«Dài, Ginny non è male» obiettò con onestà George, sedendosi vicino a Fred. «Anzi non so come ha fatto a diventare così brava, visto che non l’abbiamo mai lasciata giocare con noi».
«È da quando aveva sei anni che entra di nascosto nel vostro capanno delle scope in giardino e le usa quando non ci siete» rivelò Hermione da dietro una traballante pila di libri di Antiche Rune.
«Oh» disse George, ammirato. «Be’, adesso si spiega».
«Ron ha parato almeno un tiro?» chiese Hermione, emergendo da Geroglifici e Logogrammi Magici.
«Sì, può farcela se crede che nessuno lo guardi» rispose Fred, alzando gli occhi al cielo. «Quindi sabato basta che chiediamo al pubblico di voltarsi ogni volta che la Pluffa arriva dalla sua parte».
Si alzò di nuovo, inquieto, e andò verso la finestra, a osservare i prati bui.
«Il Quidditch era quasi l’unica cosa per cui valesse la pena stare in questo posto».
Hermione lo guardò severa.
«Tra poco hai gli esami!»
«Te l’ho già detto, non ce ne frega tanto dei M.A.G.O.» rispose Fred. «Le Merendine Marinare sono pronte a decollare, abbiamo scoperto come liberarci di quei brufoli, bastano due gocce di Purvincolo. Ce l’ha suggerito Lee».
George sbadigliò sonoramente e guardò sconsolato il nuvoloso cielo notturno.
«Non so nemmeno se ho voglia di vederla, questa partita. Se Zacharias Smith ci batte, potrei essere costretto a uccidermi».
«A uccidere lui, casomai» disse deciso Fred.
«Ecco il problema del Quidditch» osservò Hermione in tono distratto, di nuovo china sulla sua traduzione runica, «crea tensione e conflitto tra le Case».
Alzò il capo per cercare la sua copia del Sillabario dei Sortilegi e vide che Fred, George e Harry la fissavano con un misto di disgusto e incredulità.
«Be’, è vero!» sbottò con impazienza. «È soltanto un gioco, no?»
«Hermione» disse Harry scuotendo la testa, «sei brava sui sentimenti e tutto il resto, ma il Quidditch proprio non lo capisci».
«Forse no» convenne lei cupa, tornando alla sua traduzione, «ma almeno la mia felicità non dipende dalla bravura di Ron come Portiere».
Harry avrebbe preferito buttarsi dalla Torre di Astronomia piuttosto che ammetterlo, ma dopo aver visto la partita il sabato successivo avrebbe dato qualunque somma di galeoni per infischiarsene anche lui del Quidditch.
La cosa migliore della partita fu che era stata breve; gli spettatori di Grifondoro avevano dovuto patire solo ventidue minuti. Difficile dire qual era stato il momento peggiore: secondo Harry era una dura lotta tra la quattordicesima parata sbagliata da Ron, Sloper che mancava un Bolide ma sferrava una mazzata sui denti ad Angelina, e Kirke che cadeva all’indietro dalla scopa, strillando, mentre Zacharias Smith sfrecciava verso di lui con la Pluffa. Il miracolo fu che Grifondoro aveva perso solo di dieci punti: Ginny era riuscita a strappare il Boccino sotto il naso di Summersby, il Cercatore di Tassorosso, così che il punteggio finale fu di duecentoquaranta a duecentotrenta.
«Bella presa» disse Harry a Ginny quando furono di ritorno nella sala comune, dove regnava l’atmosfera di un funerale particolarmente triste.
«Ho avuto fortuna» rispose lei con un’alzata di spalle. «Non era un Boccino molto veloce, e Summersby aveva il raffreddore, ha starnutito e ha chiuso gli occhi al momento sbagliato. Comunque, quando tornerai nella squadra…»
«Ginny, io sono stato squalificato a vita ».
«Sei stato squalificato finché la Umbridge rimane a scuola» lo corresse Ginny. «C’è una bella differenza. Comunque, una volta che sarai tornato, credo che proverò a giocare come Cacciatore. Angelina e Alicia se ne vanno l’anno prossimo, e io preferisco segnare che Cercare».
Harry guardò Ron, seduto curvo in un angolo a fissarsi le ginocchia, con una bottiglia di Burrobirra stretta in mano.
«Angelina non gli permette di abbandonare la squadra» spiegò Ginny, come leggendo nel pensiero di Harry. «Dice che è sicura che ha il gioco dentro».
Harry apprezzava Angelina per la fiducia che riponeva in Ron, ma era anche convinto che sarebbe stato più umano lasciarlo andare. Ron era uscito di campo accompagnato da un coro assordante di Perché Weasley è il nostro re cantato con gran gusto dai Serpeverde, che ormai erano i favoriti nella corsa alla Coppa di Quidditch.
Fred e George si avvicinarono.
«Non ho nemmeno il coraggio di prenderlo in giro» disse Fred, guardando la figura ingobbita di Ron. «Certo che… quando ha mancato il quattordicesimo…»
Fece dei gesti inconsulti con le braccia, come se nuotasse a cagnolino.
«…be’, me la risparmio per le feste, eh?»
Ron si trascinò a letto poco dopo. Per rispetto verso i suoi sentimenti, Harry aspettò un po’ prima di salire nel dormitorio, così che Ron potesse far finta di dormire, se voleva. Infatti, quando Harry entrò finalmente nella stanza, Ron russava un po’ troppo forte per essere credibile.
Harry si infilò nel letto, ripensando alla partita. Era stato immensamente frustrante vederla dagli spalti. La prestazione di Ginny l’aveva abbastanza colpito, ma sapeva che, se avesse giocato lui, avrebbe potuto prendere il Boccino prima… c’era stato un momento in cui aveva svolazzato attorno alla caviglia di Kirke; se Ginny non avesse esitato, avrebbe potuto strappare la vittoria per Grifondoro.
La Umbridge era seduta poche file sotto Harry e Hermione. Una volta o due si era voltata a guardarlo, con la schiena rigida e con la larga bocca da rospo tirata in quello che a lui era parso un sorriso gongolante. Il ricordo lo fece avvampare di rabbia. Dopo qualche minuto gli venne in mente che avrebbe dovuto svuotare la mente da ogni emozione prima di dormire, come Piton non mancava di ripetergli alla fine di ogni lezione di Occlumanzia.
Ci provò per un paio di istanti, ma il pensiero di Piton sommato al ricordo della Umbridge non fece che aumentare il suo astio ribollente, e si ritrovò invece a concentrarsi su quanto odiava quei due. Pian piano il russare di Ron sfumò, sostituito da un profondo respiro regolare. Harry impiegò di più a addormentarsi; il corpo era stanco, ma al cervello ci volle molto tempo per chiudersi.
Sognò che Neville e la professoressa Sprite ballavano il valzer nella Stanza delle Necessità, mentre la professoressa McGranitt suonava la cornamusa. Lui rimase a guardarli soddisfatto per un po’, poi decise di andare a cercare gli altri membri dell’ES.
Però quando uscì dalla stanza si ritrovò davanti non l’arazzo di Barnaba il Babbeo, ma una torcia che bruciava nel suo sostegno sulla parete di pietra. Si voltò lentamente verso sinistra. Lì, alla fine del corridoio privo di finestre, c’era una semplice porta nera.
Si avvicinò con crescente eccitazione. Aveva la strana sensazione che stavolta avrebbe avuto fortuna, e avrebbe trovato il modo di aprirla… era a pochi centimetri, e con il cuore in gola vide una striscia di luce in basso a destra… la porta era socchiusa… tese la mano per spingerla e…
Ron russò in modo genuino e fragoroso, e Harry si svegliò di colpo, la mano destra tesa nel buio, pronta ad aprire una porta che era a centinaia di chilometri da lì. La lasciò ricadere con un misto di disappunto e senso di colpa. Sapeva che non avrebbe dovuto vedere quella porta, ma allo stesso tempo era così divorato dalla curiosità che non poteva fare a meno di arrabbiarsi con Ron… se solo avesse aspettato un altro minuto per mettersi a russare!
* * *
Entrarono nella Sala Grande per colazione proprio nel momento in cui i gufi recapitavano la posta del mattino. Hermione non era l’unica ad aspettare con ansia la sua Gazzetta del Profeta: quasi tutti volevano altre notizie sui Mangiamorte evasi, che nonostante i molti avvistamenti non erano ancora stati catturati. Hermione diede uno zellino al gufo e aprì trepidante il giornale, mentre Harry si versava il succo d’arancia; visto che aveva ricevuto un solo biglietto in tutto l’anno, quando il primo gufo atterrò davanti a lui con un piccolo tonfo, pensò a un errore.
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