Ser Kevan fece quanto gli era stato chiesto. Lord Tywin dispiegò il rotolo di cuoio, spianandone gli angoli. «La sconfitta di Jaime ci ha messi in una pessima situazione. Roose Bolton e i resti del suo esercito si trovano a nord rispetto a noi. I nostri nemici tengono le Torri Gemelle e il Moat Cailin. A ovest, c’è Robb Stark. A meno di non dare battaglia, non possiamo ritirarci né verso Lannisport né verso Castel Granito. Jaime è prigioniero e, a ogni effetto, il suo esercito ha cessato di esistere. Thoros di Myr e Beric Dondarrion continuano ad assaltare i nostri rifornimenti. A est abbiamo gli Arryn, e più oltre, Stannis Baratheon asserragliato sulla Roccia del Drago. Infine, a sud, Alto Giardino e Capo Tempesta chiamano a raccolta i vessilli di guerra.»
«In alto i cuori, padre.» Tyrion sorrise ironico. «Per lo meno, Rhaegar Targaryen rimane morto e sepolto.»
Lord Tywin Lannister rispose: «Mi auguravo che tu avessi qualcosa di più delle battute da offrire».
Ser Kevan si protese sulla mappa, la fronte aggrottata. «Robb Stark adesso avrà dalla sua Edmure Tully e tutti i lord del Tridente. Le loro forze combinate potrebbero essere superiori alle nostre. E con Roose Bolton alle spalle… Tywin, se rimaniamo qui, corriamo il rischio di venire intrappolati in mezzo a tre armate.»
«Non ho la minima intenzione di rimanere qui. Dobbiamo chiudere la partita con il giovane lord Stark prima che Renly Baratheon marci contro di noi da Alto Giardino. Roose Bolton non mi preoccupa. È un uomo cauto, e dopo la Forca Verde l’abbiamo reso anche più cauto. Sarà lento nell’inseguirci. Ci muoveremo all’alba, verso Harrenhal. Kevan, voglio che gli esploratori di ser Addam mascherino i nostri movimenti. Dagli quanti uomini gli servono, e mandali fuori in gruppi di quattro. E che non svaniscano nel nulla!»
«Come tu comandi, mio signore, ma… perché Harrenhal? È un luogo tetro, lugubre. Molti sostengono che è maledetto.»
«Che sostengano quello che vogliono» disse lord Tywin. «Togli la catena a ser Gregor e mandalo davanti a noi con i suoi predoni. Manda avanti anche Vargo Hoat con i suoi mercenari, e ser Amory Lorch. Che ognuno di loro abbia trecento uomini a cavallo. Di’ loro che voglio vedere la regione dei fiumi messa a ferro e fuoco dall’Occhio degli Dei fino alla Forca Rossa.»
«Avrai terra bruciata, mio signore» disse ser Kevan alzandosi. «Vado a dare gli ordini.» S’inchinò e si diresse alla porta.
Lord Tywin attese che fossero soli prima di guardare Tyrion. «Ai tuoi selvaggi un po’ di saccheggio non dovrebbe dispiacere. Di’ loro che possono cavalcare con Vargo Hoat e saccheggiare a loro piacimento: cose, donne, bestiame, raccolti. Che prendano quello che vogliono e che brucino il resto.»
«Dire a Shagga e a Timett di saccheggiare e devastare è come dire a un gallo di cantare» commentò Tyrion. «Però io preferirei tenerli con me.» Per quanto rozzi e indisciplinati, i barbari appartenevano a lui e si fidava più di loro che di tutti gli uomini di suo padre. Non se ne sarebbe privato.
«In tal caso, farai meglio a controllarli. Non permetterò che la città venga saccheggiata.»
«La città?» Tyrion non capiva. «Quale città?»
«Approdo del Re. Ti mando a corte.»
Era l’ultima delle decisioni che Tyrion Lannister avrebbe potuto prevedere. Sollevò la coppa e bevve un sorso, riflettendo. «E cosa ci andrei a fare, a corte?»
«A governare» dichiarò seccamente suo padre.
Tyrion si piegò in due dalle risate. «La mia dolce sorella potrebbe avere un paio di commenti da fare!»
«Che faccia tutti i commenti che crede. A suo figlio vanno messe le briglie sul collo prima che ci porti tutti alla rovina. Sono quei damerini del Concilio ristretto che io biasimo: il nostro amico Petyr Baelish e quella meraviglia senza palle di Varys. Che genere di consigli stanno dando a Joffrey, se lui passa da un atto delirante all’altro? E concedere a Janos Slynt il titolo di lord, poi… Che farneticazione è stata quella? Suo padre faceva il macellaio, e loro gli assegnano Harrenhal. Harrenhal, sede di re! Che mai lui ci metta piede, questo io dico. Mi è stato riferito che ha scelto come proprio emblema la picca insanguinata. La mannaia insanguinata da macellaio sarebbe stata ben più adatta.» Lord Tywin non aveva alzato la voce, ma nel suo sguardo dorato Tyrion vide lampi d’ira. «E poi destituire ser Barristan Selmy. Che senso aveva? D’accordo, era avanti nell’età, ma il nome Barristan il Valoroso continua a significare molto nel reame. Ha reso onore a tutti i sovrani che ha servito. C’è qualcuno che può dire lo stesso del Mastino? Un cane lo premi gettandogli ossa sotto la tavola, non facendolo sedere al tuo fianco nel concilio.» Puntò l’indice in faccia a Tyrion. «Se Cersei non riesce a tenere in pugno il ragazzo, devi farlo tu. E se quei consiglieri ci imbrogliano…»
Tyrion lo sapeva. «Picche» sospirò. «Mura. Teste mozzate.»
«Lieto di constatare di essere riuscito a insegnarti qualcosa.»
«Più di quanto tu immagini, padre.» Con calma, finì il vino e posò la coppa, immerso nei pensieri. Una parte della sua mente era più compiaciuta di quanto volesse ammettere. Un’altra parte continuava a ricordare la battaglia lungo il fiume, e a domandarsi se lo stava inviando di nuovo a tenere il fianco sinistro. «Perché io?» Il Folletto inclinò il capo. «Perché non mio zio? Oppure ser Addam, ser Flement, lord Serrett? Perché non un uomo… più grande?»
Lord Tywin si alzò di scatto. «Sei mio figlio.»
Fu allora che capì. “Tu dai già mio fratello per spacciato” pensò. “Fottuto bastardo! Pensi che Jaime è finito e tutto quello che ti resta sono io!” Avrebbe voluto prenderlo a schiaffi e sputargli in faccia, estrarre la daga e strappargli il cuore dal petto per vedere se, come dicevano i plebei, era davvero d’oro massiccio. Invece rimase seduto immobile, silenzioso.
Lord Tywin attraversò la stanza e le schegge della coppa frantumata scricchiolarono sotto i suoi stivali. «Un’ultima cosa.» Si fermò sulla soglia. «Non portarla a corte, la tua puttana.»
Dopo che suo padre se ne fu andato, Tyrion rimase per molto tempo nella vasta sala. Alla fine, si decise a salire gli scalini che conducevano al piccolo alloggio sotto la torre della campana. Era un locale confortevole ma dal soffitto basso. Per un nano, non si trattava certo di un problema. Dalla finestra, era visibile la forca che suo padre aveva fatto erigere nel cortile. Il cadavere della locandiera oscillava lugubre nel vento notturno. La sua carne si era essiccata e decomposta come le speranze dei Lannister.
Tyrion sedette sul bordo del materasso imbottito di piume. Shae mormorò qualcosa e si girò verso di lui. Tyrion fece scivolare una mano sotto le coperte e le accarezzò un seno. Gli occhi di lei si aprirono. «Mio signore» disse con un sorriso intontito.
Tyrion sentì il capezzolo inturgidirsi e la baciò.
«Ho una mezza idea di portarti con me ad Approdo del Re, dolcezza» le sussurrò.
Jon Snow strinse il sottopancia della sella e la purosangue sussultò, lasciandosi sfuggire un debole nitrito. «Buona» disse calmandola con una carezza. Il vento mormorava nella stalla, simile a un respiro gelido sul suo volto, ma Jon non vi fece caso. Legò alla sella il materassino arrotolato con dita ancora rigide, impacciate. «Spettro» chiamò a bassa voce. «Qui.» Il meta-lupo fu al suo fianco, gli occhi simili a braci.
«Jon, ti prego, non farlo.»
Lui montò, redini in pugno, e fece voltare il cavallo verso la notte. Samwell Tarly era sulla porta della stalla, immobile contro il disco della luna piena. La sua ombra, nera e immensa, si proiettava al suolo simile a quella di un gigante.
«Togliti, Sam.»
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