George Martin - Il trono di spade

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In una terra fuori dal mondo, dove le estati e gli inverni possono durare intere generazioni, sta per esplodere un immane conflitto. Sul Trono di Spade, nel Sud caldo e opulento, siede Robert Baratheon. L’ha conquistato dopo una guerra sanguinosa, togliendolo all’ultimo, folle re della dinastia Targaryen, i signori dei draghi. Ma il suo potere è ora minacciato: all’estremo Nord la Barriera — una muraglia eretta per difendere il regno da animali primordiali e, soprattutto, dagli Estranei — sembra vacillare. Si dice che gli Estranei siano scomparsi da secoli. Ma se è vero, chi sono quegli esseri con gli occhi così innaturalmente azzurri e gelidi, nascosti tra le ombre delle foreste, che rubano la vita o il sonno a chi ha la mala di incontrarli?

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Il nemico arrivò addosso a Tyrion Lannister, e per lui il campo di battaglia si ridusse a pochi piedi attorno al suo cavallo. Un armigero tentò un affondo al petto, ma Tyrion lo deviò mulinando l’ascia. Il soldato arretrò per un secondo tentativo, ma Tyrion diede di speroni e lo schiacciò sotto gli zoccoli. C’erano tre nemici attorno a Bronn: il mercenario decapitò il primo lanciere e aprì in due la faccia di un altro con il fendente di ritorno.

Da sinistra, un giavellotto andò a conficcarsi con un tonfo nello scudo di Tyrion. Il Folletto si girò corse verso il lanciere, ma questi si riparò sotto lo scudo. Tyrion gli girò attorno pestando con l’ascia lo scudo di legno e strappando fontane di schegge a ogni colpo. L’altro barcollò sotto i colpi e cadde sulla schiena, sempre sotto la protezione dello scudo. Era fuori portata della lama dell’ascia e smontare sarebbe stato un problema, perciò lo lasciò lì e corse contro l’avversario successivo. Un unico colpo alla schiena abbatté il fante Karstark. Questo diede a Tyrion un momento di respiro. Fece voltare il cavallo e guardò in direzione del fiume. Adesso il fiume era alla sua destra: nella furia del combattimento, aveva finito col girarsi dalla parte sbagliata.

Un Uomo bruciato lo superò, accasciato sulla sella, il corpo perforato da parte a parte da una lancia. Per lui era finita, ma quando uno del Nord cercò di afferrare le redini del cavallo, Tyrion andò all’attacco.

L’avversario lo affrontò con la spada in pugno. Era alto, snello, protetto da una lunga cotta di maglia e da guanti d’acciaio. Aveva però perduto l’elmo, e il suo volto era coperto dal sangue che colava da una ferita alla fronte. Tyrion mirò alla faccia, ma il guerriero deviò con la spada. «Nano!… Muori!» gridò.

Girò attorno al cavallo e Tyrion lo seguì nel movimento, cercando di colpirlo alla testa, alle spalle. Acciaio cozzò contro acciaio. Tyrion si rese conto che quell’uomo era più rapido e forte di lui. Per i sette inferi, dov’era Bronn? «Muori!» esclamò il guerriero, lanciando un altro brutale attacco.

Tyrion riuscì appena in tempo ad assorbirlo sullo scudo, il cui legno parve scoppiargli in faccia sotto l’impeto dei colpi. Pezzi di quercia si distaccarono, l’intero scudo in frantumi gli venne strappato dal braccio. «Sei finito!» Lo spadaccino si avvicinò, pestò Tyrion alla testa e la lama gli picchiò sulla tempia, contro l’elmo, con tanta forza da lasciarlo rintronato. La lama produsse un orrido suono raschiante quando l’uomo la tirò indietro sogghignando… ma poi il cavallo di Tyrion morse, rapido come una serpe, e strappò metà della faccia dell’uomo fino all’osso. L’uomo urlò. Tyrion gli affondò l’ascia nel cranio, aprendoglielo in due.

«Tu muori» gli disse. E l’altro morì.

Stava liberando l’ascia quando udì un grido: «Eddard!». Qualcuno stava urlando. «Per Eddard e per Grande Inverno!» Il cavaliere gli stava arrivando addosso al galoppo con una mazza ferrata vorticante sopra la testa. Tyrion aprì la bocca per chiamare Bronn, ma i due cavalli da guerra si scontrarono come arieti. La mazza ferrata picchiò e il gomito destro del Folletto esplose in una fiammata di accecante dolore quando i rostri perforarono la sottile protezione. La sua ascia era svanita. Afferrò la spada, ma la mazza vorticava puntando alla sua faccia. Uno schianto da fare rivoltare le viscere e Tyrion cadde. Non ricordò di avere colpito il suolo, ma quando guardò in alto, non vide altro che il cielo. Rotolò sul fianco, cercò di rialzarsi. Un’altra fiammata di dolore lo costrinse a terra, il mondo intero pareva pulsare. Il cavaliere che l’aveva abbattuto portò il proprio cavallo a torreggiare su di lui.

«Tyrion il Folletto» esclamò. «Sei mio. Ti arrendi, Lannister?»

“Mi arrendo!…” pensò Tyrion, ma quelle parole gli rimasero come inchiodate in gola. Emise un suono gutturale, lottò per mettersi in ginocchio, frugò alla ricerca di un’arma: la sua spada, il suo pugnale, qualsiasi arma…

«Ti arrendi?» Il cavaliere torreggiava su di lui dal suo cavallo corazzato. Uomo e animale apparivano immensi. La palla chiodata della mazza roteava in cerchi lenti, pigri. Tyrion aveva le mani intorpidite, la vista offuscata, il fodero vuoto.

«O ti arrendi o muori» avvertì il cavaliere, e la mazza chiodata ruotò più rapida.

Tyrion schizzò in piedi e assestò una testata nel ventre del cavallo. La bestia emise un nitrito orribile e indietreggiò. Cercò di sottrarsi al tremendo dolore, e una calda, repellente cascata di sangue e viscere inondò Tyrion. Il cavallo si abbatté al suolo.

Quando le sensazioni del mondo esterno tornarono ad affluire, Tyrion si rese conto di avere la celata incrostata di fango e qualcosa che gli schiacciava il piede. Riuscì a districarsi, la gola così contratta da riuscire a parlare a stento. «…arrend…» balbettò debolmente.

«Sì» gemette una voce incrinata dalla sofferenza. Tyrion raschiò via il fango dall’elmo e tornò a vedere. Il cavallo era crollato lontano da lui, schiacciando il suo cavaliere. La gamba di quest’ultimo era intrappolata e il braccio che aveva usato per attutire la caduta appariva piegato in un’angolazione grottesca. Il cavaliere del Nord armeggiò con il braccio sano, estrasse la spada e la gettò ai piedi di Tyrion. «Mi arrendo, mio signore.»

Ancora intontito, il Folletto s’inginocchiò per afferrare la spada. Nel movimento, una vampata di dolore gli risalì lungo tutto il braccio. La battaglia sembrava essersi spostata più avanti. Su quel tratto di terreno rimanevano solamente cadaveri, tanti cadaveri. I corvi stavano già calando.

Ser Kevan aveva portato le sue truppe di rinforzo all’avanguardia e l’immane massa di picchieri costringeva i soldati del Nord alla ritirata su per le colline. Combattevano in salita, cozzando contro una barriera di scudi di legno di quercia ovali e muniti di rostri d’acciaio. Mentre Tyrion guardava, dal cielo venne giù una nuova, sibilante ondata di frecce. Gli uomini dietro gli scudi barcollarono e caddero sotto la grandinata. Tyrion si girò verso il suo prigioniero. «Direi che state perdendo, cavaliere.» L’uomo non rispose.

Alle sue spalle ci fu un martellare di zoccoli al galoppo. Tyrion roteò su se stesso, anche se riusciva a malapena a sollevare la spada per il dolore al braccio. Bronn tirò le redini e lo guardò.

«Tanti ringraziamenti per il tuo aiuto» lo rimbeccò il Folletto.

«Sei andato benissimo anche da solo. Peccato che tu ti sia perso il chiodo dell’elmo.»

Tyrion sollevò una mano a tastare la cima dell’elmo. Il chiodo era svanito, spezzato di netto all’innesto. «Non l’ho perso. So esattamente dove l’ho messo. Il mio cavallo, l’hai visto?»

Trovarono il suo cavallo mentre le trombe suonavano di nuovo e la riserva di lord Tywin arrivava lungo la riva del fiume. Tyrion osservò suo padre superarlo al galoppo. Sulla sua tonante scia, il vessillo porpora e oro dei Lannister garriva nel vento. Assieme a lui c’erano cinquecento cavalieri in piena armatura e i raggi del sole scintillavano sulle punte delle loro lance. Sotto la loro carica, i resti dell’esercito Stark si frantumarono come vetro preso a martellate.

Con il gomito che si gonfiava e pulsava entro il bracciale danneggiato, Tyrion non fece neppure il tentativo di unirsi al massacro. Lui e Bronn andarono alla ricerca dei barbari delle montagne. Ne trovarono molti tra i morti. Ulf figlio di Ulmar giaceva in una pozza di sangue che si andava coagulando, il braccio mozzato al gomito. Attorno c’erano i corpi di una dozzina di altri Fratelli della luna. Shagga giaceva sotto un albero, il corpo crivellato di frecce, la testa di Conn in grembo. Tyrion smontò di sella e si avvicinò a loro, certo che fossero entrambi morti, ma gli occhi di Shagga si spalancarono. «Hanno ucciso Conn figlio di Coratt» disse. C’era una sola chiazza rossa sul petto dell’uomo attraente che era stato Conn: il rosso foro della lancia che l’aveva ucciso. Bronn aiutò Shagga a rimettersi in piedi e il gigantesco barbaro sembrò notare solo allora le frecce che gli spuntavano da tutte le parti. Le strappò via una a una, bestemmiando per i buchi nella maglia di ferro e nella tunica di cuoio, gemendo come un bambino per quelle che erano arrivate ad affondare nelle sue carni. Chella figlia di Cheyk arrivò a cavallo che loro stavano ancora strappando frecce. Piena d’orgoglio, sventolò le quattro orecchie che si era conquistata. Trovarono anche Timett, intento a depredare i cadaveri con gli altri Uomini bruciati.

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