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George Martin: Il regno dei lupi

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George Martin Il regno dei lupi
  • Название:
    Il regno dei lupi
  • Автор:
  • Издательство:
    Mondadori
  • Жанр:
  • Год:
    2001
  • Город:
    Milano
  • Язык:
    Итальянский
  • ISBN:
    88-04-49654-1
  • Рейтинг книги:
    3 / 5
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Il regno dei lupi: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel terzo capitolo della saga delle “Cronache del ghiaccio e del fuoco” una rossa cometa apparsa nel cielo dei Sette Regni sembra annunciare tremende sciagure. La lunga estate dell'abbondanza sta per finire, mentre quattro pretendenti, in aperta guerra gli uni contro gli altri, si contendono il Trono di Spade.

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Il ragazzo era stato restituito dal mare il terzo giorno. Maestro Cressen era sceso insieme agli altri per aiutare a dare un nome ai morti. Quando avevano trovato il giullare, era nudo, la pelle livida e raggrinzita incrostata di sabbia bagnata. Cressen aveva pensato si trattasse di un altro cadavere ma, nel momento in cui Jommy l’aveva preso per le caviglie per portarlo fino al carro delle sepolture, il ragazzo aveva tossito acqua di mare e si era messo a sedere. Fino al giorno della sua morte però, Jommy aveva continuato a spergiurare che la carne di Macchia era gelida come quella di un cadavere.

Nessuno riuscì mai a trovare una spiegazione valida per i due giorni in cui il ragazzo era stato disperso in mare. Secondo i pescatori, una sirena gli aveva insegnato a respirare sott’acqua in cambio del suo seme. Quanto a Macchia, di quei due giorni non aveva mai fatto parola, ma l’arguto, esperto ragazzo di cui lord Steffon aveva scritto non raggiunse mai Capo Tempesta: il ragazzo che trovarono era un’altra persona, provata nel corpo e nella mente, capace a stento di parlare e del tutto incapace di qualsiasi tipo di arguzia. Eppure, il volto del giullare non lasciava dubbi sulla sua identità. Nella città libera di Volantis, era infatti costume tatuare il volto degli schiavi e dei servi: la pelle del ragazzo era tutta istoriata, dal collo alla fronte, a scacchi alternati rossi e verdi.

«Quel disgraziato è un folle sofferente, di nessuna utilità ad alcuno, meno che meno a se stesso» aveva dichiarato il vecchio ser Harbert, in quei giorni castellano di Capo Tempesta. «La cosa più pietosa che potresti fare per lui è dargli una coppa colma di latte di papavero. Un sonno senza dolore e che sia finita. Se fosse in grado di capire, ti benedirebbe per questo gesto.» Ma Cressen aveva rifiutato, e alla fine era stato lui ad averla vinta. Se Macchia si fosse mai rallegrato di quella vittoria, il maestro non poteva dirlo, nemmeno adesso, dopo tutti quegli anni.

«Le ombre vengono per danzare, mio signore, danza anche tu, mio signore, danza anche tu.» Macchia continuò a volteggiare, a far oscillare su e giù la testa, scuotendo quelle campanelle, così martellanti, ossessive. “Bong dong ring-a-ling bong dong.”

«Signore» gracchiò il corvo bianco. «Signore, signore, signore.»

«Un giullare canta quello che vuole» disse il maestro all’ansiosa principessa. «Non devi prendere sul serio le sue parole. Domattina potrebbe ricordare un canzone diversa, e questa non la sentirai mai più.»

“Ed è anche in grado di cantare soavemente in quattro lingue diverse” aveva scritto lord Steffon.

Pylos fece nuovamente ingresso nei quartieri di Cressen. «Chiedo scusa, maestro» disse.

«Ti sei dimenticato del porridge» fece Cressen, divertito. Era talmente insolito che Pylos dimenticasse qualcosa.

«Maestro, ser Davos ha fatto ritorno questa notte. Ne stanno parlando nelle cucine. Ho pensato che volessi esserne informato immediatamente.»

«Davos… Questa notte, hai detto? Ora dov’è?»

«Con il re. Sono insieme dal suo arrivo.»

C’era stato un tempo in cui lord Stannis lo avrebbe svegliato, a dispetto dell’ora, per convocarlo e avere il suo consiglio.

«Avrebbero dovuto dirmelo» si lamentò Cressen. «Avrebbero dovuto svegliarmi.» Sciolse le dita da quelle di Shireen e si scusò con lei: «Chiedo perdono, mia lady, ma devo andare a parlare con il lord tuo padre. Pylos, dammi il braccio. Ci sono troppi gradini in questo castello e ho quasi l’impressione che ogni notte ne vengano aggiunti di nuovi, al solo scopo di tormentarmi».

Shireen e Macchia li seguirono fuori. Ben presto, però, la ragazzina divenne impaziente a causa del lento passo del vecchio e corse avanti, il giullare che la seguiva nella sua incessante, folle cacofonia di campanelle.

I castelli non erano luoghi adatti ai fragili. Cressen ne ebbe un’ulteriore conferma nel discendere la scala a chiocciola della Torre del drago marino. Lord Stannis era quasi certamente nella sala del Tavolo dipinto, in cima al Tamburo di pietra, la fortezza principale della Roccia del Drago. Il nome, Tamburo di pietra, veniva dal modo in cui le sue mura antiche risuonavano e rombavano durante le tempeste. Per arrivarci, dovevano attraversare la galleria, passare oltre le muraglie intermedia e interna, con i loro doccioni guardiani e le grate di ferro nero come l’inchiostro, e infine salire altri gradini, molti di più di quanti Cressen potesse permettersi di scalare. I giovani li salivano due alla volta, ma per un vecchio con le anche a pezzi, ognuno di quei gradini era una tortura. Lord Stannis, però, non si sarebbe certo scomodato ad andare da lui, per cui maestro Cressen si rassegnò a quella tormentosa scalata. Per lo meno, aveva Pylos ad aiutarlo, e ciò bastava a rincuorarlo.

Avanzando lentamente lungo la galleria, passarono davanti a una fila di alte finestre ad arco, dalle quali si aveva un’ampia prospettiva sul ponte levatoio, il muro di cinta esterno e il villaggio di pescatori oltre la rocca. Nel cortile, arcieri si stavano addestrando ai comandi “Incocca-tendi-lancia”. Il sibilo delle frecce pareva il battito d’ali di uno stormo di uccelli. Sentinelle si spostavano sui camminamenti in cima alle mura osservando, tra un doccione e l’altro, l’esercito accampato all’esterno del castello. L’aria del mattino era opaca per il fumo dei bivacchi. C’erano tremila uomini, là fuori, intenti a consumare il primo pasto della giornata sotto i vessilli dei loro signori. Al di là del grande accampamento, il porto era pieno di navi. A nessuno degli scafi che si erano presentati alla Roccia del Drago durante l’ultimo anno era stato più consentito di riprendere il mare. Furia , il galeone da guerra di lord Stannis, tre ponti e trecento rematori, quasi scompariva al confronto delle gigantesche navi da trasporto dalle stive panciute che lo circondavano da tutti i lati.

Le sentinelle di guardia all’esterno del Tamburo di pietra riconobbero il maestro e li lasciarono passare.

«Tu aspetta qui» comandò Cressen a Pylos, una volta che furono entrati. «È meglio che lo veda da solo.»

«È un’altra lunga ascesa, maestro.»

«Credi che non lo sappia?» Cressen sorrise. «Li ho saliti talmente tante volte, questi gradini, da aver dato un nome a ciascuno di loro.»

Ma giunto a metà strada, Cressen si pentì della decisione. Si era fermato a riprendere fiato, sperando che il dolore alle anche si calmasse, quando udì pesanti passi di stivali risuonare contro la pietra. Il maestro alzò lo sguardo e si trovò faccia a faccia con ser Davos Seaworth, che stava scendendo.

Davos era un uomo minuto, il suo basso lignaggio evidente nei suoi lineamenti comuni. Attorno alle spalle, portava una sdrucita cappa di color verde, macchiata da incrostazioni di sale e sbiadita dal sole dell’oceano. Farsetto e brache erano dello stesso marrone dei suoi occhi e dei capelli. Appesa al collo con una cinghia aveva una piccola sacca di vecchio cuoio. C’erano molti fili grigi nel suo pizzetto e un guanto di pelle gli copriva la mano sinistra mutilata.

«Ser Davos, quando sei tornato?»

«Prima dell’alba. L’ora che preferisco.»

Correva voce che nessuno fosse in grado di manovrare un vascello nelle tenebre con la perizia di Davos Manocorta. Prima di essere creato cavaliere da lord Stannis, era stato uno dei più celebri e inafferrabili contrabbandieri dei Sette Regni.

«Con che nuove?»

«È come tu gli avevi detto.» Davos scosse il capo. «Non si solleveranno, maestro. Non per lui. Non lo amano.»

“Né mai lo faranno” rimuginò Cressen. “Lui è forte, capace, giusto… Anche più giusto di quanto la saggezza suggerirebbe. Solo che non è abbastanza, non è mai stato abbastanza.”

«Hai parlato con tutti loro, ser Davos?»

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