S.P.C. a A.P.W.B.S.
Oscuro Signore e (?) Harry Potter
Harry la fissò perplesso.
«Che roba è?» chiese Ron, teso. «Che cosa ci fa il tuo nome quaggiù?»
Lanciò un’occhiata alle altre targhette sullo stesso scaffale.
«Il mio non c’è» osservò perplesso. «E nemmeno quello degli altri».
«Harry, non credo che dovresti toccarla» disse brusca Hermione, mentre lui tendeva una mano verso la sfera.
«Perché no? C’è il mio nome, giusto? È qualcosa che mi riguarda…»
«Non farlo, Harry» disse all’improvviso Neville. Harry lo guardò. Aveva il viso tondo lucido di sudore. Pareva che non fosse più in grado di sostenere altre emozioni.
«C’è il mio nome» ripeté Harry.
Cedendo a un impulso avventato, chiuse le dita sulla superficie polverosa della sfera. Immaginava che fosse fredda: invece no. Anzi, sembrava che fosse rimasta al sole per ore, come se la tenue luce interna la riscaldasse. Aspettandosi, quasi sperando che succedesse qualcosa di drammatico, qualcosa di eccitante che dopotutto giustificasse il loro lungo, pericoloso viaggio, tolse la sfera di vetro dallo scaffale e la fissò.
Non accadde niente di niente. Gli altri gli si strinsero attorno, fissando la sfera mentre lui la strofinava per liberarla dalla polvere.
Poi, proprio alle loro spalle, risuonò una voce strascicata.
«Molto bene, Potter. Adesso voltati lentamente, da bravo, e dammela».
CAPITOLO 35
OLTRE IL VELO
Forme nere affioravano dal nulla circondandoli, bloccando ogni via di fuga, gli occhi scintillanti attraverso le fessure dei cappucci, dodici bacchette puntate contro di loro. A Ginny sfuggì un gemito di orrore.
«Dammela, Potter» ripeté la voce strascicata di Lucius Malfoy, tendendo la mano, il palmo rivolto verso l’alto.
Harry si sentì sprofondare dentro, nauseato. Erano in trappola, e per giunta in netto svantaggio numerico.
«Dammela» ripeté per la terza volta Malfoy.
«Dov’è Sirius?» chiese Harry.
Alcuni Mangiamorte scoppiarono a ridere; una sferzante voce femminile si alzò tra le figure nell’ombra a sinistra di Harry per esclamare trionfante: «L’Oscuro Signore sa sempre tutto!»
«Sempre» le fece eco Malfoy a voce bassa. «Dammi la profezia, Potter».
«Voglio sapere dov’è Sirius!»
« Voglio sapere dov’è Sirius! » gli fece il verso la donna alla sua sinistra.
Il cerchio dei Mangiamorte si strinse: ormai erano a meno di un metro da Harry e dai suoi amici; la luce delle loro bacchette quasi lo accecava.
«Lo avete catturato» insisté Harry, ignorando il panico crescente, il tenore contro il quale lottava da quando erano entrati nel corridoio novantasette. «È qui. Lo so» .
« Il piccino si è fvegliato e ha fcopelto che il sogno ela velo » cinguettò la donna, nella parodia disgustosa di una vocetta infantile. Harry sentì Ron muoversi accanto a lui.
«Fermo» gli sussurrò. «Non ancora…»
La voce di donna esplose in una risata rauca.
«Ma lo sentite? Lo sentite? Dà ordini agli altri marmocchi come se s’illudesse di poter lottare contro di noi!»
«Oh, tu non conosci Potter, Bellatrix» replicò Malfoy dolcemente. «Ha un debole per gli atti eroici: l’Oscuro Signore lo sa bene. Adesso dammi la profezia, Potter » .
«Lo so che Sirius è qui» si ostinò Harry, anche se ormai il panico gli serrava il petto e gli toglieva il respiro. «L’avete preso voi!»
Altri Mangiamorte risero, la donna più di tutti.
«È giunta l’ora che tu impari la differenza tra la realtà e i sogni, Potter» disse Malfoy. «E ora dammi la profezia, o dovremo usare le bacchette».
«Allora usatele» lo sfidò Harry, levando la sua all’altezza del petto. Nello stesso istante, le bacchette di Ron, Hermione, Neville, Ginny e Luna si alzarono attorno a lui. La morsa che stringeva lo stomaco di Harry si serrò. Se davvero Sirius non era lì, allora aveva guidato i suoi amici a morte sicura senza motivo…
Ma i Mangiamorte non colpirono.
«Dammi la profezia e nessuno si farà del male» disse gelido Malfoy.
Toccò a Harry ridere.
«Certo! Io ti consegno questa… profezia, giusto? E voi ci lasciate tornare a casa come niente fosse, vero?»
Non aveva ancora finito la frase quando la Mangiamorte strillò: « Accio profe… »
Ma Harry era pronto. « Protego! » urlò prima che lei terminasse, e riuscì a non farsi sfuggire la sfera di vetro bloccandola con la punta delle dita.
«Oh, sa come giocare, il piccolo piccolo Potter» disse la donna, fissandolo con occhi folli attraverso le fessure del cappuccio. «Benissimo, allora…»
«TI HO DETTO DI NO!» ruggì Lucius Malfoy. «Se la rompi…!»
La mente di Harry lavorava spedita. I Mangiamorte volevano quella polverosa sfera di vetro di cui a lui non importava nulla. A lui interessava soltanto portare fuori di lì gli amici sani e salvi, evitando che pagassero un prezzo terribile per la sua stupidità…
La donna si fece avanti e spinse indietro il cappuccio. Azkaban aveva scavato il viso di Bellatrix Lestrange: lo aveva smagrito come un teschio, ma era vivo di un bagliore febbrile, fanatico.
«Hai bisogno di farti convincere?» chiese, il petto che si sollevava e si abbassava rapido. «Benissimo… prendete la più piccola» ordinò ai Mangiamorte accanto a lei. «Che guardi mentre la torturiamo. Ci penso io».
Harry sentì gli altri stringersi attorno a Ginny e si parò davanti a lei, la sfera stretta al petto.
«Se vuoi attaccare uno qualunque di noi» disse a Bellatrix, «prima dovrai spaccare questa. E non credo che il tuo capo farà salti di gioia se torni da lui a mani vuote, vero?»
La donna rimase immobile, gli occhi inchiodati su di lui, passandosi la punta della lingua sulle labbra sottili.
«Allora» proseguì Harry, «di che profezia si tratta?»
Non sapeva che altro fare, a parte continuare a parlare. Sentiva tremare il braccio di Neville premuto contro il suo; sentiva dietro la nuca il respiro affannoso di un altro dei suoi compagni. Poteva solo augurarsi che si stessero spremendo il cervello alla ricerca di un modo per venirne fuori, perché il suo era completamente vuoto.
«Di che profezia…?» ripeté Bellatrix, mentre il ghigno le spariva dal viso. «Stai scherzando, Harry Potter?»
«Nient’affatto» rispose Harry, gli occhi che andavano rapidi da un Mangiamorte all’altro, cercando un anello debole, una via di fuga. «Perché Voldemort ci tiene tanto?»
Molti Mangiamorte sibilarono.
«Tu osi pronunciare il suo nome?» sussurrò Bellatrix.
«Certo» rispose Harry, tenendo ben salda la sfera di vetro, aspettandosi da un momento all’altro un nuovo tentativo di strappargliela con la magia. «Non ho problemi a dire Vol…»
«Chiudi la bocca!» strillò Bellatrix. «Osi pronunciare il suo nome con le tue labbra indegne, osi profanarlo con la tua lingua da Mezzosangue, osi…»
«Non lo sapevi che è un Mezzosangue anche lui?» ribatté Harry, irrefrenabile. Colse un gemito sommesso di Hermione. «Voldemort? Sì, sua madre era una strega, ma il suo papà era un Babbano… o vi ha raccontato d’essere un purosangue?»
« STUPEFI… »
« No! »
Un getto di luce rossa scaturì dalla bacchetta di Bellatrix Lestrange, ma Malfoy lo bloccò e glielo rispedì contro, mandandola a cozzare contro lo scaffale alla sinistra di Harry; parecchie sfere di vetro caddero sul pavimento e si ruppero.
Due sagome, perlacee come fantasmi, fluide come fumo, sgorgarono dai frammenti di vetro e cominciarono a parlare, le voci che si sovrapponevano l’una all’altra. Si udirono solo brandelli di frasi mischiarsi alle urla di Malfoy e Bellatrix.
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