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George Martin: Il regno dei lupi

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George Martin Il regno dei lupi
  • Название:
    Il regno dei lupi
  • Автор:
  • Издательство:
    Mondadori
  • Жанр:
  • Год:
    2001
  • Город:
    Milano
  • Язык:
    Итальянский
  • ISBN:
    88-04-49654-1
  • Рейтинг книги:
    3 / 5
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Il regno dei lupi: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel terzo capitolo della saga delle “Cronache del ghiaccio e del fuoco” una rossa cometa apparsa nel cielo dei Sette Regni sembra annunciare tremende sciagure. La lunga estate dell'abbondanza sta per finire, mentre quattro pretendenti, in aperta guerra gli uni contro gli altri, si contendono il Trono di Spade.

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«Tutti? No. Solamente con quelli che hanno accettato di ricevermi. Non amano nemmeno me, quei nobili. Per loro, io sono e sempre resterò il “Cavaliere delle cipolle”.» La mano sinistra di Davos si chiuse, le dita monche serrate a pugno: Stannis gliele aveva mozzate all’ultima falange, tutte tranne il pollice. «Ho condiviso il pane con Gulian Swann e il vecchio Penrose. I Tarth hanno acconsentito a un incontro notturno in una foresta. Quanto agli altri… be’, lord Beric Dondarrion è ancora disperso, c’è chi dice che sia morto. Lord Bryce Caron sta con Renly. Si fa chiamare Bryce l’Arancione, adesso, membro della Guardia dell’arcobaleno.»

«Guardia dell’arcobaleno?»

«Renly ha creato una propria versione della Guardia reale» spiegò il contrabbandiere di un tempo. «La differenza è che questi sette non sono vestiti di bianco. Ciascuno ha un suo colore. Loras Tyrell è il loro lord comandante.»

Era esattamente il genere di stravaganze che piaceva a Renly Baratheon: un nuovo splendido ordine di cavalierato, con paramenti altrettanto splendidi con cui scendere in campo. Sin da ragazzo, Renly aveva amato i colori brillanti e i bei tessuti, così come aveva sempre amato giocare. «Guardatemi!» gridava correndo lungo i corridoi e le sale di Capo Tempesta. «Guardatemi, sono un drago!» o anche: «Guardatemi, sono un mago!» o addirittura: «Guardatemi, guardatemi, sono il dio della pioggia!».

Quell’audace ragazzino dai capelli neri ribelli e dagli occhi ridenti era diventato uomo adesso, nel suo ventunesimo anno, ma non per questo aveva smesso di giocare. “Guardatemi, sono un re” fu il triste pensiero che attraversò la mente di Cressen. “Renly, Renly, caro figlio, ti rendi conto di che cosa stai facendo? E anche se te ne rendessi conto, te ne importerebbe qualcosa? C’è rimasto qualcuno che si preoccupa per te, eccetto me?”

«Che ragioni hanno addotto i lord per il loro rifiuto?» domandò a ser Davos.

«Quanto a quelle, alcuni hanno pronunciato parole delicate, altri parole dure. Altri ancora hanno accampato delle scuse, alcuni promesse, alcuni solo menzogne. Parole…» Davos scrollò le spalle. «Nient’altro che vento.»

«Non gli hai portato alcuna speranza, quindi…»

«Sarebbero solo false speranze» rispose Davos. «E io questo non voglio farlo. Da me, ha avuto la verità.»

Maestro Cressen ricordava bene il giorno in cui Davos era stato creato cavaliere, poco dopo l’assedio di Capo Tempesta. Lord Stannis e una piccola guarnigione avevano resistito nel castello per quasi un anno, combattendo contro gli eserciti congiunti di lord Tyrell e di lord Redwyne. Perfino dal mare erano stati isolati, controllato com’era giorno e notte dalle galee di lord Redwyne che issavano i vessilli color porpora di Arbor. Tra le mura di Capo Tempesta, i cavalli erano stati mangiati da un pezzo, cani e gatti erano scomparsi e la guarnigione ormai era ridotta a cibarsi di radici e di ratti. Poi, in una notte di luna nuova, le stelle nascoste da nubi oscure, Davos il contrabbandiere aveva sfidato, con il favore delle tenebre, il blocco delle ostili navi di Redwyne e le insidiose rocce del golfo dei Naufragi. Il suo piccolo vascello aveva scafo nero, vele nere, remi neri e la stiva strapiena di cipolle e di pesce salato. Poco, certo, eppure sufficiente a mantenere la guarnigione in vita il tempo necessario per permettere a Eddard Stark di raggiungere Capo Tempesta e spezzare l’assedio.

Lord Stannis aveva ricompensato Davos concedendogli buone terre su capo Furore, un piccolo castello e gli onori di cavaliere… ma aveva anche decretato che Davos perdesse una falange di ciascun dito della mano sinistra, come punizione per tutti i suoi anni da contrabbandiere. Davos si era sottomesso, ma solo a condizione che fosse Stannis in persona a impugnare la lama: non avrebbe accettato una simile punizione da mano meno nobile. Il lord aveva usato una mannaia da macellaio, in modo che il taglio fosse preciso e netto. In seguito, per la sua nuova casata Davos aveva scelto il nome Seaworth, Degno del mare. Il suo vessillo era una nave nera su sfondo grigio, con una cipolla sulle vele. Il contrabbandiere di un tempo andava orgoglioso di poter affermare che lord Stannis in fondo gli aveva fatto un piacere: quattro unghie in meno da pulire e da tagliare.

No, capì Cressen, un uomo di siffatto onore non avrebbe avanzato false speranze, né avrebbe cercato di addolcire la verità.

«Ser Davos, la verità può essere un calice amaro dal quale bere, perfino per un uomo come lord Stannis. L’unica cosa a cui pensa è di fare ritorno ad Approdo del Re nel pieno della sua potenza, spazzando via i nemici e reclamando quello che è suo di diritto. Ma adesso…»

«Se porterà questo scarno esercito ad Approdo del Re, sarà solo per essere distrutto. Non ha abbastanza uomini, e io tanto gli ho detto, ma tu conosci il suo orgoglio.» Davos sollevò la mano guantata. «Mi ricresceranno quattro nuove falangi prima che quell’uomo si pieghi alla ragione.»

«Hai fatto tutto ciò che era in tuo potere, Davos» sospirò il vecchio. «Ora, tocca a me aggiungere la mia alla tua voce.»

Maestro Cressen riprese l’estenuante ascesa.

Il rifugio di lord Stannis Baratheon era un’ampia stanza circolare, dalle nude pareti di pietra nera, con quattro alte, strette finestre rivolte ai quattro punti cardinali della bussola. Al centro del salone troneggiava il grande tavolo che gli dava il nome, un blocco massiccio di legno istoriato secondo i dettami di Aegon Targaryen nei giorni che avevano preceduto la Conquista. Il Tavolo Dipinto era lungo oltre cinquanta piedi, largo la metà nel punto più ampio, ma nemmeno quattro piedi in quello più stretto. I carpentieri di Aegon lo avevano conformato a immagine e somiglianza della terra dell’Occidente, intagliando ogni singola baia, affilando ogni singola penisola, fino a eliminare dal contorno del tavolo qualsiasi linearità. Sulla superficie, ormai scurita da oltre trecento anni di verniciature, erano rappresentati i Sette Regni così come erano al tempo di Aegon. Si distinguevano, sul Tavolo Dipinto, fiumi e montagne, castelli e città, laghi e foreste.

C’era un unico scranno nella sala, accuratamente posizionato nel punto preciso che la Roccia del Drago occupava al largo della costa della terra dell’Occidente, in posizione elevata in modo da fornire una visuale completa del piano del tavolo stesso. E, seduto su quello scranno, c’era un uomo che indossava un farsetto di cuoio strettamente allacciato e brache di spessa lana marrone a maglia fitta.

«Sapevo che saresti venuto, vecchio.» L’uomo alzò lo sguardo quando maestro Cressen fece il suo ingresso. «Che io ti avessi fatto chiamare o no.»

Non c’era nessun calore nella sua voce. Raramente c’era.

Stannis Baratheon, lord della Roccia del Drago e, per grazia degli dei, erede di diritto al Trono di Spade dei Sette Regni dell’Occidente, aveva spalle larghe e muscoli scattanti. Il suo volto era perennemente teso, la pelle simile a cuoio battuto dal sole fino a diventare duro come l’acciaio. Duro, era questa la parola che i suoi uomini usavano quando parlavano di Stannis. E, in effetti, così era. Non aveva ancora trentacinque anni, ma dei suoi capelli neri e fini rimaneva soltanto un ferro di cavallo a cingergli le tempie e la nuca come l’ombra di una corona. Suo fratello, il defunto re Robert, nei suoi ultimi anni si era fatto crescere la barba. Maestro Cressen non l’aveva mai vista, ma si diceva che fosse stata una folta, fiera massa di pelo nero. Quasi per reazione, Stannis portava il pelo della sua barba rasato cortissimo, una sorta di ombra nero-azzurra sulla mascella quadrata e sulle guance incavate. I suoi occhi parevano ferite aperte sotto sopracciglia cespugliose, occhi blu scuro come il mare di notte. La bocca avrebbe dato poche soddisfazioni perfino al più divertente e irresistibile dei giullari: una bocca fatta per contrarsi, per corrucciarsi, per impartire ordini perentori, sottili labbra pallide e muscoli sotto tensione. Una bocca che aveva dimenticato il sorriso, e che non aveva mai imparato a ridere. C’erano notti, quando il mondo diventava un luogo immoto e silenzioso, in cui maestro Cressen era pressoché certo di poter udire lord Stannis Baratheon digrignare i denti dalla parte opposta del castello.

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