«Credo che dovremmo provarci tutti» disse Angelina. «Se solo riuscissimo a tener lontana la pioggia dalla faccia la visibilità migliorerebbe… tutti insieme, allora: Impervius! Bene, andiamo».
Tutti riposero la bacchetta nella tasca interna della divisa, si misero la scopa in spalla e seguirono Angelina fuori dagli spogliatoi.
Si fecero strada nel pantano fino al centro del campo; la visibilità era ancora pessima, anche con l’Incantesimo Impervius; la luce calava in fretta e raffiche di pioggia spazzavano il terreno.
«Bene. Al mio fischio» gridò Angelina.
Harry si diede una spinta con i piedi, spruzzando fango in tutte le direzioni, e schizzò verso l’alto, mentre il vento lo mandava leggermente fuori rotta. Non sapeva come avrebbe fatto a individuare il Boccino con quel tempo; aveva già abbastanza difficoltà a vedere il Bolide con cui si stavano allenando; dopo un minuto l’aveva quasi disarcionato e lui aveva dovuto usare la Presa Rovesciata del Bradipo per evitarlo. Purtroppo Angelina non lo vide. In effetti, non sembrava in grado di vedere nulla; nessuno di loro aveva la minima idea di quello che facevano gli altri. Il vento si era alzato; anche a distanza Harry sentiva il suono martellante della pioggia sulla superficie del lago.
Angelina li tenne impegnati per quasi un’ora prima di arrendersi. Ricondusse la sua squadra zuppa e imbronciata agli spogliatoi, insistendo che l’allenamento non era stato una perdita di tempo, anche se non ne sembrava molto convinta nemmeno lei. Fred e George parevano particolarmente irritati; entrambi camminavano a gambe larghe e storcevano il viso a ogni movimento. Mentre si strofinava i capelli con un asciugamano, Harry li sentì lamentarsi a bassa voce.
«Credo che alcuni dei miei siano scoppiati» disse Fred con voce sepolcrale.
«I miei no» rispose George con una smorfia di dolore, «e pulsano da morire… sembrano anche più grossi».
«AHI!» urlò Harry.
Si premette l’asciugamano sul viso, stringendo gli occhi dal dolore. La cicatrice sulla fronte bruciava di nuovo, molto più forte che nelle ultime settimane.
«Che cosa c’è?» chiesero molte voci.
Harry riemerse da dietro l’asciugamano; senza occhiali vedeva confusamente lo spogliatoio, ma sapeva che tutti lo stavano guardando.
«Niente» mormorò. «Mi… sono ficcato un dito in un occhio».
Ma lanciò a Ron uno sguardo significativo ed entrambi restarono indietro mentre gli altri della squadra uscivano, imbacuccati nei mantelli, con i cappelli tirati fin sulle orecchie.
«Cos’è successo?» chiese Ron quando Alicia fu sparita oltre la porta. «La cicatrice?»
Harry annuì.
«Ma…» Spaventato, Ron, andò alla finestra e guardò fuori nella pioggia. «Lui… non può essere qui vicino, giusto?»
«No» mormorò Harry, lasciandosi cadere su una panca e massaggiandosi la fronte. «Probabilmente è molto lontano. Fa male perché… è… arrabbiato».
Harry non intendeva affatto dire quelle parole, e le udì come se le avesse pronunciate un altro; eppure capì all’istante che erano vere. Non riusciva a spiegarsi il perché, ma lo sapeva: dovunque fosse Voldemort, qualsiasi cosa stesse facendo, era in preda alla collera.
«L’hai visto?» chiese Ron, orripilato. «Hai… avuto una visione?»
Harry rimase immobile a guardarsi i piedi, lasciando che la memoria e la mente si rilassassero dopo il dolore.
Un intrico confuso di forme, un mescolarsi di voci che urlavano…
«Vuole che si faccia qualcosa, ma non lo si sta facendo abbastanza in fretta» disse.
Ancora una volta fu sorpreso di sentire le parole uscire dalla sua bocca, ma fu altrettanto certo di dire la verità.
«Ma… come fai a saperlo?» chiese Ron.
Harry scosse il capo e si premette forte le mani sugli occhi. Piccole stelle apparvero nel suo campo visivo. Sentì che Ron si sedeva sulla panca accanto a lui, e seppe che lo stava fissando.
«È stato così anche l’ultima volta?» domandò Ron, a voce bassa. «Quando ti ha fatto male nell’ufficio della Umbridge? Tu-Sai-Chi era arrabbiato?»
Harry scosse la testa.
«Che cos’è, allora?»
Harry ci stava pensando. Aveva guardato la Umbridge negli occhi… la cicatrice gli aveva fatto male… e aveva avvertito quella strana sensazione allo stomaco… una strana sensazione improvvisa… di contentezza… ma naturalmente non l’aveva riconosciuta per quello che era, dato che lui era così abbattuto…
«L’ultima volta è stato perché era contento» disse. «Molto contento. Credeva… che stesse per succedere qualcosa di buono. E la notte prima che tornassimo a Hogwarts…» Ripensò al momento in cui la cicatrice gli aveva fatto male da morire, nella stanza che occupava con Ron a Grimmauld Place «…era furioso…»
Si voltò a guardare Ron, che non gli toglieva gli occhi di dosso.
«Potresti prendere il posto della Cooman, amico mio» disse sgomento.
«Non sto facendo profezie» protestò Harry.
«No, lo sai cosa stai facendo?» disse Ron, spaventato e impressionato allo stesso tempo. «Harry, tu stai leggendo nella mente di Tu-Sai-Chi! »
«No» Harry scosse il capo. «È più… il suo umore, immagino. Ho come dei lampi sul suo stato d’animo. L’anno scorso Silente ha detto che stava succedendo una cosa del genere, che potevo avvertire quando Voldemort era vicino a me, o quando provava odio. Ora sento anche quando è soddisfatto…»
Ci fu una pausa. Il vento e la pioggia sferzavano l’edificio.
«Devi avvisare qualcuno» disse Ron.
«L’ultima volta l’ho detto a Sirius».
«Be’, diglielo anche stavolta!»
«Non posso, no?» rispose cupo Harry. «La Umbridge controlla i gufi e i camini, non ti ricordi?»
«Allora a Silente».
«Te l’ho appena spiegato, lo sa già» tagliò corto Harry alzandosi. «Non ha senso raccontarglielo di nuovo». Prese il mantello dall’attaccapanni e se lo mise sulle spalle.
Ron allacciò il suo, guardando Harry, pensieroso.
«Silente lo vorrebbe sapere» insisté.
Harry scrollò le spalle.
«Andiamo… abbiamo ancora gli esercizi sull’Incantesimo Tacitante».
Attraversarono a passo svelto i campi bui, scivolando e inciampando sui prati fangosi, senza parlare. Harry pensava. Che cos’era che Voldemort voleva fosse fatto e che non si stava facendo abbastanza in fretta?
« …ha anche altri piani, piani che può mettere in atto senza gran clamore… Cose che può ottenere solo se agisce in segreto… come un’arma. Una cosa che l’ultima volta non aveva ».
Harry non pensava più a quelle parole da settimane; era stato troppo assorbito da quanto succedeva a Hogwarts, troppo occupato con la Umbridge, con l’ingiustizia delle interferenze del Ministero… ma ecco che gli tornavano alla mente, e lo facevano riflettere: la rabbia di Voldemort avrebbe avuto senso se fosse stato ancora lontano dal mettere le mani sull’arma, di qualunque cosa si trattasse. L’Ordine lo aveva forse ostacolato, impedendogli di prenderla? Dove era nascosta? Chi ce l’aveva in quel momento?
« Mimbulus mimbletonia » disse la voce di Ron, e Harry si riscosse appena in tempo per arrampicarsi nella sala comune attraverso il buco dietro il ritratto.
A quanto pareva Hermione era andata a letto presto, lasciando Grattastinchi acciambellato su una sedia e un assortimento di bitorzoluti berretti da elfo su un tavolo accanto al fuoco. Harry fu piuttosto contento di non trovarla, perché non aveva voglia di discutere della sua cicatrice dolorante e di sentire anche lei che lo esortava ad andare da Silente. Ron continuava a lanciargli occhiate ansiose, ma Harry prese i libri di Incantesimi e si mise a finire il suo tema, anche se fingeva solo di concentrarsi; quando Ron annunciò che anche lui andava a dormire, non aveva scritto quasi nulla.
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