Tacque e bevve un sorso di tè. Ron e Hermione lo guardarono senza fiato. Non avevano mai sentito Hagrid alludere al suo breve soggiorno ad Azkaban. Dopo una pausa, Hermione chiese timidamente:
«È brutto là dentro, Hagrid?»
«Non avete idea» disse Hagrid piano. «Mai stato in un posto così. Credevo di diventare matto. Continuavo a pensare cose terribili dentro la mia testa… al giorno che mi hanno buttato fuori da Hogwarts… al giorno che il mio papà è morto… al giorno che ho dovuto lasciar andare Norberto…»
Gli occhi gli si riempirono di lacrime. Norberto era il cucciolo di drago che Hagrid una volta aveva vinto alle carte.
«Dopo un po’ non ti ricordi più chi sei. E non sai più che senso ha vivere. Mi ricordo che speravo di morire nel sonno… quando mi hanno fatto uscire è stato come nascere un’altra volta, tutto che tornava vivo, la cosa più bella del mondo. Ma i Dissennatori non erano contenti di lasciarmi andare».
«Ma eri innocente!» disse Hermione.
Hagrid sbuffò.
«Credi che a quelli gli importa? No che non gli importa. Basta che hanno cento o duecento umani chiusi là con loro e gli possono succhiare via tutta la felicità, e non gli importa mica chi ha la colpa e chi non ha la colpa».
Hagrid tacque un istante, fissando il suo tè. Poi disse piano:
«Pensavo di liberare Fierobecco… cercare di farlo volar via… ma come lo spieghi te a un Ippogrifo che deve scappare a nascondersi? E poi… ho paura di infrangere la legge…» Li guardò, con le lacrime che gli inondavano il viso. «Non voglio tornare mai più ad Azkaban».
La gita da Hagrid, tutt’altro che allegra, aveva comunque sortito l’effetto desiderato. Anche se Harry non si era certo scordato di Black, non poteva crogiolarsi di continuo nel pensiero della vendetta se voleva aiutare Hagrid a vincere l’udienza con il Comitato per la Soppressione delle Creature Pericolose. Lui, Ron e Hermione andarono in biblioteca il giorno dopo, e tornarono nella sala comune deserta carichi di libri utili per preparare la difesa di Fierobecco. Tutti e tre sedettero davanti al fuoco acceso, voltando lentamente le pagine di polverosi volumi che parlavano di casi celebri di bestie da preda, e ogni tanto, quando si imbattevano in qualcosa di interessante, la commentavano a voce alta.
«Sentite qui… c’è stato un caso nel 1722… ma l’Ippogrifo fu condannato… bleah, guardate che cosa gli hanno fatto, è orribile…»
«Questo potrebbe servirci… una Manticora ha fatto a pezzi qualcuno nel 1296, e l’hanno lasciata andare… oh… no, è stato solo perché avevano tutti troppa paura per avvicinarsi…»
Nel frattempo, nel resto del castello erano state allestite le solite meravigliose decorazioni natalizie, anche se non era rimasto quasi nessuno a godersele. Fitte ghirlande di vischio e agrifoglio furono appese nei corridoi, luci misteriose brillavano dall’interno delle armature e la Sala Grande ospitava come sempre dodici abeti scintillanti di stelle d’oro. Un robusto, delizioso aroma di cibo pervadeva i corridoi, e per la Vigilia di Natale era diventato così intenso che anche Crosta mise il muso fuori dal suo rifugio nella tasca di Ron per annusare l’aria speranzoso.
La mattina di Natale, Harry fu svegliato da Ron che gli gettava addosso un cuscino.
«Ehi! I regali!»
Harry afferrò gli occhiali e se li infilò, socchiudendo gli occhi nella penombra per vedere bene il mucchietto di pacchi apparso ai piedi del letto. Ron stava già strappando via la carta dai suoi regali.
«Un altro maglione dalla mamma… marrone, un’altra volta… guarda se ce l’hai anche tu».
Harry ce l’aveva. La signora Weasley gli aveva mandato un golf scarlatto con il leone dei Grifondoro ricamato davanti, una dozzina di tortini fatti in casa, un dolce di Natale e una scatola di croccante alle nocciole. Mentre metteva da parte tutte queste cose, scorse un lungo pacchetto sottile che era rimasto sotto.
«Che cos’è?» chiese Ron con in mano un paio di calze marroni appena scartate.
«Non lo so…»
Harry strappò la carta e trattenne il respiro mentre un meraviglioso manico di scopa lucente rotolava sul copriletto. Ron lasciò cadere le calze e balzò giù dal letto per vedere più da vicino.
«Non ci posso credere» disse con voce roca.
Era una Firebolt, la gemella della meraviglia che Harry era andato a vedere tutti i giorni a Diagon Alley. Il manico scintillò mentre lo afferrava. Harry lo sentì vibrare e lasciò la presa: si librò a mezz’aria, da solo, esattamente all’altezza giusta per essere inforcato. Lo sguardo di Harry si spostò dal numero di serie inciso in oro sulla punta del manico, e poi giù giù fino agli aerodinamici ramoscelli di betulla perfettamente levigati che formavano la coda.
«Chi te lo manda?» chiese Ron a mezza voce.
«Guarda se c’è un biglietto» disse Harry.
Ron strappò la carta che aveva avvolto la Firebolt.
«Non c’è niente! Cavolo, chi spenderebbe così tanto per te?»
«Be’» disse Harry, stordito, «scommetto che non sono i Dursley».
«Io scommetto che è stato Silente» disse Ron, che ora si aggirava attorno alla Firebolt studiandone uno per uno i sontuosi dettagli. «Anche il Mantello dell’Invisibilità te l’aveva mandato anonimo…»
«Ma quello era di mio padre» disse Harry. «Silente me l’ha solo consegnato. Non spenderebbe centinaia di galeoni per me. Non può permettersi di regalare cose del genere agli studenti…»
«Ecco perché non vuole dire che è stato lui!» esclamò Ron. «Perché un idiota come Malfoy non possa dire che fa dei favoritismi. Ehi, Harry…» aggiunse scoppiando a ridere, « Malfoy! Aspetta che ti veda con quella! Ci resterà secco! Questa è una scopa mondiale !»
«Non posso crederci» mormorò Harry, facendo scorrere una mano sulla Firebolt, mentre Ron sprofondava sul suo letto, ridendo come un matto al pensiero di Malfoy. « Chi…? »
«Io lo so» disse Ron cercando di controllarsi. «Io lo so chi può essere stato: Lupin!»
«Cosa?» esclamò Harry scoppiando a ridere a sua volta. « Lupin? Ma se avesse tutto quel denaro potrebbe comprarsi dei vestiti nuovi».
«Sì, però tu gli piaci» disse Ron. «E non c’era quando la tua Nimbus è andata in pezzi, e può darsi che l’abbia sentito raccontare e che abbia deciso di andare a Diagon Alley a prenderti questa…»
«Come sarebbe a dire, non c’era?» chiese Harry. «Era ammalato quando c’è stata quella partita».
«Be’, in infermeria non c’era» disse Ron. «Io ero là, a pulire i vasi da notte per ordine di Piton, ti ricordi?»
Harry aggrottò la fronte.
«Non credo che Lupin si possa permettere una cosa del genere».
«Perché ridete, voi due?»
Hermione era appena entrata. Era in vestaglia e portava in braccio Grattastinchi, che aveva l’aria molto imbronciata e un festone argentato legato al collo.
«Non portarlo qui dentro!» disse Ron, estraendo in fretta Crosta dalle profondità del suo letto e ficcandoselo nella tasca del pigiama. Ma Hermione non gli diede retta. Lasciò cadere Grattastinchi sul letto vuoto di Seamus e fissò la Firebolt a bocca aperta.
«Oh, Harry ! Chi te l’ha regalata?»
«Non ne ho idea» rispose Harry. «Non c’era nessun biglietto».
Con sua grande sorpresa, Hermione non fu né eccitata né incuriosita dalla novità. Al contrario, si fece seria e si morse un labbro.
«Che cos’hai?» le chiese Ron.
«Non lo so» disse Hermione lentamente, «ma è un po’ strano, no? Voglio dire, è una bella scopa, no?»
Ron sospirò, esasperato.
«È la scopa migliore che esista, Hermione» disse.
«Quindi dev’essere molto costosa…»
«Probabilmente costa più di tutte le scope dei Serpeverde messe insieme» disse Ron allegramente.
Читать дальше
Конец ознакомительного отрывка
Купить книгу