«Senti chi parla! Tu te ne sei andata! La odi, la Cooman!» osservò indignato Ron.
«Io non la odio » ribatté lei altera. «Penso solo che sia un’insegnante assolutamente atroce e una vera impostora. Ma Harry ha già perso Storia della Magia e non credo che debba saltare altre lezioni, oggi!»
Era un’affermazione troppo vera per poterla ignorare, così mezz’ora dopo Harry prese posto nell’atmosfera calda e densa di aromi dell’aula di Divinazione, furioso con il mondo. La professoressa Cooman stava di nuovo distribuendo L’Oracolo dei Sogni. Harry pensò che avrebbe impiegato molto meglio il suo tempo facendo il tema per Piton piuttosto che cercare di dare un senso a un mucchio di sogni inventati.
A quanto pareva, comunque, non era l’unica persona in classe a essere furibonda. La professoressa Cooman sbatté una copia dell’ Oracolo sul tavolo tra Harry e Ron e passò oltre, a labbra serrate; lanciò la copia successiva a Seamus e Dean, mancando di un pelo la testa di Seamus, e con l’ultima centrò Neville in pieno petto, con tanta forza che lui cadde dal pouf.
«Al lavoro, insomma!» esclamò la Cooman con voce forte, acuta e un po’ isterica. «Sapete cosa fare! O sono forse un’insegnante così scadente che non avete nemmeno imparato ad aprire un libro?»
I ragazzi si scambiarono occhiate perplesse, e poi le rivolsero a lei. Harry invece credeva di sapere cosa era successo. Mentre la Cooman tornava in fretta a sedersi sulla sedia dallo schienale alto, gli occhi enormi gonfi di pianto, Harry si chinò verso Ron e mormorò: «Deve aver ricevuto l’esito dell’ispezione».
«Professoressa» disse Calì Patil in un bisbiglio (lei e Lavanda avevano sempre ammirato la Cooman). «Professoressa, c’è qualcosa… che non va?»
«Qualcosa che non va!» esclamò la Cooman con voce tremula. «Certo che no! Oh, be’, sono stata insultata… sono state fatte insinuazioni su di me… mosse accuse infondate… ma no, non c’è niente che non va!»
Trasse un gran respiro tremante e distolse lo sguardo da Calì, mentre lacrime di rabbia le spuntavano da sotto gli occhiali.
«Non voglio parlare» singhiozzò, «di sedici anni di fedele servizio… a quanto pare sono passati inosservati… ma non mi farò insultare, questo no!»
«Ma professoressa, chi la sta insultando?» chiese timidamente Calì.
«Il Sistema!» rispose la professoressa Cooman con voce profonda, teatrale e vibrante. «Sì, coloro i cui occhi sono troppo offuscati dalle occupazioni mondane per Vedere come io Vedo, per Sapere ciò che io So… naturalmente noi Veggenti siamo sempre stati temuti, perseguitati… ahimè, è il nostro destino».
Deglutì, si tamponò le guance umide con l’orlo dello scialle, poi trasse dalla manica un fazzolettino ricamato e si soffiò il naso con un rumore che ricordava una delle pernacchie di Pix.
Ron ridacchiò. Lavanda gli scoccò un’occhiata disgustata.
«Professoressa» disse Calì, «vuol dire… forse la professoressa Umbridge…?»
«Non parlatemi di quella donna!» gridò la Cooman balzando in piedi in un tintinnio di perline, con gli occhiali che lampeggiavano. «Siete pregati di continuare il vostro lavoro!»
Per tutto il resto della lezione si aggirò tra loro, con le lacrime che ancora le spuntavano da sotto le lenti, mormorando tra sé quelle che sembravano minacce.
«…tanto vale che me ne vada… una cosa indegna… in verifica… vedremo… come osa…»
«Tu e la Umbridge avete qualcosa in comune» disse piano Harry a Hermione quando si incontrarono di nuovo per Difesa contro le Arti Oscure. «Ovviamente anche lei ha capito che la Cooman è un’impostora… pare che l’abbia messa in verifica».
La Umbridge entrò mentre lui parlava. Ostentava il solito fiocco di velluto nero e un’espressione di profondo compiacimento.
«Buon pomeriggio, ragazzi».
«Buon pomeriggio, professoressa Umbridge» cantilenarono tutti in tono depresso.
«Via le bacchette, prego».
Ma non ci fu il solito tramestio di risposta questa volta; nessuno si era preso la briga di tirarle fuori.
«Andate a pagina trentaquattro di Teoria della Magia Difensiva e leggete il Capitolo Tre, intitolato “Casi di risposta non offensiva agli attacchi magici”. Non ci sarà…»
«…bisogno di parlare» conclusero in coro Harry, Ron e Hermione, a denti stretti.
* * *
«Niente Quidditch» annunciò Angelina in tono lugubre quando Harry, Ron e Hermione entrarono nella sala comune quella sera dopo cena.
«Ma io sono rimasto tranquillo!» esclamò Harry, atterrito. «Non le ho detto niente, Angelina, te lo giuro, io…»
«Lo so, lo so» disse Angelina, afflitta. «Lei ha detto che ha bisogno di un po’ di tempo per pensarci».
«Pensare a cosa?» chiese Ron con rabbia. «Ha dato il permesso a Serpeverde: perché a noi no?»
Ma Harry riusciva a immaginare quale piacere provasse la Umbridge a brandire sulle loro teste la minaccia di non ricostituire la squadra di Grifondoro, e capiva benissimo come mai non volesse rinunciare tanto in fretta a quell’arma.
«Be’» disse Hermione, «guarda il lato buono… almeno adesso hai tempo di fare il tema per Piton!»
«E questo sarebbe un lato buono?» sbottò Harry, mentre Ron guardava Hermione incredulo. «Niente Quidditch e compiti di Pozioni?»
Harry si lasciò cadere su una sedia, tirò fuori la pergamena di malavoglia e si mise al lavoro. Gli fu molto difficile concentrarsi; anche se sapeva che avrebbe visto Sirius solo molto più tardi, non poteva fare a meno di guardare nel fuoco ogni cinque minuti, tanto per controllare. C’era anche un baccano incredibile nella sala: Fred e George avevano finalmente perfezionato un modello di Merendine Marinare, di cui davano dimostrazione a turno tra una folla vociante ed entusiasta.
Prima Fred dava un morso all’estremità arancione di una caramella gommosa, e vomitava in modo spettacolare in un secchio. Poi inghiottiva l’estremità viola e il vomito cessava di botto. Lee Jordan, nel ruolo di assistente, faceva pigramente Evanescere il vomito a intervalli regolari, con lo stesso incantesimo che Piton usava sulle pozioni di Harry.
Con il sottofondo costante dei conati, delle ovazioni e le voci di Fred e George che prendevano gli ordini, Harry trovò particolarmente difficile concentrarsi sulla formula corretta della Soluzione Corroborante. Hermione non era di alcun aiuto; gli applausi e il rumore del vomito nel secchio erano sottolineati dai suoi sbuffi di disapprovazione, che Harry trovava ancora più fastidiosi.
«Vai a dirgli di smettere, allora!» disse irritato, dopo aver cancellato per la quarta volta la dose sbagliata di artiglio di grifone in polvere.
«Non posso, tecnicamente non stanno facendo nulla di sbagliato» ribatté Hermione a denti stretti. «È nel loro diritto mangiare quelle schifezze, e non riesco a trovare una norma che proibisca ad altri idioti di comprarle, a meno che non si dimostri che sono pericolose; e a quanto pare non lo sono».
Lei, Harry e Ron rimasero a guardare George che vomitava a raffica nel secchio, mandava giù il resto della caramella e si rialzava raggiante, a braccia aperte, per ricevere il lungo applauso.
«Sai, non capisco come mai quei due abbiano preso solo tre G.U.F.O. a testa» disse Harry guardando Fred, George e Lee che raccoglievano soldi dalla folla avida. «Sanno davvero il fatto loro».
«Oh, conoscono solo incantesimi che fanno un sacco di scena e non sono veramente utili a nessuno» rispose Hermione sprezzante.
«Non sono utili?» obiettò Ron, piccato. «Hermione, hanno già tirato su ventisei galeoni».
Ci volle ancora un bel po’ prima che la folla attorno ai gemelli Weasley si disperdesse, poi Fred, Lee e George rimasero a contare gli incassi. Perciò fu solo a mezzanotte passata che Harry, Ron e Hermione ebbero la sala comune tutta per loro. Alla fine Fred si chiuse alle spalle la porta che conduceva ai dormitori maschili, facendo tintinnare le sue monete con tanta ostentazione che Hermione gli scoccò un’occhiataccia. Harry non era andato molto avanti con il suo tema e decise di lasciar perdere. Mentre metteva via i libri, Ron, che si stava appisolando in poltrona, si svegliò con un grugnito soffocato e guardò confusamente nel fuoco.
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