«Fagliene un’altra» implorò Dany. «Questa volta, farò in modo che non se la tolga.»
«Troppo tardi, mia signora» dichiarò Mirri. «L’unica cosa che posso fare per lui è agevolare il suo cammino lungo la strada del buio in modo che possa cavalcare senza dolore fino alle regioni della notte. Sarà andato prima dell’alba.»
Quelle parole furono per Dany come una lama conficcata nel cuore. Di che cosa mai si era macchiata perché gli dei dovessero essere tanto crudeli? Finalmente aveva trovato un luogo sicuro, aveva conosciuto la speranza, l’amore. Finalmente, stava tornando a casa. E adesso, perdere tutto… «No… Salvalo! E io ti ridarò la libertà, te lo giuro. Tu devi conoscere un modo… una qualche magia…»
Mirri Maz Duur si sedette sui talloni e studiò Daenerys con occhi neri come la notte. «Esiste un incantesimo.» La sua voce era poco più che un sussurro. «Ma è una cosa violenta, mia signora, una cosa oscura. C’è chi dice che, al suo confronto, la morte sia preferibile. La imparai ad Asshai, una lezione che pagai a caro prezzo. Il mio maestro era uno stregone di sangue della Terra delle Ombre.»
«Ma allora tu…» Daenerys si sentì raggelare. «Tu sei veramente una maegi.»
«Lo sono?» Mirri Maz Duur sorrise. «Ora soltanto una maegi può salvare il tuo guerriero, signora d’argento.»
«Non c’è altra via?»
«Nessun’altra.»
Khal Drogo sussultò, rantolò.
«Fallo» decise Daenerys. Non doveva avere paura: lei era il sangue del drago. «Salvalo.»
«C’è un prezzo» l’avvertì la sacerdotessa.
«Ti darò oro, cavalli, qualsiasi cosa tu voglia.»
«Oro e cavalli non contano nulla. Questa è magia di sangue, signora. Solo la morte può ripagare per la vita.»
«La morte?» Daenerys chiuse protettivamente le braccia attorno al proprio corpo. «La mia morte?» Se per lui avesse dovuto morire, l’avrebbe fatto. Era il sangue del drago. Non conosceva la paura. Suo fratello Rhaegar era morto per la donna che amava.
«No, khaleesi» promise Mirri Maz Duur. «Non la tua morte.»
Dany ebbe un tremito si sollievo. «Fallo.»
«Come tu desideri, così sarà fatto» rispose con solennità la maegi. «Chiama i tuoi servi.»
«No…» Khal Drogo si agitò debolmente quando venne immerso nel bagno da Rakharo e Quaro. «No… devo… cavalcare…»
Una volta scivolato nell’abbraccio dell’acqua, le ultime energie parvero abbandonarlo.
«Portate il suo cavallo» ordinò Mirri Maz Duur. Jhogo condusse il grande stallone rosso nella tenda. L’animale percepì il lezzo della morte e si agitò, arretrò, roteò gli occhi. Ci vollero tre uomini per tenerlo fermo.
«Che intendi fare?» chiese Daenerys.
«Abbiamo bisogno del sangue» rispose la maegi. «È questo il modo.»
Jhogo si ritrasse, la mano stretta attorno all’araldi. Era un giovane di sedici anni, asciutto come una frusta, senza paura, sempre pronto alla risata, con l’ombra di esili baffi sul labbro superiore. «Khaleesi… No!» Cadde in ginocchio davanti a Daenerys. «Non fare questa cosa. Lascia che uccida questa maegi.»
«Uccidi lei e ucciderai anche il tuo khal.»
«È magia di sangue» insisté Jhogo. «È cosa proibita.»
«Io sono khaleesi. E io dico che non è cosa proibita. A Vaes Dofhrak, per dare a nostro figlio il valore e il coraggio, khal Drogo ha ucciso uno stallone e io ne ho divorato il cuore. Questa è la stessa cosa. La stessa cosa!»
Lo stallone scalciò e indietreggiò, Rakharo, Quaro e Aggo lo trascinarono a forza verso la vasca dove il khal fluttuava come un morto, mentre sangue nero e pus continuavano a sgorgare dalla ferita, intorbidando l’acqua.
Mirri Maz Duur elevò un canto in un linguaggio sconosciuto e nella sua mano apparve un coltello. Daenerys non aveva idea da dove venisse. Era antico, di bronzo rosso, a forma di foglia, la lama istoriata di glifi ancestrali. La maegi lo passò in un arco sulla gola dello stallone, sotto la nobile testa. Il cavallo nitrì, scalciò mentre il sangue sgorgava in una cascata scarlatta. Si sarebbe abbattuto se i guerrieri del khas non l’avessero sorretto. «Forza del destriero, va’ nel cavaliere» invocava Mirri Maz Duur, e intanto il sangue del cavallo turbinava nell’acqua attorno a Drogo. «Forza della bestia, va’ nell’uomo.»
C’era un’espressione terrorizzata sul volto di Jhogo, i muscoli tesi allo spasimo per tenere in piedi l’animale in agonia. Aveva paura a toccare quella carne morente, ma aveva anche paura a lasciarla andare.
“Soltanto un cavallo” pensò Dany. Se la morte di un cavallo avesse potuto ridare la vita al suo uomo, lei avrebbe pagato quel prezzo mille e mille volte.
Quando lasciarono andare lo stallone, khal Drogo era immerso in un bagno di sangue. Di lui, solo il volto rimaneva visibile al disopra della superficie rosso cupo. Mirri Maz Duur non avrebbe fatto alcun uso del cadavere del cavallo. «Bruciatelo» ordinò Daenerys. Sapeva che l’avrebbero fatto. Quando un Dothraki moriva, il suo cavallo veniva ucciso e collocato sotto di lui sulla pira funeraria, in modo da trasportarlo nelle regioni della notte. I guerrieri del khas trascinarono la carcassa fuori della tenda. Il sangue era schizzato da tutte le parti. I teli di seta delle pareti ne erano lordati, i tappeti al suolo neri, fradici.
Vennero accesi dei bracieri. Mirri Maz Duur gettò sui carboni ardenti una polvere rossa e da essi si levarono vapori opachi, saturi di un odore speziato, non sgradevole, eppure Eroeh fuggì via in lacrime e Daenerys si sentì percorrere da una nuova ondata di paura. Ma ormai, si era spinta troppo lontano per tornare indietro. Allontanò anche le altre ancelle. «Va’ con loro, signora d’argento» la esortò Mirri Maz Duur.
«Io rimango. Quest’uomo mi ha posseduta sotto le stelle e mi ha dato un figlio. Non ho intenzione di lasciarlo.»
«Devi. Nel momento in cui darò inizio al canto magico, nessuno potrà entrare nella tenda. Il canto risveglierà poteri antichi e oscuri. Questa notte, in questo luogo, i morti danzeranno. A nessun uomo vivente è permesso vederli.»
Daenerys chinò il capo. «Nessuno entrerà.»
Si chinò sulla vasca piena di sangue e depose un lieve bacio sulla fronte di Drogo. Poi si diresse all’uscita con un ultimo sussurro: «Mirri Maz Duur, riportalo a me».
Il sole era basso sull’orizzonte in un cielo di un rosso livido. Il khalasar si era accampato. Tende e stuoie per dormire si dilatavano a perdita d’occhio. Soffiava un vento caldo. Jhogo e Aggo erano intenti a scavare una fossa nella quale cremare il corpo dello stallone. Daenerys si trovò di fronte una folla silenziosa, tanti occhi neri che la scrutavano in volti simili a maschere di rame.
C’era anche ser Jorah Mormont, tunica di cuoio e maglia di ferro, l’ampia fronte madida di sudore. Nel vedere le impronte insanguinate che Dany si era lasciata dietro allontanandosi dalla tenda, il cavaliere divenne terreo. «Piccola sciocca, che hai fatto?» disse con voce rauca per la tensione.
«Dovevo salvarlo.»
«Avremmo potuto fuggire. Ti avrei portata in salvo ad Asshai, principessa. Non c’era bisogno di…»
«Sono veramente la tua principessa?»
«Conosci la risposta. Che gli dei possano risparmiarci, tutti e due.»
«Allora aiutami adesso.»
Il volto di ser Jorah si contrasse. «Se solo sapessi come.»
Nell’aria torrida, si levò il canto magico di Mirri Maz Duur, un lamento alto, modulato, che mandò una corrente glaciale lungo la schiena di Dany. Parecchi Dothraki borbottarono qualcosa a denti stretti e cominciarono ad arretrare. L’interno della tenda era pervaso dal chiarore rosso dei bracieri. Attraverso i veli di seta macchiati di sangue, Dany vide muoversi alcune ombre.
La maegi stava danzando, ma non era sola.
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