stata io a indurre Jon a portarti a corte, perché tu e io potessimo stare vicini. Tu mi hai promesso di non dimenticarlo mai.»
«E non l’ho mai dimenticato. Siamo insieme, proprio come tu hai sempre desiderato. Ora però lascia andare i capelli di Sansa…»
«No, invece! Vi ho visto, nella neve, che vi baciavate. Lei è proprio come sua madre. Catelyn ti baciò nel parco degli dèi, però lei non ti ha mai voluto. Come hai potuto amarla? Ero io che ti amavo davvero… ero iooooooooo !»
«Lo so, amore mio.» Ditocorto fece un altro passo avanti. «E adesso sono qui. Tutto quello che devi fare è prendere la mia mano.» Allungò la mano verso di lei. «Non c’è ragione di versare tutte queste lacrime.»
«Lacrime, lacrime, lacrime. » Lysa singhiozzava istericamente. «Non c’è ragione di versare lacrime… ma non è questo che mi dicesti ad Approdo del Re. Le lacrime… le lacrime di Lys… Mi hai detto tu di versarle nel vino di Jon Arryn. E io ti ho obbedito! Ho ucciso il lord mio marito… per il mio piccolo Robert. E per noi due! E poi ho scritto a Catelyn. Le ho scritto che erano stati i Lannister, proprio come tu mi avevi detto di fare. Che mossa astuta… sei sempre stato astuto, tu. Lo dissi subito al lord mio padre. È così astuto Petyr, salirà in alto, molto in alto , ed è dolce e gentile e io porto il suo bimbo nel ventre… Perché l’hai baciata? Perché? Noi adesso siamo insieme. Insieme dopo tutto questo tempo, dopo tutto questo tempo… perché hai baciato leiii? »
«Lysa, Lysa» Petyr scosse la testa sospirando. «Dopo tutte le tempeste che abbiamo affrontato, come fai a non fidarti ancora di me? Te lo giuro, adorata Lysa, io non mi separerò mai da te, fino a quando tutti e due avremo vita.»
«Davvero?» Lysa continuava a piangere. «Lo dici davvero ?»
«Sì, davvero. Adesso lascia andare la ragazza e vieni a darmi un bacio.»
Singhiozzando, Lysa si gettò tra le braccia di Ditocorto. Mentre si stringevano l’uno all’altra, Sansa strisciò carponi lontano dalla Porta della luna e avvolse le braccia attorno alla colonna più vicina. Sentiva il cuore che le martellava nel petto. Aveva neve nei capelli. Era senza la scarpa destra. “Deve essere caduta.” Rabbrividì, stringendosi alla colonna con maggior forza.
Per qualche minuto, Ditocorto lasciò che Lysa si sfogasse sul suo petto, poi appoggiò le mani sulle sue braccia e la baciò piano. «Mia dolce sciocca moglie gelosa» disse, con un sogghigno. «Io amo una donna sola, te lo giuro.»
Lysa Arryn tentò un sorriso tremulo. «Una donna sola? Oh, Petyr, me lo giuri? Una soltanto?»
«Solo Catelyn.»
Petyr Baelish le diede uno spintone, forte, definitivo.
Lysa Arryn barcollò all’indietro, i piedi scivolarono sul marmo bagnato, fino alla soglia. Oltre la soglia. E poi Lysa Arryn non ci fu più. Svanita. Inghiottita. Non aveva lanciato neppure un grido. Per un tempo lunghissimo l’unico suono fu l’ululare del vento.
Marillion era rimasto senza fiato. «Tu… tu l’hai…»
Le guardie continuavano a bussare con le picche contro la porta della sala Alta.
Lord Petyr aiutò Sansa ad alzarsi in piedi. «Sei ferita?»
Sansa scosse la testa.
«Allora corri. Fa’ entrare le mie guardie. Presto, non c’è tempo da perdere.» Guardò Marillion. «Questo cantastorie ha assassinato la lady mia moglie.»
EPILOGO
La strada che saliva verso Vecchie Pietre si inerpicava girando per due volte attorno alla collina prima di raggiungere la sommità. Disseminata di rocce, invasa dalle erbacce, era un cammino lento perfino nella stagione migliore. La nevicata della notte precedente aveva reso il sentiero ancora più impervio a causa del fango.
“Neve d’autunno nelle terre dei fiumi. Non è normale” pensò tetramente Merrett Frey. La nevicata non era stata pesante, aveva appena ammantato il suolo di bianco. E aveva cominciato a sciogliersi nel momento in cui era apparso il sole. Eppure, Merrett lo interpretò come un cattivo presagio. Tra piogge, inondazioni, incendi e guerre, avevano già perso due interi raccolti e buona parte del terzo. Nelle terre dei fiumi, un inverno precoce avrebbe significato la carestia. Tantissima gente sarebbe stata costretta a patire la fame, e molti sarebbero morti. Merrett poteva solo sperare di non essere uno di loro. “Però potrei. Considerando la mia fortuna, potrei morire di fame anch’io. Non ho mai avuto fortuna.”
Al di sotto delle rovine incombenti del castello, la foresta che copriva le pendici della collina era così fitta da poter celare un’intera torma di fuorilegge in agguato. “Forse mi stanno tenendo d’occhio già adesso.” Merrett si guardò attorno. Là fuori c’erano solo cespugli di ginestre, felci e cardi, lanciati all’assedio degli alberi-sentinella di colore grigioverde. In altri punti, olmi scheletrici, pallidi lecci e querce nane si abbarbicavano al terreno come viticci deformi. Non vide nessun fuorilegge, ma questo non significava nulla. I fuorilegge erano molto più abili a nascondersi degli uomini onesti.
Merrett odiava le foreste. E odiava ancora di più i fuorilegge. «I fuorilegge mi hanno rubato la vita» era solito lamentarsi dopo qualche coppa di vino di troppo. E lui mandava giù anche troppe coppe di vino di troppo, diceva suo padre. Lo diceva spesso e a gran voce. “Maledettamente vero” fu costretto ad ammettere con se stesso. Un uomo doveva trovare un modo per distinguersi, alle Torri Gemelle, altrimenti tutti si sarebbero dimenticati che esisteva. Ma Merrett scoprì che la reputazione di più accanito bevitore del castello non aveva contribuito molto a migliorare le sue prospettive. “Un tempo speravo di diventare il più grande cavaliere che avesse mai impugnato una lancia. Gli dèi mi hanno privato di quel sogno. Perché non dovrei buttare giù una coppa di rosso, di quando in quando? Il vino mi fa passare quei dannati mal di testa. E poi, mia moglie è una megera, mio padre mi disprezza e i miei figli non valgono niente. Restare sobrio? Per quale motivo?”
Adesso però era sobrio. D’accordo, si era fatto un paio di boccali di birra al malto a colazione. E anche una piccola coppa di rosso poco prima di mettersi in marcia, ma solo per fare cessare il rullo di tamburi nei timpani. Merrett aveva percepito le prime avvisaglie di un ennesimo mal di testa in agguato appena dietro gli occhi. E sapeva che se gli avesse dato anche solo una piccola possibilità di crescere, presto nel cranio gli si sarebbe scatenato un furibondo temporale a base di tuoni, fulmini e saette. Certe volte, quei mal di testa diventavano così acuti che perfino piangere era una sofferenza. A quel punto, l’unica cosa che poteva fare era restare sdraiato a letto in una stanza buia, con una pezza umida sugli occhi, maledicendo la propria sorte e maledicendo ancora di più il fuorilegge senza nome che gliel’aveva imposta come condanna senza appello.
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