Ottobre passò tra raffiche di vento e scrosci d’acqua, e novembre arrivò, freddo come ferro ghiacciato, con grandi gelate ogni mattina e piogge che tagliavano mani e viso. Il cielo e il soffitto della Sala Grande si fecero di un grigio tenue e perlaceo, le montagne attorno a Hogwarts si coprirono di neve e la temperatura nel castello si abbassò tanto che molti studenti indossavano spessi guanti di pelle di drago nei corridoi, tra una lezione e l’altra.
La mattina dell’incontro era limpida e fredda. Quando Harry si svegliò, si voltò verso il letto di Ron e lo trovò seduto, con le braccia attorno alle ginocchia, a guardare nel vuoto.
«Stai bene?» gli chiese.
Ron annuì, ma non disse nulla. Harry non poté fare a meno di ricordare quella volta in cui Ron aveva accidentalmente rivolto contro se stesso un Incantesimo Vomita-Lumache; al momento era pallido e sudato come allora, oltre che altrettanto restio ad aprir bocca.
«Hai solo bisogno di far colazione» tentò di incoraggiarlo Harry. «Dài, andiamo».
La Sala Grande si riempiva in fretta, il volume delle chiacchiere era più alto e l’umore più esuberante del solito. Quando passarono davanti al tavolo di Serpeverde, scoppiò un gran vociare. Harry si voltò e vide che, oltre alle solite sciarpe e cappelli verdi e argento, ciascuno di loro portava un distintivo d’argento dalla forma simile a una corona. Per qualche motivo molti salutarono Ron, ridendo forte. Harry cercò di scorgere che cosa c’era scritto sulle spille, ma era troppo occupato a portare via Ron in fretta per riuscire a leggere.
Furono accolti da un fragoroso benvenuto al tavolo di Grifondoro, dove tutti vestivano di rosso e oro, ma invece di sollevare il morale di Ron l’ovazione parve sotterrare quello che ne restava; si lasciò cadere sulla panca con l’aria di uno che sta per affrontare l’ultimo pasto.
«Devo essere demente per fare questo» sussurrò con voce roca. « Demente » .
«Non fare lo scemo» ribatté Harry con fermezza, passandogli un assortimento di cereali, «andrai benissimo. È normale essere nervosi».
«Io sono una schiappa» gracchiò Ron. «Uno schifo totale. Non giocherei bene nemmeno se ne andasse della mia vita. Ma che cosa mi è venuto in mente?»
«Piantala» lo rimproverò Harry severo. «Pensa alla parata che hai fatto col piede l’altro giorno: persino Fred e George hanno detto che è stata clamorosa».
Il volto di Ron si contrasse.
«È stato un incidente» bisbigliò, infelice. «Non l’ho fatto apposta… sono scivolato dalla scopa quando voi non guardavate e mentre cercavo di risalire ho dato un calcio alla Pluffa per sbaglio».
«Be’» disse Harry, riprendendosi in fretta dalla brutta sorpresa, «un altro paio di incidenti così e abbiamo la vittoria in tasca!»
Hermione e Ginny vennero a sedersi di fronte a loro, con sciarpe, guanti e coccarde rossi e oro.
«Come ti senti?» chiese Ginny a Ron, che fissava il fondo di latte nella ciotola di cereali come se stesse seriamente pensando di affogarcisi.
«È solo nervoso» rispose Harry per lui.
«È un buon segno, anche agli esami non si rende mai molto se non si è nervosi» aggiunse Hermione di cuore.
«Ciao» disse una voce sognante alle loro spalle. Harry si voltò: Luna Lovegood veleggiava verso di loro dal tavolo di Corvonero. Molti la fissavano e alcuni ridevano apertamente; sulla sua testa, in equilibrio precario, c’era un cappello a forma di testa di leone a grandezza naturale.
«Io faccio il tifo per Grifondoro» disse Luna, indicando inutilmente il cappello. «Guardate che cosa fa…»
Alzò la mano e toccò il cappello con la bacchetta. Il leone spalancò la bocca ed emise un ruggito molto realistico che fece trasalire tutti i vicini.
«Bello, vero?» chiese Luna, allegra. «Volevo mettergli in bocca un serpente che rappresentava Serpeverde, ma non ho avuto tempo. Comunque… forza, Ronald!»
E fluttuò via. Si erano a malapena ripresi dallo shock del cappello di Luna quando Angelina arrivò di corsa, seguita da Katie e Alicia, le cui sopracciglia erano state caritatevolmente riportate alla normalità da Madama Chips.
«Quando siete pronti» disse, «andiamo subito al campo, verifichiamo le condizioni e ci cambiamo».
«Arriviamo» le assicurò Harry. «Ron deve solo mandar giù qualcosa».
Dopo dieci minuti, però, fu evidente che Ron non sarebbe riuscito a mangiare altro, e Harry pensò che era meglio portarlo negli spogliatoi. Quando si alzarono, Hermione li imitò e prese Harry da parte.
«Non far vedere a Ron che cosa c’è scritto sulle spille di Serpeverde» bisbigliò concitata.
Harry la guardò con aria interrogativa, ma lei scosse il capo in segno di avvertimento: Ron stava venendo verso di loro, smarrito e desolato.
«In bocca al lupo, Ron» disse Hermione, si alzò in punta di piedi e lo baciò sulla guancia. «E a te, Harry…»
Ron parve riprendersi appena mentre attraversavano la Sala Grande. Si toccò perplesso dove Hermione l’aveva baciato, come se non fosse sicuro di che cosa era successo. Era troppo distratto per notare altro, ma Harry lanciò un’occhiata curiosa alle spille passando accanto al tavolo di Serpeverde, e stavolta distinse le parole che vi erano incise:
Weasley è il nostro re
Con la sgradevole sensazione che non volesse dire nulla di buono, sospinse Ron attraverso la Sala d’Ingresso, giù per le scale di pietra e fuori, nell’aria gelida.
L’erba ghiacciata scricchiolava sotto i loro piedi. Non c’era un filo di vento e il cielo era bianco, perlaceo, uniforme, il che significava buona visibilità senza lo svantaggio del sole negli occhi. Harry fece notare a Ron questi fattori incoraggianti, ma non era sicuro che stesse ascoltando.
Negli spogliatoi, Angelina si era già cambiata e parlava alla squadra. Harry e Ron indossarono le divise (Ron cercò di infilarsi la sua al contrario prima che Alicia, impietosita, andasse ad aiutarlo), poi sedettero ad ascoltare il discorso pre-partita, mentre il vociare all’esterno si faceva sempre più intenso via via che la folla si riversava fuori dal castello verso il campo.
«Allora, ho avuto solo adesso la formazione ufficiale di Serpeverde» disse Angelina, consultando una pergamena. «I Battitori dell’anno scorso, Derrick e Bole, sono andati via, ma a quanto pare Montague li ha rimpiazzati con i soliti gorilla, invece che con gente brava a volare. Sono due tipi che si chiamano Tiger e Goyle, non so molto di loro…»
«Noi sì» dissero in coro Harry e Ron.
«Be’, non sembrano abbastanza svegli da distinguere un capo della scopa dall’altro» commentò Angelina infilandosi la pergamena in tasca, «ma in fondo mi ha sempre sorpreso che Derrick e Bole trovassero la strada per il campo senza cartelli indicatori».
«Tiger e Goyle sono dello stesso stampo» confermò Harry.
Si sentivano centinaia di passi salire sugli spalti. Alcune voci cantavano, ma Harry non riuscì a capire le parole. Cominciava a sentirsi un po’ nervoso, anche se il suo mal di pancia era nulla in confronto a quello di Ron, che si teneva le mani sullo stomaco, aveva le mascelle senate e un colorito grigiastro.
«È ora» disse piano Angelina, guardando l’orologio. «Forza, tutti quanti… in bocca al lupo».
La squadra si alzò, si mise le scope in spalla e uscì in fila indiana dagli spogliatoi nella luce abbagliante. Furono accolti da un boato, nel quale Harry sentì ancora quel canto, seppure confuso tra le ovazioni e i fischi.
La squadra di Serpeverde li stava aspettando. Anche loro portavano le spille d’argento a forma di corona. Il nuovo Capitano, Montague, era un tipo alla Dudley Dursley, con avambracci come prosciutti pelosi. Alle sue spalle erano appostati Tiger e Goyle, quasi altrettanto grossi, che battevano stolidamente le palpebre nella luce facendo oscillare le loro nuove mazze da Battitori. Malfoy era su un lato, e la sua testa biondo platino luccicava. Incrociò lo sguardo di Harry e ghignò, picchiettando la spilla a forma di corona sul petto.
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